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La lezione fondamentale che abbiamo imparato dall'epidemia di COVID-19 è l'importanza della libertà di parola

Categorie: Asia orientale, Cina, Hong Kong (Cina), Censorship, Citizen Media, Libertà d'espressione, Politica, Salute, COVID-19, The Bridge
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Foto file del governo di Hong Kong.

Questo articolo è di Kevin Carrico, Professore Senior di Studi Cinesi presso l'Università di Monash. È stato pubblicato [1] [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] originariamente in Hong Kong Free Press il 25 marzo 2020. Ed è ripubblicato su Global Voices grazie a un accordo di condivisione dei contenuti.

Se impariamo qualcosa dalla diffusione del COVID-19 in tutto il mondo, dovrebbe essere l'importanza della libertà di parola.

La decisione del Partito Comunista Cinese di silenziare la discussione sulla malattia emergente e di punire i medici che hanno lanciato l'allarme ha creato un ambiente ideale per questo virus che si è diffuso in tutta Wuhan [2], poi attraverso la Cina e, infine, in tutto il mondo [3].

Mentre questo virus continua a diffondersi, infettando centinaia di migliaia di persone e uccidendone decine di migliaia, perché esiste una pressione a Hong Kong e oltre, per silenziare la discussione su questa malattia e punire i medici che lanciano l'allarme sulle sue origini?

“… affronteremo inevitabilmente la SARS 3.0”

Il 18 marzo 2020, il giornale Ming Pao di Hong Kong ha pubblicato un articolo di opinione [4] [zh], intitolato “Questa pandemia ha avuto origine a Wuhan, la lezione di 17 anni fa è stata completamente dimenticata.” Gli autori Dr. Kwok-Yung Yuen e Dr. David Lung sono esperti impareggiabili nel loro campo. Il Dr. Yuen è un microbiologo, il cui gruppo di studio sulla SARS ha scoperto [5] il ruolo del Coronavirus nell'epidemia di SARS all'inizio del 2003. Anche il Dr. Lung è un microbiologo, ha recentemente pubblicato [6] [uno studio] sul rilevamento del COVID-19 mediante campioni di saliva.

Nel loro articolo gli autori offrono consigli pratici per comprendere il virus, per un pubblico non specialista. Primo, spiegano come l'Organizzazione Mondiale della Sanità e il Comitato Internazionale sulla Tassonomia dei Virus denomina i virus, riconoscendo anche che l'uso colloquiale di “pneumonia di Wuhan” è comprensibilmente più inequivocabile di COVID-19 o SARS-CoV-2 e non deve quindi essere condannato.

Secondo, Yuen e Lung spiegano che la sequenza genetica ha dimostrato che il virus si è probabilmente originato nei pipistrelli della specie “naso a ferro di cavallo”, prima di passare a un ospite intermedio nel mercato del pesce di Wuhan (molto probabilmente il pangolino, a rischio di estinzione), che poi è servito da epicentro di amplificazione, trasmettendolo dagli animali all'uomo, prima della mutazione che rende possibile la trasmissione inter-umana.

Terzo, gli autori precisano che la teoria del complotto, sponsorizzata dallo Stato cinese, che traccia le origini del virus negli Stati Uniti, è completamente infondata. La reale fonte del virus è il commercio di fauna selvatica in Cina, che il Partito Comunista Cinese (PCC) non ha voluto bloccare 17 anni dopo che la SARS è stata trasmessa dai gatti zibetto all'uomo. Se questo commercio continua, affermano gli autori, “fra un decennio circa affronteremo inevitabilmente una SARS 3.0.”

Una franca discussione delle origini di questo virus e l'esigenza di prevenire un'altra pandemia, scritta dai due esperti in microbiologia, in prima linea nella ricerca e lotta contro la SARS e il COVID-19: questo sembrerebbe essere precisamente il tipo di articolo di opinione di cui abbiamo bisogno in questo momento.

L'articolo di Yuen e Lung ha tuttavia prodotto una tempesta di rabbiosa controversia sui social media cinesi. Il giorno dopo, gli autori hanno ritirato pubblicamente il loro articolo. Yuen e Lung non hanno spiegato quale pressione li ha spinti a tale decisione, ma chiunque si interessi alle libertà accademiche, sempre più fragili a Hong Kong, dovrebbe preoccuparsi profondamente di questa evoluzione.

La terza sezione dell'articolo di Yuen e Lung, che discute il commercio di fauna selvatica in Cina, è indubbiamente la più controversa. Gli autori affermano: “Il Coronavirus di Wuhan è un prodotto della povera cultura del popolo cinese, che cattura e mangia incautamente la selvaggina, tratta disumanamente gli animali, senza rispettare la vita, continuando a mangiare tutti i giorni la selvaggina per soddisfare i propri desideri. Le cattive abitudini del popolo cinese, profondamente eradicate, sono la fonte di questo virus. Se rimangono invariate, fra un decennio circa affronteremo inevitabilmente la SARS 3.0.”

Sarebbe ingiusto, naturalmente, stigmatizzare tutti i cittadini cinesi per i mercati “umidi” della Cina. Sarebbe anche ingiusto colpevolizzare l'intera cultura cinese, a causa del commercio di fauna selvatica. Non è questo, comunque, che stanno facendo Lung e Yuen.

I “wet market” di Wuhan e il commercio di fauna selvatica in Cina

Non è soltanto giusto, ma indubbiamente necessario, stigmatizzare il commercio di fauna selvatica e i mercati umidi in Cina, che hanno già prodotto due gravi malattie (SARS e COVID-19), che hanno ucciso decine di migliaia di persone in tutto il mondo.

Non è soltanto giusto, ma indubbiamente necessario, stigmatizzare le pratiche non scientifiche nella medicina cinese tradizionale, che incoraggiano il consumo di gatti zibetto per curare l'indice glicemico, o le squame del pangolino per trattare l'impotenza maschile. Queste non sono, dobbiamo notare, l'inizio e la fine della cultura culinaria o medicinale cinese, ma sono indubbiamente i componenti di queste culture su cui dobbiamo confrontarci, per il bene della salute globale.

Non è soltanto giusto, ma anche necessario, stigmatizzare la cultura politica che ha consentito la perpetuazione di questo commercio di fauna selvatica, nonostante la prova inconfutabile dei rischi insiti. Il CCP esercita un intenso monitoraggio e controllo sopra tanti aspetti della vita in Cina, al punto che può imprigionare i civili per commenti arbitrari nelle chat private [7]. Eppure, nonostante questo potere e controllo, il CCP ha deciso proattivamente di non agire contro il commercio di fauna selvatica, per quasi due decenni dopo la SARS, facilitando l'emergenza del COVID-19.

È anche giusto e, indubbiamente, necessario stigmatizzare la cultura politica di segretezza e soppressione delle “cattive notizie”, che ha facilitato la diffusione sia della SARS che del COVID-19. La decisione [8] di ammonire il Dr. Li Wenliang per i commenti sul COVID-19, in una chat privata fra altri medici, mostra l'influenza del partito-Stato e l'orrendo abuso di questa influenza.

Anche se queste tendenze, naturalmente, non rappresentano la cultura cinese nel suo complesso, sono tuttavia componenti reali della cultura politica nella Repubblica Popolare della Cina di oggi che, diversamente dai virus che il CCP ha occultato, non possono essere semplicemente ignorate.

[9]

L'indice sulla libertà accademica, realizzato dall'Istituto di politiche pubbliche globali, indica che la libertà accademica a Hong Kong è diminuita costantemente nell'ultimo decennio.

Libertà accademica in questione

Se questa storia fosse finita con la ritrattazione del loro articolo da parte di Lung e Yuen, questa vicenda sarebbe stata soltanto un altro triste esempio delle ortodossie del CCP, che esercitano pressioni sulla libertà accademica a Hong Kong. Il 20 marzo 2020, tuttavia, il Professore Jon Solomon dell'Università Jean Moulin di Lione, Francia, ha lanciato una petizione [10] in Change.org indirizzata a Zhang Xiang, l'attuale vice-rettore dell'Università di Hong Kong, facendo pressione su Zhang affinché licenzi Kwok-yung Yuen. C'è una contro-petizione qui [11].

In questa petizione, Solomon afferma che l'articolo di Yuen e Lung “risuscita il vocabolario del razzismo storico” e ha “danneggiato gravemente l'Università di Hong Kong e, inoltre, Hong Kong e la società civile globale.” Chiede poi a Zhang di fornire una spiegazione pubblica del supporto dell'università per Yuen. Chiede [l'istituzione di] un gruppo per indagare la “storia vivente del razzismo coloniale” presso l'Università di Hong Kong e, “in attesa di ulteriori inchieste,” chiede che l'università “riconsideri la sua nomina del Dr. Yuen.”

Nel suo curioso fervore di richiamare l'attenzione sui retaggi coloniali dietro l'Università di Hong Kong, retaggi di cui siamo tutti consapevoli, Solomon ignora due retaggi molto più rilevanti.

Il primo è il retaggio del lavoro intellettuale critico che si estende, nonostante un retaggio parallelo di repressione, dalle origini della scrittura politica in Cina fino al presente. Mentre Solomon concepisce indubbiamente se stesso come un valoroso guerriero che combatte contro l'orientalismo, è di fatto stranamente orientalizzante ritenere che una discussione critica delle pratiche culturali deva essere radicata nel “razzismo coloniale”, come se la popolazione della Cina fosse rimasta semplicemente seduta per alcuni millenni, senza riconoscere il potenziale per la riflessione critica, e come se qualsiasi discussione critica della cultura da allora deva essere caratterizzata da “razzismo coloniale.”

Lo spettro del diavolo bianco colonizzante che caccia la critica culturale, tuttavia, serve un ruolo cruciale in questa narrativa, rielaborando Solomon come salvatore bianco. Dobbiamo tuttavia chiederci, da che cosa esattamente Solomon sta salvando la popolazione della Cina: un articolo che chiede alla gente di essere onesta sulle origini del virus? Un centinaio di anni dopo il Movimento del 4 maggio [12] [it], la discussione critica sul mangiare il pangolino è adesso al di fuori dei limiti?

Il secondo retaggio che Solomon ignora, ma anche ironicamente agevola, è il crescente ovvio dispiegamento di correttezza politica del PCC, per proteggere la propria regressione politica. Con il suo tipico essenzialismo, il Partito sta dispiegando la vigilanza contro la stigmatizzazione delle persone, come una protezione contro la stigmatizzazione urgentemente necessaria delle pratiche pericolose e della segretezza politica. L'ideale lodevole di proteggere la gente dalla stigmatizzazione serve poi, ironicamente, il proposito di proteggere dalla critica i poteri e le pratiche che stanno mettendo la popolazione cinese e il mondo intero in un rischio gravissimo.

Qualora Solomon sia in disaccordo con l'articolo di Yuen e Lung, non c'è ragione perché non possa scrivere un articolo in Ming Pao esprimendo il suo disaccordo e spiegando la sua comprensione dell'emergenza di COVID-19. Invece, scrivere pubblicamente a uno dei vice-rettori dell'autore, chiedendo una “spiegazione” e “riconsider[azione]” della sua nomina è una chiara minaccia alla libertà accademica, simile a quella esercitata dai “delinquenti” che hanno ripetutamente manifestato per l'Università di Hong Kong per far licenziare Benny Tai, una figura chiave alla guida delle proteste pro-democrazia del 2014.

[1]

Protestanti pro-Pechino manifestano per spingere l'Università di Hong Kong a licenziare Benny Tai. Foto di Apple Daily via HKFP. Usata con autorizzazione.

Quale beneficio effettivo ci sarebbe per Hong Kong, qualora Yuen venga inquisito per le sue riflessioni? Ci saranno forse rischi reali per il mondo, qualora lo specialista di Hong Kong, leader nella ricerca sul Coronavirus, dovesse diventare timoroso di parlare francamente.

Una tale soppressione della libertà accademica meriterebbe una condanna in qualsiasi contesto. Nel contesto di Hong Kong oggigiorno, dove sia la libertà accademica che la libertà di parola sono sempre più minacciate da un partito-Stato che spinge la stessa linea di Solomon, questo tipo di soppressione merita una doppia condanna. Questo tipo di soppressione della libertà di parola ci ha portato a questo caos, due volte, e probabilmente lo farà di nuovo. Ripetere l'errore non è un pericolo da sottovalutare.