Questo post fa parte di una serie speciale di articoli dell'attivista e blogger Marcell Shehwaro, che descrivono la realtà della vita in Syria durante l'attuale conflitto armato tra le forze fedeli al regime e coloro che vogliono liberarsene.
Per molto tempo ho rimandato questo articolo. Per qualcuno che ha perso la madre a causa di un proiettile, scrivere di madri, e della Festa della mamma, non è molto terapeutico. Anche se siamo d'accordo che la scrittura abbia poteri magici, alcuni dolori sono semplicemente troppo colossali. Ti logorano anima e corpo, e sono immuni ad ogni cura.
Ho detto a me stessa che avrei scritto di mia madre prima della Festa della mamma (che quest'anno in Siria cade il 21 marzo), in modo da essere più obiettiva e neutrale. Non so chi mi aveva detto che per riportarvi fedelmente la realtà bruciante della Syria dovevo essere fredda e professionale. Ovviamente non sono neutrale in nessuna delle mie posizioni. Sono figlia di questa terra, ho una madre sepolta qui e una memoria. E ho amici imprigionati, i cui sogni sono stati spazzati via da un tiranno. Frammenti di quei sogni sono anche in me.
Ho deciso di ritardare e scrivere oggi della Festa della mamma per approfittare delle emozioni che mi consumano in questo giorno, che mi permettono di descrivere il mio dolore. Forse, in questo nuovo e violento stato di sadismo, sperimenterò una qualche felicità, solo sapendo che il mio articolo ha commosso qualcuno di voi.
Ho fallito miseramente. Alla fine, per sfuggire al compito di scrivere, mi sono detta che questa celebrazione non è che un'invenzione. Hafez Al Assad [it]ha rimpiazzato la Festa internazionale della mamma con questo giorno, in modo da far cessare le celebrazioni Norooz [it] delle minoranze curde,che segnano l'inizio della primavera. E poi ci accusano di essere ossessionati con la politica. Come possiamo non esserlo se persino le nostre celebrazioni famigliari sono imposte da un dittatore?
La mia amica Amira [en] mi ha domandato del mio prossimo articolo. Senza nemmeno pensarci ho risposto: mia madre. E mi sono obbligata a scrivere.
Avete ogni diritto di odiarmi per ciò che sto per scrivere, in quanto è scritto per cercare di affrontare la mia tristezza.Ho intrapreso l'opera pensando di farcela, ma mi ha affrontata e ha lasciato residui di dolore nel mio linguaggio, che potrei proiettare su di voi.
Mia madre Marina era una casalinga che ha provato molte volte a trasformare me e mia sorella in delle vere e proprie signorine. Con mia sorella ce l'ha fatta.
La mamma ha sposato papà dopo un tenero corteggiamento, fatto di lettere che riposano ancora in qualche angolo della nostra casa, nella zona occupata di Aleppo che, come sapete, non posso raggiungere.
Mia madre era figlia unica di genitori che si erano sposati tardi e io la prendevo in giro, dicendole che i figli unici erano di solito viziati dai genitori. Non poteva essere meno vero. I suoi genitori morirono presto, lasciandola completamente sola, senza fratelli né parenti. Ciò fece di mio padre, me e mia sorella la sua unica famiglia.
Mia madre, che era abituata alla vita come moglie di un pastore ortodosso molto attaccato ai valori, alle buone maniere e all'amorevolezza nei rapporti, si prese molta cura di tali dettagli, a lui tanto cari. Si occupò di noi amorevolmente, con tutte le discussioni avute con me e tutte le piccole decisioni che aiutò mia sorella a prendere.
Mio padre morì giovane, dopo un attacco di cuore che non gli lasciò scampo. In un battito di ciglia lasciò mia madre sola, con due figlie da crescere. Mia sorella Leila era sul punto di mettere su famiglia, mentre io ero difficile, sempre indipendente e polemica su tutto. Mi sospendevano da scuola perché non seguivo le richieste dell'insegnante o perché avevo scritto un saggio su quanto violenta fosse la nostra scuola.
Dopo che mi sorella si è sposata e ha lasciato casa, io e mia madre siamo vissute insieme per nove anni, da sole. La nostra relazione è fiorita in quel periodo, fino all'inizio della rivoluzione siriana, quando ha letto un post scritto da me intitolato ” il nostro popolo merita la libertà”. A quel punto ha iniziato ad imporre il suo ruolo di madre, consigliandomi e litigando con me. E io, a mia volta, ho cominciato ad imporre il mio ruolo di ribelle che si rifiutava di soccombere alle pressioni famigliari.
Io ed i miei amici attivisti avevamo iniziato a fotografarci di schiena durante le manifestazioni, ma mia madre riusciva comunque ad identificarmi nel mezzo di quella folla di schiene, anche in'un immagine sfocata fatta con un cellulare. ”Marcell, sei tu quella alla manifestazione Salahuddin?” mi chiedeva, Io le mentivo dicendo di no. E lei fingeva di crederci.
Mia madre piangeva ogni volta che sentiva la canzone dei rivoluzionari, che faceva così: ” Vado a protestare, col mio sangue sulle mani/ tornerò da martire, mamma/ non piangere per me.”
Nonostante ciò, viveva la rivoluzione con me. Si ricordava i nomi degli amici arrestati e pregava per loro. Aiutava a riparare le cuciture scadenti delle nuove bandiere rivoluzionarie, che distribuivamo in segreto e nei nostri circoli famigliari e sociali mi difendeva, prendendosi la colpa e le critiche al posto mio.
Ogni volta che le mie precarie condizioni di sicurezza mi obbligavano a scappare all'estero, mia madre mi preparava la borsa. E attaccava una mia istantanea ad un angolo del suo computer. Una settimana prima di venire uccisa mi ha detto: ”tu e tua sorella siete tutto ciò che mi rimane in questo mondo. Se te ne vai, metà del mio mondo se ne andrà. Lo capisci?” E nonostante capissi bene perché avesse tanta paura, mi sono arrabbiata. Una volta le ho dato questa riposta egoista, di cui oggi mi pento: ”io non valgo più dei figli degli altri,e tu non sei diversa dalle madri degli altri. Se fossi in prigione non vorresti che i miei amici protestassero per liberarmi? Non è per questo che ci hai messe al mondo?” Ha chiuso gli occhi piangendo. Poi mi ha detto: ”Memo, sai quanto sono fiera di te?” E io ho sorriso. Penso che siano state quelle parole a rendermi la persona forte che sono oggi.
Una settimana dopo degli ufficiali ad un posto di blocco militare hanno deciso che la macchina in cui mia madre si trovava, di ritorno dal matrimonio di un amico, era in qualche modo sospetta. Le hanno sparato e un proiettile ha colpito mia madre, uccidendola all'istante. Uccidendo mia madre. Mia madre-la donna che credeva nell'amore, nella bellezza, nella famiglia e nel diritto delle madri siriane di vivere una vita libera da paura ed ansia.
Un solo proiettile ha messo fine a tutto. Le ha trapassato il corpo, uccidendo anche gran parte di me e della mia anima. Un ufficiale della polizia, dimostrando tutta l'insensibilità del regime verso le nostre anime, mi ha detto: ” è stato l'errore di una persona. Non la prenda sul personale.”
Un giorno vi scriverò della sua morte, del suo funerale e della mia perdita; ma oggi volevo presentarvi mia madre com'era da viva.
A te mamma, che continui ad essere viva nella mia memoria, ogni anno. Spero che tu sia fiera di me come lo eri quel giorno.
Leggi il blog di Marcell Shehwaro su marcellita.com [en] ed i tweet all'indirizzo @Marcellita [en] sono principalmente in arabo. Puoi leggere i primi tre post della serie qui [it] , qui [it] e qui [it].