Questo post fa parte di una serie speciale [it] di articoli dell'attivista e blogger Marcell Shehwaro, che descrivono la realtà della vita in Siria durante l'attuale conflitto armato tra le forze fedeli al regime e coloro che vogliono liberarsene.
In un giorno molto normale, durante un pranzo con un amico in Turchia, lontano dai boati delle bombe e della morte, e vicina a soffocare per il senso di colpa di essere lontana dalla mia città, a godermi lussi come elettricità e servizi di comunicazione mentre Aleppo sta morendo, io, da drogata dei social quale sono, ho aperto la mia pagina Facebook. Li ho trovato un messaggio in bacheca da parte di un amico molto legato ai ribelli. Diceva:”Marcell, la sicurezza al posto di blocco di Sabaa Bahrat [en] è stata eliminata. Distrutta dai bombardamenti di oggi. So che per te vuol dire molto. Spero che [il palazzo] delle forze aeree sarà il prossimo. Forse allora anche io sentirò qualcosa di simile a ciò che provi tu ora.”
Questo amico mi conosce bene. Sa quanto odio che in Arabo pronuncino il mio nome con la ”A” e lo evita. Sa che questo posto di blocco in particolare ha un grande valore personale per me e non solo da un punto di vista rivoluzionario. Lui c'era al funerale di mia madre, uccisa in un attacco a sangue freddo proprio a quel posto di blocco delle forze di sicurezza. Sapeva anche che avrei capito il suo dolore quando mi ha detto del palazzo delle forze aeree, dove molti manifestanti sono stati torturati ed uccisi. E sapeva perché avrei capito il suo desiderio che venga distrutto.
Per un momento sono stata scioccata dalla notizia. Era la fine assoluta di coloro che avevano posto fine alla mia vita e non capivo esattamente cosa provassi. Ciò che provavo, infatti, era confusione totale.
Lasciate che vi spieghi alcuni dei valori con cui sono stata cresciuta in casa mia. Come essere umano appartenente ad una famiglia cristiana sono cresciuta con l'idea che solo l'amore fraterno possa alleviare il dolore in un mondo di odio. Pensavo che tutte le vite, non importa a chi appartenessero, fossero assolutamente sacre. Ecco perché ero contraria all'aborto,alla guerra,alla pena capitale.
Ancorata alla mia idea che il perdono fosse potere, e che Cristo, nel quale credevo, ci avesse comandato di perdonare chi ci aveva offeso, la mia vera sfida era stata perdonare gli uomini a quel posto di blocco, i miei nuovi nemici, coloro che avevano ucciso mia madre.Avevo fallito. C'era stata una fase in cui ero diventata ossessionata dagli assassini di mia madre. Chi erano? Cosa facevano? Da che famiglia venivano? A quale gruppo appartenevano? Addirittura avevo pagato qualcuno per avere queste informazioni. Le tenevo scritte su un pezzo di carta per molto tempo, finché sono stata abbastanza forte da distruggerle.
Potevo consegnare i nomi nelle mani dei miei amici combattenti dell’ Esercito Siriano Libero, che li avrebbero fatti circolare fino a punire i colpevoli. Ma li ho distrutti perché non riuscivo a decidere che morissero, non avrei nemmeno potuto partecipare a una tale decisione. Avere questo potere mi terrorizzava. Avere il potere di essere insieme vittima e carnefice è un privilegio, ma anche una maledizione, ed era oltre le mie capacità.
Ciò nonostante li cercavo. Ogni settimana li osservavo da lontano. Sfortunatamente erano persone come noi. Sorridevano e si stancavano. Scherzavano tra di loro e si arrabbiavano. Lavoravano su due turni e io mi chiedevo chi fosse stato presente il giorno della morte di mia madre.
Bevevano il thè come piaceva a me, dolce e leggero. Uno di loro aveva un figlio piccolo che lo andava a trovare al posto di blocco con una donna velata di cui non riuscivo a scorgere i tratti. Sua moglie sapeva che lui aveva sparato a mia madre? O,più precisamente, che l'aveva uccisa? Più tardi mi sono accorta che non riuscivo a pensare a mia madre senza pensare anche a loro. I volti dei suoi assassini iniziavano ad apparire dove una volta c'erano il suo sorriso e i suoi capelli. La voce della vendetta dentro di me era più potente di qualsiasi cosa avessi mai provato, più potente persino della sua risata. Quel giorno ho deciso che avrei smesso di pensare a loro.
Non provo più rancore per loro, ma non li posso perdonare. Sono bloccata in uno spazio tra il dolore, la vendetta ed il perdono. Non posso riconoscere che anche loro potrebbero essere vittime del regime di Assad, che li ha resi degli assassini, per quanto potrebbe essere vero.C'è un processo in corso tra noi che avevo sperato di lasciar cadere una volta soppresso il regime di Assad, come segno di perdono, perché penso sarebbe parte della soluzione per una Siria più pacifica.
Perciò la notizia che il posto di blocco era stato bombardato dal Fronte Islamico pochi giorni prima è uno schiaffo in faccia. Sono felice della loro morte? Sono veramente cambiata così tanto da provare piacere per la morte di qualcuno? Ho perso il privilegio di perdonarli, un giorno? La vita è meno sacra ora, per me? La guerra ha totalmente infettato la mia psiche?
Non so cosa provo esattamente, ma in questo momento capisco il grido di tutte le vittime che reclamano vendetta. E come tutto perda valore quando la tua normalità è affrontare la morte. So che imparare ad adattarsi ti porta a riverire più la morte che la vita. Ai giorni nostri, diventati uno uguale all'altro, la morte è la normalità e la vita un'eccezione.
Il Fronte Islamico ha dichiarato che secondo le prime informazioni più di 50 soldati e scagnozzi di Al Assad sono stati uccisi nell'operazione. Mi chiedo se tra quei 50 ci fossero gli assassini di mia madre. Oppure erano persone innocenti nel posto sbagliato al momento sbagliato? Non desidero vendetta, ma tra la mia tristezza per gli innocenti e gli amici, non riesco a sentirmi triste per un posto di blocco, né per le istituzioni statali o per degli assassini. Sto ancora cercando di trovarmi sorpresa provando tristezza per la perdita di innocenti. Non sono capace di rattristarmi per la morte di assassini, nonostante creda fermamente che la pace sia l'unica soluzione al mondo.
Quest'anno, per il mio compleanno, ho ricevuto una piccola pistola da un mio amico che era preoccupato per me, vulnerabile in un paese in cui quasi tutti girano armati. Chi l'avrebbe mai detto che un'arma sarebbe stato un simbolo d'amore? Ma sono triste di essere doppiamente vittima. La prima volta è stato quando ho perso mia madre; la seconda quando ho perso la mia condizione di vittima. L'assassina dentro di me è cresciuta, e ho iniziato a sentirmi felice per la morte degli altri.
La mia sopravvivenza dipende dalla morte degli altri. Questa è l'idea con cui cerco di convivere e che uso come scusa:” deve morire perché io possa vivere”. E questo è il modo in cui questo regime sanguinario vincerà, alla fine, a dispetto di tutti i cambiamenti politici in Siria. Il regime ce l'ha fatta a trasformarci tutti in assassini. Mi sento triste per i nostri bambini, che dovranno vivere con noi che siamo diventati macchine di morte o persone che godono della morte altrui.
Il blog di Marcell Shehwaro è marcellita.com [en] e i tweet all'indirizzo @Marcellita sono principalmente in arabo. Leggi gli altri post della serie qui [it].