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Caos al mercato in Uganda, dove le misure contro il COVID-19 sconvolgono la vita delle donne

Categorie: Africa sub-sahariana, Uganda, Alimentazione, Citizen Media, Diritti umani, Donne & Genere, Economia & Business, Guerra & conflitti, Lavoro, Salute, Sviluppo, COVID-19

Le donne sono protagoniste nei mercati in Uganda. La foto è stata scattata per strada nella zona di Kibale, Uganda, nel 2003, da NeilsPhotography [1] su Flickr CC BY 2.0 [2].

Consulta la copertura speciale di Global Voices sull’impatto globale del COVID-19 [3] [it].

Il 22 marzo l’Uganda ha confermato [4] [en, come i link seguenti] il primo caso di coronavirus (COVID-19). Entro il 28 marzo, il numero di casi era cresciuto a 30 casi. [5]

Ancora prima che fosse identificato il primo caso, il governo dell’Uganda aveva preso misure decisive [6] come chiusura delle scuole, divieto di assembramento in luoghi pubblici e severe restrizioni ai viaggi [7] da e verso paesi colpiti, per rallentare la diffusione di questo virus altamente contagioso.

Il 25 marzo, il governo ha vietato la vendita di prodotti non alimentari [8] nei mercati ugandesi per due settimane a partire dal 26 marzo, per ridurre la quantità di persone e mettere in pratica le linee guida di distanziamento sociale raccomandate dal ministero della sanità.

I mercati del paese, spesso dominati da venditrici donne, sono stati sconvolti da queste restrizioni.

Migliaia di cittadini si arrangiano ogni giorno come lavoratori occasionali e venditori nei mercati in Uganda per potersi guadagnare da vivere. Tuttavia, il presidente Yoweri Museveni nel suo discorso pubblico sulle misure di sicurezza non ha ammesso il possibile impatto su coloro che lavorano nei mercati:

Nessun tipo di supporto per chi sopravvive grazie all'economia informale???
——
Questa crisi del #COVID2019 pesa sulla massa di persone che vive alla giornata. @KagutaMuseveni & entourage – per favore tenete conto del triste fatto che questa gente non ha reti di sicurezza. ??

Le improvvise restrizioni hanno causato un aumento della violenza e dei crimini [12] contro chi lavora nel settore informale, come i venditori da strada che continuano a vivere e mantenere la famiglia vendendo la propria merce.

Il 26 marzo, alcune donne che vendevano in strada sono state frustate e brutalizzate dalla polizia, con un livello di forza ben oltre quanto permesso dalle recenti direttive presidenziali. L’incidente è stato documentato dal fotografo Badru Sultan, che ha postato [13] le sue foto su Twitter, poi condivise da molti:

Creare paura, disperazione e insicurezza non è di aiuto nel guidare le nostre comunità a sconfiggere la grande minaccia del #COVID19UG.

Si può guidare il popolo con fermezza e allo stesso tempo umanità e premura. Queste persone cercano solo di sopravvivere; aiutatele a capire come farlo evitando allo stesso tempo il COVID.

Martha Tukahirwa ha difeso le donne che continuavano a vendere nonostante le direttive:

Queste donne preparano e vendono cibo nelle strade di #Kampala. Ben consapevoli della direttiva di @KagutaMuseveni che proibisce la vendita di prodotti non alimentari, hanno portato avanti i propri affari.
PERCHÉ sono state picchiate???
Stiamo assistendo a un nuovo contagio di #VAWG in questi tempi straordinari?

Kizza Besigye ha osservato che uno shutdown non ha senso senza un piano di riserva:

Non si può annunciare uno shutdown e basta senza un piano B. Le persone si ritrovano con le spalle al muro e il risultato sarà solo un aumento della criminalità,

Secondo uno studio del 2018 della Strategic Initiative for Women in the Horn of Africa (SIHA), in Uganda, le donne [27] sono a capo del 66% di tutti gli affari informali a Kampala, la capitale, e costituiscono anche la maggioranza dei lavoratori informali.

Le scarse opportunità lavorative costringono molte donne a impiegarsi in questi ambiti, compiendo lavori che sono “precari e poco redditizi, con scarso accesso a protezioni sociali” afferma lo studio.

Il settore informale è dunque vitale per la sopravvivenza delle donne in Uganda.

In un comunicato stampa rilasciato il 27 marzo, l’Uganda Women Network [28] ha espresso “forti preoccupazioni” in merito all'eccesso di forza impiegato contro le donne al mercato:

While we commend the government of Uganda for the swift measures taken to prevent and control the spread of COVID-19, we are also not oblivious of the economic impacts of some of the measures on women who form the bulk of workers in insecure labour. The complexities of these women’s realities ought to be put into consideration in implementation of the Presidential Directives on COVID-19 so as not to exacerbate already existing gender inequalities, the burden of care work and institutionalised violence against women.

Anche se apprezziamo che il governo dell’Uganda abbia messo in atto provvedimenti tempestivi per scongiurare e controllare la diffusione del COVID-19, siamo consapevoli dell’impatto economico di alcune delle misure sulle donne che costituiscono la maggioranza dei lavoratori precari. Nell'implementare le Direttive presidenziali sul COVID-19, si dovrebbe tenere conto della complessa realtà in cui vivono queste donne, in modo da non esacerbare la disuguaglianza di genere già presente e il fardello del lavoro di assistenza e della violenza istituzionalizzata contro le donne.

Il comunicato fa presente che il 71% delle donne [28] lavora nel settore informale, che include vendita al dettaglio, mercati, ospitalità, venditori e piccoli commerci, eccetera.

L’Uganda Women Network ha inoltre ricordato che la polizia ha il mandato di “proteggere, servire e difendere”. Gli atti di brutalità contro i venditori vanno contro l’Articolo 24 [29] della Costituzione dell’Uganda del 1995, che protegge ogni cittadino ugandese da qualsiasi forma di tortura, trattamento o punizione crudele, inumana o degradante.

Inoltre l’Articolo 33 (3) [29] sui diritti delle donne garantisce la protezione dello stato per le donne e i loro diritti, tenendo conto del loro status particolare e della loro naturale funzione materna nella società.

Mentre le donne al mercato continuano a scontrarsi con queste nuove misure, anche i prezzi dei generi alimentari continuano a salire. [30] La frenesia di acquisto nei mercati dettata dal panico subito dopo l’emanazione delle restrizioni ha indotto alcuni commercianti ad alzare i prezzi [31]:

VIDEO: Abitanti della città afferrano ananas da un camion in movimento mentre gli effetti del COVID19 sono al centro dell’attenzione a Kampala.

Dal momento del primo caso di COVID-19 i prezzi dei generi alimentari in Uganda sono in continua ascesa, spinti dalla domanda che cresce a causa degli acquisti dettati dal panico nell'attesa di un lockdown nazionale. Screenshot da NTVUganda su YouTube [30].

Una campagna online con l’hashtag #ExposeBusinessCrooks ha l’obiettivo di fermare lo sfruttamento della situazione.

#ExposeBusinessCrooks cambierà la nostra percezione della gravità del #coronavirus

Un ‘nuovo modo di fare affari’?

Oltre a bandire la vendita di prodotti non alimentari nei mercati, il presidente Museveni ha raccomandato [8] di trovare “nuovi modi di fare affari” e di “commerciare ma con un contatto umano ridotto al minimo”. Ciò suggerisce che commercianti e venditori potrebbero semplicemente spostare il loro business online.

Ma l’ecosistema digitale ugandese non è pronto. La maggior parte di chi vende al mercato non ha la formazione, capacità o conoscenza per mettere in piedi un business sulla rete e neppure sistemi per consegnare i prodotti.

Inoltre, la tassa sul “gossip” su social media [39] in Uganda continua a creare problemi rendendo i dati così costosi che l’online business è semplicemente fuori portata per molti venditori al mercato.

La tassa, introdotta nel 2018 per ridurre il gossip online e produrre entrate, aveva già aumentato il prezzo dei dati. Adesso, a causa del rincaro dei prezzi degli alimenti, l’acquisto dei dati è ancora più caro per la maggior parte delle persone.

Per esempio, 1 gigabyte (GB) di dati costa 5.000 scellini ugandesi (1,31 dollari statunitensi), che corrisponde a più del 15 per cento del reddito medio mensile, secondo un rapporto Pollicy [40] del 2019. Il rapporto afferma che “per il quartile più povero del paese, la stessa quantità di dati potrebbe costare fino al 40% del reddito medio mensile”.

Il che significa che connettersi alla rete è ora per una donna normale una spesa più grande che mai.

Questo renderà ancora più profonda la disuguaglianza digitale tra ricchi e poveri, dato il prezzo già elevato dei dati in Uganda, combinato con la tassa sui social media e l’elevato costo della vita durante il COVID19.