La legge anti infiltrazione può fermare i media pro Pechino a Taiwan?

La calligrafia dell'ex vice-presidente taiwanese e presidente onorario del Kuomintang Lien Chan per la piattaforma MasterChain. Dal Twitter di MasterChain.

Il 31 dicembre 2019 a Taiwan è passata una legge che mirava a contrastare l'influenza delle “forze straniere ostili” [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] nel paese, compresa una disposizione sulla disinformazione. La legge anti infiltrazione ha provocato accesi dibattiti, e molti la vedono come un tentativo di contenere l'influenza di Pechino a Taiwan. Dopo l'approvazione della legge, la piattaforma pro Pechino MasterChain ha annunciato che lascerà il mercato taiwanese in segno di protesta. Mentre alcuni temono che la legge possa restringere la libertà di espressione, altri interpretano l'uscita dell'emittente come prova che la legge anti- nfiltrazione sta effettivamente scoraggiando i “media rossi”.

La legge anti infiltrazione principalmente vieta a soggetti stranieri di interferire nelle elezioni, nel lobbismo e nei contributi politici, oltre che di diffondere false informazioni sulle elezioni come tentativo di minare l'ordine sociale.

Durante il dibattito per la bozza, il Partito del Nuovo Potere [it] (che rivendica l'indipendenza di Taiwan) ha proposto diversi emendamenti rivolti direttamente alle emittenti dei “media rossi”. Questi comprendevano il divieto per chiunque di seguire le istruzioni del Partito Comunista Cinese (PCC) nella messa in esercizio, nel finanziamento o nel controllo dei mass media e di condurre propaganda politica o fare pubblicità a nome del PCC. In definitiva, il Partito Progressista Democratico [it] (DPP) in carica li ha respinti perché voleva mantenere un assetto più generale sulla manipolazione elettorale da parte di qualunque organo ostile estraneo al governo e non specificatamente il CCP. Comunque, il Consiglio per gli Affari Continentali [it] ha continuato a proporre che la questione dell'infiltrazione dei “media rossi” fosse discussa contestualmente alle leggi sulla radio e la televisione.

La MasterChain e la ‘dottrina del fronte unito’

L'apprensione riguardo l'influenza di Pechino nei media di Taiwan fa parte di un problema più ampio per quello che Pechino chiama “fronte unito” o alleanza di forze politiche, militari, religiose e mediatiche per opporsi all'indipendenza di Taiwan.

I legami politici trasversali sono molto presenti nelle operazioni di MasterChain. La piattaforma è stata lanciata ad Aprile e ha proseguito diventando la prima emittente taiwanese con il permesso di avere un ufficio in Cina. Il fondatore di MasterChain, Chuang Li-ping, ha scritto un libro che supporta il Consenso del 1992, noto anche come “Consenso di un'unica Cina”, mentre il centro operativo e quello per la promozione aziendale hanno sede in due grandi città cinesi.

La strategia della piattaforma di assumere un certo numero di ex funzionari taiwanesi come personalità dei media è percepita dagli esperti come un tentativo di creare una rete di intelligence trasversale.

Chang Yu-shao, un ricercatore alle Associazioni Politiche Trasversali, sottolinea [zh]:

形象宣傳、情報蒐集與組織布建,是中共政治統戰攻勢所必備的指導原則與工作方針,而大師鏈同時具備這三種功能。

La creazione d'immagini, l'informazione e lo sviluppo delle reti sono i principi guida e di lavoro necessari per l'offensiva politica su “fronte unito” del Partito Comunista Cinese (PCC). Master Chain svolge tutte e tre le funzioni allo stesso tempo.

Comunque, sono davvero pochi i mezzi di comunicazione apertamente pro Pechino come lo è la MasterChain. La maggior parte delle emittenti pro Pechino mantengono i rapporti con la Cina segreti o indiretti, la Want Want Media Group [zh] ne è un tipico esempio.

In passato, il presidente della Want Want Tsai Yen-ming ha fatto dichiarazioni a supporto delle posizioni del CCP e ha venduto al governo cinese alcune pagine del suo giornale. È stato anche scoperto che il gruppo China Times della Want Want ha ricevuto sovvenzioni dal governo cinese.

Secondo fonti della piattaforma mediatica taiwanese Up Media, prima delle elezioni di gennaio 2020 Tsai Yen-ming avrebbe detto agli alti funzionari del suo gruppo mediatico di smettere di dare spazio alle proteste conto la legge anti-infiltrazione, così da non apparire apertamente pro Pechino. Comunque, dietro le quinte il gruppo ha continuato a spingere sulla storia che la legge anti-infiltrazione andasse contro la libertà di espressione. Questo avrebbe dovuto sollecitare una forte reazione nell'opinione pubblica e rafforzare gli slanci per la campagna elettorale pro Pechino del Kuomintang (KMT).

Sebbene il China Times daily, che appartiene al gruppo Want Want, abbia fatto una dichiarazione in cui nega ogni tipo di pressione da Pechino, ha iniziato a pubblicare prima delle elezioni una serie di editoriali condannando la legge anti-infiltrazione, sostenendo che andasse contro la Want Want Media Group.

Anti infiltrazione o anti media rossi?

A maggio 2019 diversi organi di stampa taiwanesi sono stati invitati a Pechino per partecipare al “4° Summit Trasversale dei Media“. L'evento è stato considerato un modo per rafforzare il ‘fronte unito’ del CCP nel settore dei media.

Il mese seguente a Taiwan è partita una marcia per il “rifiuto dei media rossi e la salvaguardia della democrazia di Taiwan” [zh]. L'iniziativa era partita da Hwang Kuo-chang, un membro dello Yuan Legislativo [it] del tempo, che aveva esortato il governo a rivedere diverse leggi e presentato una bozza della legge anti-infiltrazione.

Visti gli stretti rapporti di Taiwan con la Cina, gli interessi economici di quest'ultima si possono insabbiare facilmente portando molti studiosi dei media a dubitare dell'effettiva efficacia della legge anti infiltrazione.

Inoltre, internet è più difficile da monitorare e Pechino può fare affidamento sulle agenzie mediatiche a Singapore o in Malesia per influenzare l'opinione pubblica a Taiwan pur senza essere presente sull'isola.

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