Impatto delle misure di contenimento del COVID-19 sui diritti umani e le libertà civili in Medio Oriente

L'attivista saudita per i diritti delle donne Loujain Alhathloul è uno dei tanti difensori dei diritti umani che rimangono in prigione in Medio Oriente, nonostante le molteplici richieste di rilascio tra le paure di COVID-19. Crediti: Loujain Al-Hathloul tramite sistema OTRS /CC BY-SA.

Questo articolo è stato scritto da Khalid Ibrahim [en, come link seguenti salvo diversa specificazione], direttore esecutivo di Gulf Center for Human Rights (GCHR), organizzazione indipendente e no-profit che promuove la libertà di espressione, associazione e riunione pacifica nei Paesi MENA [it].

I casi di COVID-19 riscontrati nei Paesi MENA, hanno indotto i governi a istituire misure di contenimento e altri tipi di provvedimenti al fine di rallentare la diffusione dell'altamente contagioso coronavirus.

Queste misure hanno colpito in particolar modo alcuni dei gruppi più vulnerabili come i difensori dei diritti umani in carcere, i lavoratori migranti e i media indipendenti.

Gulf Center for Human Rights ha monitorato l'impatto che alcuni di questi provvedimenti hanno causato sulla situazione generale dei diritti umani nella regione.

Molte di queste ingiuste azioni, violano il diritto internazionale. Ad esempio i lavoratori migranti e i detenuti, che spesso vivono in condizioni di vita scadenti, sono protetti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. L'Articolo 25 recita:

Everyone has the right to a standard of living adequate for the health and well being of himself and of his family, including food, clothing, housing and medical care and necessary social services, and the right to security in the event of unemployment, sickness, disability, widowhood, old age or other lack of livelihood in circumstances beyond his control.

Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.

Di seguito è riportata la breve rassegna di GHCR dell'impatto che le misure di contenimento di COVID-19 hanno avuto sui diritti umani nei Paesi MENA:

1. Difensori dei diritti umani detenuti

I difensori dei diritti umani del Bahrein Nabeel Rajab (a destra) e Abdulhadi Al-Khawaja rimangono in prigione, nonostante le richieste del loro rilascio e di tutti i prigionieri politici in Medio Oriente. Crediti: Centro per i diritti umani del Bahrain / CC BY-SA.

La realtà è che la maggior parte dei difensori dei diritti umani è ancora in prigione nei Paesi MENA, in un momento in cui i governi, inclusi quelli del Marocco, dell’Arabia Saudita, e dell’Egitto, hanno rilasciato alcuni prigionieri nell'ambito di misure preventive per contenere la diffusione del virus. Con la diffusione di COVID-19, le vite dei difensori dei diritti umani incarcerati sono a rischio imminente in Paesi come Iran, Egitto, Kuwait, Siria, Bahrain, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Algeria e altri Paesi in cui le prigioni sono sovraffollate e non dispongono di standard sanitari minimi.

Tra quelli attualmente in carcere vi sono i direttori fondatori di GCHR, Abdulhadi Alkhawaja e Nabeel Rajab, rispettivamente in ergastolo e recluso a 5 anni. Negli Emirati Arabi Uniti, Ahmed Mansoor è stato condannato all’isolamento per tre anni, mentre stava scontando una pena detentiva di 10 anni a causa del suo attivismo per i diritti umani, tra cui l'espressione pacifica delle sue opinioni sui social media. In Arabia Saudita, anche l'attivista per i diritti delle donne Lugain al-Hathloul continua a rimanere in prigione.

2. Accesso alle informazioni e chiusura dei giornali

La maggior parte dei governi dei Paesi MENA non sta dichiarando il numero effettivo dei casi delle persone infette dal virus e rende anche molto difficile ai giornalisti il reperimento di informazioni affidabili sulla diffusione, il trattamento e le vittime di COVID-19. Inoltre, i giornalisti che stanno fornendo informazioni concrete sulla crisi ai cittadini sono a rischio.

Ad esempio, nello Yemen, il 23 marzo 2020, Muammar Al-Aryani, il ministro delle comunicazioni del governo del presidente Abd Rabbu Mansour Hadi, ha emesso un decreto [ar] il numero (6) per l'anno 2020, in cui nel suo primo articolo si afferma: “La pubblicazione di giornali governativi e di giornali privati ‘cartacei’, sarà sospesa e verranno pubblicate solo copie elettroniche”. Ciò vale a partire dal 25 marzo fino al 12 aprile 2020, come indicato nell'articolo (2) del decreto in esso, e rientra nel pacchetto di misure di contenimento e precauzionali adottate dal governo per prevenire la diffusione di COVID-19.

In Oman, il 22 marzo 2020, il Comitato Supremo eletto per affrontare l'emergenza COVID-19 ha ordinato a qualsiasi giornale, rivista o altra pubblicazione, di cessare la stampa e la circolazione secondo le linee del Times of Oman, che ha pubblicato l'ordine del Comitato. L'ordine ha proibito anche la vendita e la diffusione di giornali, riviste e pubblicazioni importate nel Paese.

In Marocco, lo stesso giorno il Ministro della cultura, dei giovani e dello sport, Hassan Abyaba, ha annunciato tramite una dichiarazione [ar] la sospensione della pubblicazione e della distribuzione di giornali cartacei fino a data da destinarsi.

In Giordania infine, il 17 marzo 2020, il Consiglio dei ministri giordano ha sospeso la pubblicazione di tutti i giornali per due settimane, secondo una dichiarazione [ar] ufficiale del Ministro delle comunicazioni Amjad Adaileh. La pubblicazione dei giornali continua ad essere sospesa a causa della quarantena e della richiesta da parte del governo di rimanere nelle proprie case.

3. Il progetto di legge minaccia la libertà di espressione in Tunisia

Il progetto di legge n. 29/2020 [ar] sulla modifica degli articoli 245 e 247 delle disposizioni del codice penale, è stato presentato al Parlamento tunisino il 29 marzo. Il disegno di legge, che è stato ritirato il giorno dopo a seguito delle proteste dei gruppi della società civile e dei cittadini, ha cercato di criminalizzare la “divulgazione di qualsiasi discorso falso o discutibile tra gli utenti delle reti di comunicazione e delle piattaforme dei social media, che possa essere offensivo per individui, gruppi o istituzioni”.

Il disegno di legge era in palese contraddizione con gli articoli 31,32 e 49 della Costituzione tunisina e con l'articolo 19 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, ratificato della Repubblica tunisina. Se adottato, avrebbe inevitabilmente annullato diversi articoli del decreto legge 2011-115 del 2 novembre 2011 sulla libertà di stampa e di editoria, poiché contenente disposizioni giuridiche globali per i reati di pubblicazione di notizie false (articolo 54) e calunnie (articoli 55 e 56).

4. Detenzione temporanea per la diffusione di voci negli Emirati Arabi Uniti

Il primo aprile 2020, il Gulf News, un quotidiano in lingua inglese con sede a Dubai, ha pubblicato un articolo nel quale viene affermato che “coloro che faranno circolare informazioni infondate potranno essere incarcerate per un anno con l'accusa di diffusione di notizie false”. Si rende possibile pertanto che il COVID-19 possa essere usato come pretesto per imprigionare alcuni dei blogger e attivisti di internet, presi di mira dall'Apparato di Sicurezza Interna.

5. Messa in atto di procedure per la localizzazione

Alcuni stati del Golfo come il Bahrain si stanno servendo o prendendo in considerazione l'uso di tecnologie di localizzazione, che consentirebbero la completa rivelazione degli spostamenti dei cittadini. Si teme che l'uso di queste applicazioni in Paesi ampiamente noti per violazioni gravi e documentate dei diritti umani, consentirà loro di imporre ulteriori restrizioni alle libertà personali.

6. Xenofobia nei confronti dei lavoratori migranti nel Golfo

In Kuwait, in un’intervista [ar] del 31 marzo 2020, l'attrice Hayat al-Fahad ha richiesto che i lavoratori migranti venissero espulsi dal Paese fintanto che questo si troverà a fronteggiare la crisi nata dalla diffusione di COVID-19.

Il 10 marzo 2020, dopo la pubblicazione di una foto che ritraeva un lavoratore migrante saudita aramco vestito da gigantesca bottiglia di disinfettante, la compagnia petrolifera è stata aspramente attaccata per tali maltrattamenti disumani nei confronti del lavoratore, classificabili come razzisti. La compagnia si è in seguito scusata.

I rapporti che il GCHR ha ricevuto da vari paesi del Golfo hanno confermato che ai lavoratori migranti non viene dato uguale accesso alle cure mediche e che si trovano ad affrontare momenti difficili al momento, poiché molti di loro vivono e lavorano già in condizioni sfavorevoli.

Le autorità dei Paesi MENA potrebbero aiutare a fermare la diffusione di COVID-19 liberando tutti i difensori dei diritti umani e i prigionieri di coscienza dal momento che non rappresentano un rischio per il pubblico, ma sono piuttosto loro stessi ad essere a rischio. Durante la detenzione, è necessario che le autorità rispettino le Regole minime standard delle Nazioni Unite per il trattamento dei detenuti, fornendo assistenza sanitaria di base e servizi igienico-sanitari a tutti. Fondamentale è anche che vengano consentite le visite degli esperti delle Nazioni Unite e del Comitato Internazionale della Croce rossa (CICR).

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