- Global Voices in Italiano - https://it.globalvoices.org -

Fare giornalismo in un narco-stato letale

Categorie: Honduras, Citizen Media, Diritti umani, Media & Giornalismi, Migrazioni, Rifugiati
[1]

Fila di soldati e poliziotti rivolti verso i manifestanti che protestano contro il colpo di stato honduregno del 2009. 11 agosto 2009. Crediti: Francesco Michele/Flickr

Secondo l’Osservatorio dei Giornalisti Uccisi [2] [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] dell'UNESCO, 38 giornalisti sono stati uccisi in Honduras dal 2010. Più del 70% di questi casi è irrisolto.

Queste cifre fanno dell'Honduras il paese più pericoloso in America per un giornalista.

Reporter Senza Frontiere ha constatato che i giornalisti [3] che sono particolarmente schietti o critici nei confronti del governo “sono spesso il bersaglio di minacce di morte o violenza o sono obbligati a fuggire all'estero. Spesso sono anche destinatari di procedimenti giudiziari abusivi, e sono comuni sentenze detentive per diffamazione, talvolta accompagnate da interdizioni sul lavoro dei giornalisti anche dopo il rilascio.”

In un saggio autobiografico [4] nel quotidiano salvadoregno El Faro, Jennifer Ávila, la direttrice di Contra Corriente [5], un sito di giornalismo d'inchiesta honduregno, ha spiegato le difficoltà nel fare giornalismo nel suo paese:

In Honduras, doing independent journalism means constantly running into a wall. This wall is built by mafia-run institutions that have silenced and terrorized whole communities. To simplify a complex reality, the media has labelled the country a narco-state.

In Honduras, fare giornalismo in modo indipendente vuol dire sbattere contro un muro costantemente. Questo muro è alzato da istituzioni gestite dalla mafia che hanno messo a tacere e terrorizzato intere comunità. Per semplificare questa realtà complessa, i media hanno etichettato il paese come narco-stato.

Tuttavia, Ávila crede che la minaccia più grande per il giornalismo honduregno sia “la paura e la sfiducia” delle persone. I giornalisti sono considerati sia come venduti al governo sia come attivisti politici —  e osserva che alcuni media honduregni seguono questi schemi. Tutto questo lascia poco spazio ai giornalisti indipendenti per guadagnare la fiducia delle persone e per ricercare la verità.

Journalists covering street protests are often labelled as “sell outs” or as “reporters of the people.” On one hand, they are seen as victims of the demonstrations, while on the other hand they are seen as aggressors. The popular belief that journalism is done to attack others and not to reveal truth explains a lot about power structures in Honduras. Journalism can either show the consequences of an event or turn that same event into a problem. It turns Honduras into even more of a hostile environment for journalism.

I giornalisti che coprono le proteste di strada sono spesso etichettati come “venduti” o “reporter delle persone”. Da una parte, sono visti come vittime delle dimostrazioni, dall'altra sono considerati come degli aggressori. Il fatto che il credo comune sia che si fa giornalismo per attaccare gli altri e non per rivelare la verità spiega molto bene i sistemi di potere in Honduras. Il giornalismo può sia mostrare le conseguenze di un evento sia trasformare lo stesso in un problema. Tutto questo fa dell'Honduras un ambiente ancora più ostile per il giornalismo.

Ávila afferma anche che le tragiche storie dei migranti deportati in posti quali El Progreso [6] [it], la sua città natale, nell'Honduras del Nord, dovrebbero andare oltre la semplice spiegazione dell'aspetto umanitario. Le storie dovrebbero addentrarsi maggiormente nei sistemi di potere in gioco, e ciò potrebbe portare a delle indagini sulle autorità, lei dice:

I told the story of Pilar, a member of COFAMIPRO [7], a committee made up of the mothers who organize every year to travel to Mexico in search of their sons or daughters who have disappeared while migrating north. Pilar has spent years searching for her daughter. (…) To be a mother in Honduras is to know that you may find your child’s body hacked into pieces. To be a journalist in Honduras is to know that these stories are not an exception. The country is in pain. Telling these stories means it’s also necessary to tell what causes them, but that’s just where more problems begin.

Ho raccontato la storia di Pilar, un membro del COFAMIPRO [7], un comitato formato da madri che organizzano ogni anno un viaggio in Messico alla ricerca dei loro figli o figlie che sono spariti migrando verso nord. Pilar ha speso anni alla ricerca di sua figlia. (…) Essere una madre in Honduras è sapere che potresti trovare il corpo di tuo figlio fatto a pezzi. Essere un giornalista in Honduras è sapere che queste storie non sono un'eccezione. Il paese soffre. Raccontare queste storie vuol dire che è anche necessario farne capire le cause, ma questo è solo l'inizio di altri problemi.

Visitate El Faro per leggere il testo completo [4].