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Un documentario sulle ‘donne di conforto’ genera interesse in tutto il mondo (e un processo contro il regista)

Categorie: Asia orientale, Giappone, Citizen Media, Donne & Genere, Legge, Libertà d'espressione, Media & Giornalismi, Storia
Shusenjo Poster [1]

Immagine promozionale di “Shusenjo”, per gentile concessione di Miki Dezaki. Usata su licenza.

Il progetto di uno studente universitario, volto ad esplorare il problema della schiavitù sessuale messa in atto dalle forze giapponesi nella Seconda Guerra Mondiale, ha dato luogo alla produzione di un documentario famoso sia in Giappone che altrove, oltre ad aver innescato una causa legale e continue persecuzioni da parte del governo giapponese.

“Shusenjo: il campo di battaglia principale della questione delle donne di conforto” è un film documentario del 2018 di Miki Dezaki. Ho parlato con lui durante la proiezione del film al Victoria International Film Festival [2] [en, come tutti i link seguenti, salvo diversa indicazione] (VIFF) in Canada, il 15 febbraio 2020.

“Il mio film è un riflesso del modo in cui attualmente si parla della questione delle ‘donne di conforto’ [3] [it]”, afferma Dezaki. “Volevo scoprire perché ci siano tante persone che hanno dedicato così tanto tempo e risorse per farci dimenticare di tale questione”.

Circa 200.000 donne [4] provenienti da più di dieci Paesi occupati [5] in Asia furono reclutate o costrette alla schiavitù sessuale [6] dall'esercito imperiale giapponese. Queste donne venivano eufemisticamente chiamate “ianfu” (donne di conforto) dalle autorità militari giapponesi. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, la questione è stata a lungo fonte di controversie [7] [it] politiche.

“La questione delle ‘donne di conforto’ è stata la fonte delle cosiddette “guerre sulla storia [8]“, principalmente tra la Corea del Sud e la Cina, a partire dagli anni '90”, afferma Sujin Lee, ricercatrice del dipartimento di studi asiatici e del Pacifico (e anche lei intervistata da Global Voices durante il VIFF) presso l'Università di Victoria, la quale ha contribuito a sponsorizzare la premiere di “Shusenjo” in Canada.

“Shusenjo” […] documenta meticolosamente punti di vista opposti sulla storia delle ‘donne di conforto’, senza formulare alcun giudizio o prendere alcuna posizione”, afferma Lee.

Dezaki, originario dello Stato americano della Florida, da principio si era recato in Giappone all'interno del programma di stampo governativo “Japan Exchange and Teaching” (JET), tramite il quale laureati da tutto il mondo vengono assunti nelle scuole per insegnare l'inglese.

Durante la partecipazione al programma JET, Dezaki ha lanciato un canale YouTube sotto lo pseudonimo di Medama Sensei [9], in parte focalizzato sui problemi sociali in Giappone. Dopo il successo virale di una video esplorazione in due parti [10] sul razzismo in Giappone, i video di Dezaki hanno attirato l'attenzione indesiderata dell'estrema destra giapponese.

miki dezaki sujin lee [1]

Il regista di “Shusenjo” Miki Dezaki risponde alle domande del pubblico dopo la proiezione del suo documentario al Victoria International Film Festival il 15 febbraio 2020. A sinistra, Sujin Lee dell'Università di Victoria. Foto di Nevin Thompson, CC-BY 3.0

“C'erano persone di destra che mi attaccavano e mi minacciavano sul web”, afferma Dezaki. “Hanno persino chiamato la mia scuola”.

Dopo aver lasciato il Giappone, Dezaki ha trascorso un anno come monaco in un monastero tailandese, per poi tornare in Florida per prendersi cura di un genitore malato. In seguito, Dezaki è tornato in Giappone, questa volta come studente nel corso di laurea in studi globali [11] presso la Sophia University di Tokyo.

Dopo aver affinato le sue capacità di produzione di video su YouTube, come tesi di laurea Dezaki ha deciso di creare un documentario sulla questione delle ‘donne di conforto’.

“Il modo in cui i giapponesi e i coreani percepiscono il problema è molto diverso”, afferma Dezaki. “Ho pensato che, se avessi realizzato un film contestualizzando di più la questione, avrei aiutato la gente di entrambi i Paesi a smettere di odiarsi”.

“Shusenjo” è incentrato sulle diverse prospettive storiche in tema di ‘donne di conforto’, includendo in realtà pochissime testimonianze da parte delle donne stesse.

Invece, il documentario di Dezaki include un elenco incredibilmente completo di intervistati per essere un progetto universitario, tra cui attivisti per i diritti umani e importanti storici che lavorano in Giappone e in Corea del Sud.

Inoltre, “Shusenjo” giustappone il commento fattuale alle argomentazioni di prominenti e noti “revisionisti” storici dell'alta società, i quali in genere negano che le forze armate giapponesi abbiano mai costretto le donne a subire schiavitù sessuale durante la Seconda Guerra Mondiale.

“Il pubblico coreano è stanco di sentir parlare delle ‘donne di conforto’, mentre il pubblico giapponese, in primo luogo, non crede davvero alle testimonianze delle donne”, afferma Dezaki.

La strabiliante lista di canaglie presenti nel documentario, composta da cosiddetti revisionisti di spicco, include l'autore Kase Hideaki [12], il giornalista Sakurai Yoshiko [13] e Kent Gilbert [14], un personaggio mediatico originariamente diventato famoso in Giappone per essere in grado di parlare fluentemente il giapponese in televisione, ma che ora è meglio noto come sostenitore dell'estrema destra del Paese.

Shusenjo Poster English [1]

Poster promozionale di “Shusenjo”, per gentile concessione di Miki Dezaki. Usato su licenza.

“Andavo ai loro simposi o discorsi, mi avvicinavo, mi presentavo come studente universitario e chiedevo loro se volevano apparire nel mio documentario”, dice Dezaki. “Di solito accettavano”.

La giustapposizione tra revisionisti, che spesso sembrano ripetere le stesse argomentazioni, e storici e attivisti di spicco che forniscono diverse sfumature e contestualizzano la questione, fa di “Shusenjo” un avvincente documentario.

“Questo approccio aiuta il pubblico a comprendere qual è la posta in gioco nei dibattiti sulle ‘donne di conforto’ e a giudicare attentamente la questione in autonomia”, afferma Sujin Lee dell'Università di Victoria.

Tuttavia, in seguito all'uscita del documentario, alcuni revisionisti sono rimasti scontenti della conclusione del film e hanno affermato di non sapere che sarebbe stato commercializzato, afferma Dezaki.

“La loro opinione è pienamente espressa nel film”, afferma Dezaki. “È semplicemente giustapposta ad altre opinioni.”

Dezaki afferma di essere sempre stato attento a far firmare agli intervistati una liberatoria prima di includere le loro osservazioni nel documentario, persino inviando in anticipo agli intervistati alcune parti delle interviste e senza ricevere alcuna risposta di protesta. Kent Gilbert, personaggio televisivo famoso in Giappone per la sua conoscenza del giapponese, ha affermato di non aver compreso il contenuto della liberatoria perché scritta in giapponese.

“Beh, comunque l'ha firmata, […] e in realtà la sua liberatoria era scritta in inglese”, afferma Dezaki.

Alla fine, cinque dei revisionisti intervistati hanno deciso di intentare causa a Miki Dezaki e alla sua società di distribuzione in Giappone. Dezaki afferma che si tratta essenzialmente di una “causa strategica contro la partecipazione pubblica” (SLAPP [15]), un tipo di azione legale ancora prevista [16] dall'ordinamento giuridico giapponese.

“(I querelanti) sostengono che in qualche modo li ho ingannati nel firmare la liberatoria, o che non avevano capito il contenuto del documento”, afferma Dezaki. “Le loro argomentazioni in tribunale sono molto confuse e hanno chiaramente lo scopo di farmi perdere tempo. Il tribunale ha già chiesto loro tre volte di chiarire quali siano le loro pretese”.

La causa è stata anche utilizzata per scoraggiare la distribuzione del documentario di Dezaki. Per via di questa causa [17], un festival cinematografico a Kawasaki ha quasi annullato la proiezione di “Shusenjo”, finché non è intervenuto Hirokazu Kore'eda, un importante regista giapponese [18].

Il governo giapponese ha anche usato la causa per cercare di bloccare le proiezioni del film in tutto il mondo.

“I consolati giapponesi hanno fatto pressioni sulle scuole affinché smettessero di far vedere il mio film”, afferma Dezaki, aggiungendo che i consolati giapponesi a Lione, in Francia, ad Amburgo, in Germania e a Los Angeles hanno contattato varie strutture per avvertirle del documentario di Dezaki.

Lo stratagemma raramente funziona, dice Dezaki, sebbene in Giappone tali azioni legali facciano da deterrente alla libertà di parola.

“Essere citati in giudizio è un'esperienza spiacevole”, afferma Dezaki. “Nessuno vuole che gli capiti”.

Molti degli intervistati stanno anche cercando di convincere la Sophia University a revocare il diploma di laurea di Dezaki.

“Hanno detto di aver inviato 490 pacchetti informativi (lamentandosi del documentario) a ogni singolo professore della Sophia University”, afferma Dezaki. “Hanno anche fatto una conferenza stampa appellandosi al Papa, che di recente era venuto alla Sophia University”.

In assenza di una distribuzione capillare, per far arrivare il suo documentario davanti al pubblico e vendere i biglietti, oggi Dezaki sta attraversando il globo, mostrando “Shusenjo” ai festival cinematografici. È attualmente alla ricerca di un distributore in Nord America.

“Shusenjo non è anti giapponese”, afferma Dezaki. “I revisionisti vogliono proteggere o ripristinare l'onore del Giappone, ma invece stanno facendo esattamente il contrario”.

Guarda qui l'ultimo trailer di “Shusenjo”: