È passato un anno dall'inizio delle proteste contro la legge sull'estradizione in Cina. Il sito web di notizie di Hong Kong Stand News ha curato una serie di articoli per riflettere sul movimento di opposizione. Global Voices pubblica una versione editata di questi post sulla base di un accordo di partnership sui contenuti. La versione originale in cinese [zh] di quest'articolo è stata scritta da Francis Lee, professore alla Scuola di Giornalismo e Comunicazione all'Università Cinese di Hong Kong.
Il mese di giugno rappresenta il primo anniversario dell'inizio delle proteste a Hong Kong contro l'estradizione in Cina.
A partire da fine gennaio, con l'inizio dell'epidemia di COVID-19, la polizia di Hong Kong ha vietato manifestazioni e raduni pubblici, usando come giustificazione le misure di controllo sanitario conosciute come Divieto di Assembramenti [it].
La norma ha impedito alle organizzazioni di indire proteste di massa. Il rischio che singoli manifestanti scendano in strada, invece, è sempre più concreto, dato che Pechino si sta preparando a imporre su Hong Kong una rivoluzionaria legge sulla sicurezza nazionale.
Oggi le proteste sono molto più contenute rispetto a quelle di giugno 2019, quando centinaia di migliaia di persone sono scese regolarmente in piazza nelle manifestazioni antigovernative più grandi della storia.
Ma i sondaggi di opinione indicano che la rabbia del popolo di Hong Kong contro la polizia e le autorità governative rimane immutata.
Un'occhiata ai numeri
Un recente sondaggio del CCPOS, il Centro per la Comunicazione e i Sondaggi dell'Opinione Pubblica* [zh] dell'Università Cinese di Hong Kong, realizzato a fine maggio, mostra che il 45,8% degli intervistati sente una totale mancanza di fiducia verso il governo e il 47,5% non si fida della polizia.
Nel contesto della controversia sulla legge sulla sicurezza nazionale [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione], il 41,4% del partecipanti è completamente insoddisfatto dell'attuazione del principio “Un Paese, due sistemi” [it] a Hong Kong.
Più del 60% degli intervistati è contrario alla decisione di Pechino di emanare una nuova legge di sicurezza nazionale aggirando la legislatura di Hong Kong. Questo dato differisce notevolmente dalle dichiarazioni del 16 giugno di Carrie Lam, secondo cui solo una piccola minoranza è contraria alla legge.
Alle persone intervistate per il sondaggio è stato chiesto anche se sono a favore o contrarie al proseguimento delle proteste contro l'estradizione in Cina, a prescindere dalla loro forma o strategia. Il sondaggio ha rilevato che il 39,1% è a favore delle proteste, mentre il 39,2% è contrario. I sostenitori dell'establishment pro cinese sostengono che il risultato dimostra che il movimento sta perdendo consensi. Quest'interpretazione, tuttavia, potrebbe non riflettere la realtà.
Storicamente, i sondaggi hanno dimostrato che circa il 20-25% dei cittadini di Hong Kong non era a favore delle proteste anti estradizione fin dall'inizio. Inoltre, la pandemia globale di COVID-19 ha esercitato ulteriori pressioni sull'economia della città, indebolendo ancora di più il sostegno alle proteste.
Tenendo presente queste considerazioni, il fatto che delle proteste che hanno portato la città a una situazione di stallo durata mesi abbiano conservato il sostegno di due quinti dei partecipanti è a dir poco eccezionale.
Questo risultato è paragonabile a un sondaggio del novembre del 2014 condotto due mesi dopo l'inizio della rivoluzione degli ombrelli pro-democrazia [it].
In quel sondaggio il 70% degli intervistati era a favore dell'interruzione del sit-in pacifico di protesta.
Le risposte del sondaggio del CCPOS sono molto diverse a seconda delle fasce d'età.
Nella fascia 15-24 anni, il sostegno per la prosecuzione delle proteste anti-estradizione in Cina è al 71,9%. Nella fascia d'età successiva, 25-39 anni, il sostegno diminuisce al 51,9%. Le proteste hanno il sostegno soltanto del 35,6% della fascia 40-59 anni e del 20,3% di chi ha più di 60 anni.
Per alcuni dei detrattori della prosecuzione delle proteste anti estradizione, l'opposizione è più strategica che ostile verso le proteste.
Diversi commenti sui social media nelle ultime settimane hanno sollevato dubbi sulla possibilità che le proteste possano generare effetti positivi nell'attuale clima politico repressivo, dato che la polizia antisommossa può usare tutta la forza necessaria per sopraffare e arrestare i manifestanti.
Questi commenti spesso sottolineano che, visto che Pechino è determinata a smantellare il principio “Un Paese, due sistemi”, il futuro di Hong Kong dipende dai rapporti diplomatici tra gli Stati Uniti e la Cina e non dalle proteste in strada.
La valutazione di costi e benefici è particolarmente evidente nelle risposte riguardo l'imposizione su Hong Kong di una nuova legge sulla sicurezza nazionale da parte di Pechino.
Anche se il 63,5% degli intervistati teme che la legge danneggerà la libertà e i diritti dei cittadini di Hong Kong, solo il 59% degli stessi intervistati è a favore della prosecuzione delle proteste contro l'estradizione in Cina, mentre il 15,1% è contrario a ulteriori proteste.
Espandere il ‘repertorio della contesa’
Nonostante le restrizioni introdotte durante la pandemia di COVID-19 abbiano limitato la dimensione delle proteste, non sono riuscite a interromperle completamente. A partire da fine aprile sono iniziati diversi flash mob con “canzoni di protesta” nei principali centri commerciali.
Inoltre, si sono svolte manifestazioni mensili per commemorare l'attacco alla stazione di Yuen Long (21 luglio 2019) e l'incidente della stazione Prince Edward (31 agosto 2019), due episodi che hanno messo in luce l'uso eccessivo della forza da parte della polizia contro i manifestanti.
Il 24 maggio migliaia di persone hanno partecipato a un raduno illegale contro la decisione di Pechino di imporre la legge sulla sicurezza nazionale sulla città: la prima grande protesta da quando sono entrate in vigore le restrizioni per il COVID-19.
Poi, il 4 giugno, decine di migliaia di persone si sono riunite per l'annuale fiaccolata a Victoria Park [it] e in una decina di altri distretti in tutta Hong Kong. Quest'anno è il primo in cui la veglia è stata dichiarata illegale dalle autorità, che si sono giustificate con le misure di controllo sanitario.
Infine, il 9 giugno, centinaia di manifestanti si sono radunati nel Distretto Centrale per ricordare l'anniversario della manifestazione con un milione di partecipanti contro la legge di estradizione in Cina.
Tutte queste azioni si sono svolte nonostante i probabili arresti per la partecipazione a raduni illegali.
I dubbi sulla sostenibilità delle proteste anti-estradizione sono stati sollevati fin da quando le proteste si svolgevano da meno di un mese.
Ma con l'espansione della repressione contro i manifestanti, si è ampliato anche il loro repertorio della contesa.
Alla fine le mobilitazioni di massa di giugno 2019 hanno portato a manifestazioni a livello distrettuale [it] e alla creazione dei Lennon Wall [en] in tutta Hong Kong a luglio, seguita dal sit-in pacifico all'aeroporto internazionale della città [it] e dalla formazione di catene umane in tutta la città nell'agosto 2019 [it].
Quando sono ricominciate le scuole a settembre 2019, gli edifici scolastici e i centri commerciali [it] si sono trasformati in luoghi di protesta.
Dopo la vittoria dell'alleanza pro-democrazia alle elezioni distrettuali, i sostenitori del movimento hanno iniziato a promuovere l'idea di un “circolo economico giallo”, in cui le attività pro-establishment sono soggette a boicottaggi popolari, mentre le attività “gialle” o pro-movimento ricevono il sostegno del popolo.
I sostenitori hanno anche proposto l'istituzione di associazioni professionali e organizzazioni sindacali per prepararsi a uno sciopero generale in futuro.
Questo è il probabile orientamento futuro delle proteste, con la resistenza che si infiltra nelle attività quotidiane costringendo l'establishment ad affrontare una lunga guerra di logoramento.
D'altra parte, però, le misure di controllo sanitario non possono durare per sempre e la possibilità che Hong Kong sia ancora testimone di mobilitazioni di massa, nonostante il maggior costo dell'azione collettiva, non può essere ignorata.