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Netizen Report: gruppi per i diritti umani chiedono giustizia per Jamal Khashoggi un anno dopo il suo assassinio

Categorie: Citizen Media, Diritti umani, Sorveglianza, Advox

Jamal Khashoggi. Foto di April Brady / POMED [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)]

Il Netizen Report di Advox offre un'istantanea internazionale di sfide, vittorie e nuove tendenze in fatto di tecnologia e diritti umani nel mondo. Questo articolo presenta notizie ed eventi avvenuti dal 20 al 26 settembre 2019

Il 2 ottobre 2018, il giornalista saudita Jamal Khashoggi [1] [it] è entrato nell'ambasciata saudita a Istanbul per ritirare documenti per il suo matrimonio e non è più tornato. Più tardi è stato rivelato che era stato ucciso e il suo corpo fatto a pezzi da agenti sauditi.

La sua uccisione ha innescato una condanna diffusa del governo saudita e portato a un più attento esame a livello internazionale del trattamento di giornalisti e attivisti dei diritti da parte del regime.

Gli ufficiali sauditi hanno inizialmente negato qualsiasi conoscenza riguardo la scomparsa di Khashoggi, un colonnista del Washington Post ed ex editore di Al Watan. Più tardi, hanno affermato che era morto dopo una rissa scoppiata all'interno dell'ambasciata, e infine hanno riconosciuto [2] [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] che la sua uccisione era stata premeditata. I sauditi devono ancora restituire i resti di Khashoggi alla sua famiglia. Vari capi internazionali e servizi segreti credono che il Principe Ereditario Mohamed Bin Salman avesse ordinato l'assassinio del giornalista.

Verso la fine del 2018, sono emerse accuse [3] che il software di sorveglianza costruito dalla società israeliana NSO Group avesse consentito alle autorità saudite di curiosare le comunicazioni di Khashoggi nei mesi precedenti alla sua morte.

Notizie e analisi dell'omicidio di Khashoggi hanno aumentato inoltre la visibilità di altre voci dell'Arabia Saudita che spingevano per una maggiore protezione dei diritti umani nel paese. Stando al Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), almeno 16 giornalisti sono finiti dietro le sbarre [4] per il loro lavoro nel 2018, e altri nove sono stati arrestati [5] nel 2019. Anche difensori dei diritti umani e attivisti su internet sono in prigione, inclusi Loujain al-Hathloul [6], un'attivista per il diritto di guidare delle donne, e Israa Al-Ghomgham [7] [it], un'attivista minacciata con la pena di morte (che in seguito è stata ridotta [8]) per aver violato l'Atto sul Crimine Informatico del regno.

Veglie e dimostrazioni sono state tenute fuori dalle ambasciate saudite in diversi paesi il 2 ottobre. Gruppi per i diritti umani e la libertà mediatica inoltre si sono uniti pubblicando una lettera [9] chiedendo ulteriori provvedimenti sia dalla comunità internazionale che dal governo saudita per rendere effettivo il regolare processo nell'investigazione dell'omicidio di Khashoggi e per rilasciare altri giornalisti, attivisti per i diritti umani e prigionieri per reati d'opinione attualmente dietro le sbarra nel regno.

La decisione della corte europea è un colpo per Facebook e per la libertà d'espressione

La Corte di Giustizia europea ha emesso una sentenza storica [10] che concerne il contenuto illegale su Facebook. In un caso di diffamazione contro l'azienda portato avanti dalla politica austriaca Eva Glawischnig-Piesczek [11] [it], la corte ha deciso che la compagnia dovrebbe essere obbligata a rimuovere post diffamatori che la riguardano non sono in Austria o nella giurisdizione dell'UE, ma a livello mondiale.

La decisione è in netto contrasto con sentenze precedenti di altre corti, accordi con i governi, e l'attuale approccio di Facebook al contenuto ritenuto in violazione della legge, secondo cui la compagnia “blocca geograficamente” o rimuove il contenuto offensivo solo all'interno della giurisdizione nazionale e regionale pertinente. La sentenza richiede inoltre la realizzazione di sistemi di filtraggio del contenuto automatizzati, ma non offre alcuna indicazione su come questi dovrebbero funzionare.

La sentenza potrebbe avere implicazioni profonde per la società e i suoi utilizzatori, sia all'interno dell'UE che a livello globale. Stabilisce un nuovo standard [12], secondo cui qualsiasi corte in uno stato membro dell'UE potrebbe ordinare che il contenuto ritenuto in violazione della legge di quello stato sia rimosso da Facebook completamente. Ma stabilisce anche un precedente per cui i governi non dell'UE potrebbero argomentare che Facebook dovrebbe seguire la stessa procedura per ogni tipo di contenuto giudicato illegale in qualsiasi giurisdizione. Potrebbe aumentare il potere di stati come la Turchia, la quale propone centinaia di richieste di rimozione di contenuto [13] con successo ogni anno, per dettare cosa il mondo intero vede o non vede sulla piattaforma. Per queste e molte altre ragioni, la decisione può significare che la parola stia per diventare molto meno libera su Facebook.

La legge contro le fake news di Singapore è in atto e mette sotto osservazione le aziende tecnologiche

La Legge per la Protezione da Manipolazione e Falsità Online [14] è entrato in vigore nell'ottobre 2019, dando poteri enormi e fuori controllo ai ministri del governo nel decidere quali informazioni online siano falsa e domandando che vengano censurate o corrette. Il ministro della giustizia dice che la disposizione aiuterà a fermare la circolazione di “deliberate falsità online”, ma giornalisti e attivisti per i diritti umani [15] si preoccupano del fatto che sarà usata per soffocare la libertà di parola.

La legge inoltre solleva preoccupazioni significative [16] per le piattaforme tecnologiche come Facebook, Twitter e Google, che mantengono le loro sedi asiatiche a Singapore. La legge introduce importanti obblighi amministrativi per le piattaforme internet che offrono i loro servizi nel paese e impone multe alle compagnie.

L'attivista tech egiziano Alaa Abd El Fattah è dietro le sbarre, nel mezzo della repressione

Dopo soli sei mesi dal suo rilascio dalla prigione dopo aver scontato una sentenza di cinque anni per aver sfidato un divieto di protesta,  Alaa Abd El Fattah, attivista e blogger egiziano, è stato nuovamente arrestato [17] il 29 settembre.

Alaa è stato arrestato alla stazione di polizia di Dokki, dov'è obbligato a trascorrere la notte ogni giorno dalle 18 alle 6, come parte del suo periodo di libertà vigilata [18] [it]. Tuttavia, la mattina del 29 settembre, Alaa non è uscito dalla stazione e alla sua famiglia è stato detto che era stato trattenuto dall'Agenzia di Sicurezza Nazionale e portato al quartier generale della Procura per la Sicurezza Statale. Stando a Mada Masr, le autorità l'hanno accusato di “partecipare a un'organizzazione illegale”, “ricevere fondi stranieri”, “diffondere false notizie”, e “usare in modo sbagliato i social media.” Deve ancora essere incriminato.

Una voce importante [19] [it] tra i blogger e attivisti tecnologici egiziani in Cairo subito prima della Rivoluzione egiziana del 2011, Alaa è stato arrestato o indagato sotto ogni capo di stato egiziano che ha prestato servizio durante la sua vita.

L'arresto di Alaa arriva nel mezzo dell’azione repressiva del governo [20] sulle proteste anti corruzione di piccole dimensioni che sono avvenute in diverse città egiziane verso la fine di settembre. Centinaia di arresti sono stati documentati, e gli esperti di sicurezza informatica dicono che parecchi attivisti e capi dell'opposizione hanno ricevuto software di sorveglianza mirata che sono stati collegati con Ministero delle Comunicazioni e della Tecnologia dell'Informazione egiziano.

Voci dall'Indonesia affrontano minacce legali sull'attivismo online

L'attivista e regista di film documentari Dandhy Dwi Laksono è stato arrestato il 26 settembre [21] e accusato di diffondere discorsi di odio sui social media. Dandhy aveva postato diversi tweet dalle proteste contro la discriminazione razziale nelle province di Papua e Papua Occidentale in Indonesia.

Ananda Badudu, un musicista ed ex giornalista, è stato brevemente trattenuto e interrogato dalla polizia per il suo coinvolgimento nel finanziamento a supporto delle proteste studentesche [22] indonesiane che sono attualmente in corso nelle città in tutta l'Indonesia. Da allora è stato rilasciato [23].

Giornalista croato arrestato e multato a causa di tweet

Il giornalista croato Gordan Duhacek, che scrive per Index.hr, è stato arrestato all'aeroporto di Zagabria [24] il 16 settembre e multato per un tweet che includeva l'acronimo anti polizia ACAB (All Copper are Bastards – Tutti i poliziotti sono Bastardi). Sta aspettando un'altra decisione della corte riguardo un secondo tweet, in cui aveva fatto un riferimento satirico su una canzone patriottica croata in una discussione focalizzata sull'inquinamento e la degradazione ambientale nel paese. Dunja Mijatovic, Commissario per i Diritti Umani per il Consiglio d'Europa, dice che i casi contro Duhacek “rappresentano la semplice intimidazione della stampa.”

Attivista degli Emirati Arabi Uniti ritorna a fare lo sciopero della fame

Ahmed Mansoor [25], attivista per i diritti umani degli Emirati Arabi Uniti, ha cominciato il suo secondo sciopero della fame [26] come protesta alle cattive condizioni carcerarie e maltrattamento nella prigione di al-Sadr ad Abu Dhabi. Mansoor, che era stato arrestato e imprigionato nel suo paese diverse volte a partire dal 2011, sta scontando una sentenza a 10 anni di carcere [27] [it] dopo essere stato dichiarato colpevole di aver insultato lo “status e il prestigio degli Emirati Arabi Uniti e i suoi simboli,” pubblicando “falsi articoli” sui social media.

Mansoor è stato nominato vincitore del Premio Martin Ennals [28] per i Difensori dei Diritti Umani nel 2015, per essere “una delle poche voci all'interno degli Emirati Arabi Uniti a fornire un giudizio indipendente credibile degli sviluppi in materia di diritti umani nel paese.”

Nuove ricerche

State of Internet Freedom in Africa: Mapping Trends in Internet and Government Controls, 1999 – 2019 [29] – Collaboration on International ICT Policy for East and Southern Africa CIPESA

The Global Disinformation Order: 2019 Global Inventory of Organised Social Media Manipulation [30] – Phil Howard and Samantha Bradshaw, Oxford Internet Institute

Are we any better at judging right from wrong? Automation in content moderation [31] – Namita, GenderIT.org

 

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Afef Abrougui [33], Ellery Roberts Biddle [34], Mohamed ElGohary [35], Leila Nachawati [36], Mong Palatino [37] e Juke Carolina Rumuat [38] hanno contribuito a questo articolo.