Numerosi raduni religiosi in Indonesia avrebbero avuto un ruolo spropositato nella diffusione di focolai di COVID-19 nel Paese. Questa conclusione sta creando qualche grattacapo all'amministrazione del Presidente Joko Widodo, che parla di una nuova normalità [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] per rimettere in moto il Paese, ed è riluttante ad irritare i gruppi religiosi conservatori – una fonte importante di sostegno politico.
Il 3 giugno, l'agenzia di stampa ufficiale di Stato ha riportato l'incontro del Presidente Joko Widodo con i leader religiosi per discutere la possibilità di riaprire i luoghi di culto rimasti chiusi a causa della pandemia. Da allora moschee e chiese hanno riaperto i battenti, anche se non a pieno ritmo.
La prospettiva di una completa riapertura ha causato apprensione tra chi teme una seconda ondata del virus.
Pembukaan tempat ibadah sebagaimana tercantum dlm surat edaran Menteri Agama Fachrul Razi di tengah pandemi dikhawatirkan terlalu tergesa-gesa dan berpotensi menjadi kluster baru penyebaran virus karena orang tanpa gejala yang datang tidak bisa terdeteksihttps://t.co/HTLJnfxmSf
— M Agustinus (@magustinusprb) June 1, 2020
Riaprire i luoghi di culto nel bel mezzo della pandemia come suggerito nella lettera del Ministero per gli Affari Religiosi, sembra affrettato. Questa iniziativa potrebbe creare nuovi focolai perché è difficile identificare fedeli che non mostrano sintomi.
Korea gagal new normal dan dilakukan pembatasan kembali. Indonesia kayanya belum kepikiran nanti kalau kasusnya naik lagi maka akan PSBB kembali. Urgensi pembukaan rumah ibadah duluan diatas semua termasuk ekonomi.
Apakah ada yang melakukan review setelah pembukaan rumah ibadah?— Yonatan Purba ? (@yonpurba) June 5, 2020
La Corea (del Sud) non ha applicato misure di Nuova Normalità – ha ripristinato le restrizioni! In Indonesia sembra che non si stia riflettendo a riguardo. La riapertura dei luoghi di culto è vista come una priorità al di sopra dell'economia. Ci sarà un riesame della riapertura dei luoghi di culto?
Identificare i focolai
All'inizio le autorità erano riluttanti ad imporre misure per limitare le attività religiose di fronte al COVID-19.
A febbraio, il Vicepresidente dell'Indonesia, nonché influente religioso conservatore Ma'aruf Amin è arrivato a citare il qunut, una particolare preghiera che viene recitata contro minacce e cattivi presagi, come cruciale per contribuire a contenere il virus.
Lo scorso anno, la scelta di Amin come vicepresidente aveva aiutato Widodo ad assicurarsi la rielezione in una elezione molto combattuta.
Tuttavia, con l'aumentare dei casi [it] di COVID-19 a marzo e aprile, i cosiddetti ‘super diffusori’ del virus sono diventati un argomento molto discusso nel dibattito pubblico.
Quello dei ‘super diffusori’ è un fenomeno applicabile alla trasmissione delle malattie in tutti i tipi di ritrovi di massa. In Indonesia questi raduni sono stati perlopiù di natura religiosa.
A marzo, ad esempio, si è tenuto un Tabligh Akbar* nella provincia indonesiana di Sulawesi.
Il governo locale ha fallito nel posticipare l'evento, che non è stato fermato fino a quando il governo centrale non ha emanato una direttiva da Giacarta. Nel frattempo l'evento aveva radunato fino a 8000 fedeli indonesiani e alcune centinaia di stranieri.
Secondo le autorità sanitarie indonesiane quest'unico evento avrebbe causato focolai in 22 province.
Precedentemente nello stesso mese, un ritiro spirituale cristiano tenutosi all'inizio di marzo [id] a Badung, nella provincia di Giava Occidentale, aveva radunato 2000 persone. Il Governatore Ridwan Kamil ha poi descritto [id] l'evento, tenutosi in un hotel di Badung, come uno dei quattro focolai nella provincia. Otto partecipanti [id] al rientro dal ritiro sono stati ricoverati dopo essere risultati positivi al COVID-19, e quattro sono poi deceduti.
Il primo test di tracciamento per le autorità è arrivato con un evento tenutosi nella confinante Malesia dal 27 febbraio al 1 marzo.
La cerimonia di quattro giorni del Tabligh Akbar alla moschea Sri Petaling di Kuala Lumpur in Malesia ha coinvolto 10.000 persone da vari Paesi, inclusi 700 cittadini indonesiani.
Da questo evento, che ha creato uno dei più grandi focolai di COVID-19 in Malesia, Giacarta ha tentato con fatica di rintracciare i partecipanti, dal momento che i cittadini rimpatriati hanno in gran parte ignorato le indicazioni di mettersi in auto-quarantena e sottoporsi ai test.
L'Indonesia ha ora iniziato a monitorare attivamente cerimonie e raduni religiosi frequentati da indonesiani residenti all'estero tramite le sue ambasciate e leader della diaspora.
Tra moschee, chiesa e Stato
Sotto la pressione crescente, gli organismi religiosi ufficiali il 19 marzo hanno raccomandato alle proprie congregazioni di prendere misure sanitarie di sicurezza celebrando funzioni religiose a distanza [id].
Ora il governo ha rivelato delle linee guida per la riapertura dei luoghi di culto come parte della campagna della ‘Nuova Normalità’ finalizzata principalmente a riavviare l'economia.
Queste raccomandazioni sono state accolte da una reazione mista, anche da parte di alcuni leader religiosi che hanno espresso preoccupazione per l'impatto della riapertura dei luoghi di culto sulla salute pubblica.
Se il potenziale rischio di ‘super diffusori’ nelle congregazioni di massa è una fonte di preoccupazione per l'opinione pubblica, l'impatto del recente mudik — una tradizione annuale che vede migliaia di residenti delle città rientrare nei propri paesi natali per incontrare i parenti in occasione delle celebrazioni dell'Eid — è altrettanto preoccupante.
Il Consiglio degli Ulema dell'Indonesia (MUI) ha emanato un editto di haram (proibizione) contro il mudik di quest'anno nel tentativo di fermare la trasmissione del virus.
Molte persone, tuttavia, sono riuscite a sfruttare delle scappatoie nel sistema comprando su varie piattaforme online dei finti certificati medici, che le dichiaravano negative al COVID-19 e quindi idonee a viaggiare. Ci si aspetta un picco nel numero di casi di coronavirus (attualmente poco più di 32.000, con 1883 decessi).
Questo mese ha anche portato delusione ai più di 200.000 indonesiani che avrebbero dovuto prendere parte al pellegrinaggio Hajj alla fine di luglio.
Il divieto del governo arriva mentre l'Arabia Saudita continua a tergiversare sul tenere o meno l'evento.
Riconoscendo che i pellegrini del paese con la popolazione musulmana più numerosa al mondo spesso aspettano anni per entrare nella lista dello Hajj, il Ministro per gli Affari Religiosi dell'Indonesia Fachrul Razi ha definito la decisione “molto amara e difficile”.