“Riflettete su quel disagio”: due trinidadiani bianchi espongono pubblicamente il razzismo

Due manifestanti bianchi mostrano un cartellone con la scritta “Il silenzio non è un'opzione”, durante le proteste per George Floyd che si sono svolte a Washington il 30 maggio 2020. Foto di Victoria Pickering su Flickr, CC BY-NC-ND 2.0.

All'indomani della morte dell'afroamericano George Floyd [it] per mano di un poliziotto bianco a Minneapolis il 25 maggio 2020, si sono svolte le manifestazioni di protesta del movimento #BlackLivesMatter [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo.

Nei Caraibi, la morte di Floyd ha suscitato un'ampia discussione online sui complicati rapporti razziali della regione. A Trinidad e Tobago, il dibattito è stato alimentato dagli irrispettosi commenti di alcuni imprenditori e personalità che occupano posizioni di prestigio nella società.

Un punto chiave della controversia è l'entrata in scena della frase “All Lives Matter” (“Tutte le vite contano”) in risposta alle espressioni di sostegno per il movimento “Black Lives Matter” (“Le vite dei neri contano”), con anziani bianchi o “white-adjacent” (appartenenti a minoranze, ma che usufruiscono del privilegio bianco) trinidadiani che non riescono a capire in che modo la frase, che tanti di loro interpretano come unificante o totalizzante, rappresenti in realtà solo un'altra forma di svilimento.

Così, due giovani trinidadiani, Anya Quesnel e il newyorkese Charlie Reid, hanno pubblicato le loro riflessioni sulla questione, mostrando alla loro comunità i modi in cui partecipano al razzismo, nella speranza che quest'autoanalisi possa ispirarli a sfruttare il loro privilegio per creare equità.

Che cos'è il “privilegio bianco”?

Ricordando un episodio in cui a sua madre fu consegnata una pizza sulla fiducia, perché non aveva soldi con sé per pagare al momento della consegna, Reid definisce il privilegio bianco in questo modo:

Though your life may be chock-full with struggle, though you may have worked honest and hard for every cent you’ve ever earned, the colour of your skin has not been something that has significantly made your life harder. Your whiteness has not been something you must compensate for. Your whiteness has not caused you grave trauma. And if for some unique reason — in a Trinidadian context — your whiteness has caused you discomfort, never will it be comparable to the trauma our non-white brothers and sisters experience and have experienced.

Anche se la tua vita è piena di difficoltà, anche se hai lavorato onestamente e duramente per ogni centesimo guadagnato, il colore della tua pelle non ti ha reso la vita notevolmente più difficile. Non hai dovuto compensare in qualche modo il colore bianco della tua pelle, non ti ha causato un trauma. E se per qualche motivo, nel contesto trinidadiano, essere bianco è stato per te fonte di disagio, nulla sarà mai paragonabile al trauma che vivono e hanno vissuto i nostri fratelli e sorelle di colore.

Nel contesto di Trinidad e Tobago, tuttavia, Reid ha osservato che quel privilegio è strettamente connesso al nepotismo, che, sostiene, “si è unito alla razza per trasformarsi in questo ibrido del privilegio bianco che fa saltare quello che vivo e di cui sono stato testimone in America”.

Il problema del “non vedere il colore”

In una società multietnica come Trinidad e Tobago, la diversità è evidente. Quesnel la inserisce in un contesto storico:

One should never be looking at any part of Trininess without nuance and respect for the complexity of what it means to be a post-colonial (not decolonized) nation. […] By claiming that ‘we doh see colour, we doh see race’, we are ignoring that certain bodies are marked differently to others, and to harmful ends. When you tell your Black friends that you do not ‘see them as black’ you are 1) already displaying your assumption that blackness is inherently a ‘bad thing’, 2) you are invalidating the lived experiences of that friend that have been shaped by their blackness (as yours have been shaped by your whiteness). You are not being racist when you acknowledge that race exists. You are being racist when you fail to acknowledge your own prejudices.

Non si dovrebbe mai considerare l'identità trinidadiana senza tener conto delle sfumature e senza rispettare la complessità di una nazione post-coloniale (non decolonizzata). […] Sostenendo che “non consideriamo il colore, consideriamo la razza”, ignoriamo che alcuni corpi sono diversi dagli altri, e a fini dannosi. Quando dite ai vostri amici neri che “non li vedete come dei neri”, 1) state già dimostrando la vostra convinzione che essere neri è intrinsecamente una “cosa negativa”, 2) state invalidando le esperienze vissute da quegli amici che hanno plasmato la loro identità di appartenenti alla comunità nera (come le vostre esperienze hanno plasmato la vostra identità di appartenenti alla comunità bianca). Riconoscere l'esistenza di una razza non significa essere razzisti. Si è razzisti quando non si riconoscono i propri pregiudizi.

Reid ha aggiunto:

Colour blindness is erasure. By not ‘seeing’ the colour of a person’s skin, you are not acknowledging their hurdles and your privileges. And so, stop being blind. If you are white, see your whiteness, see your neighbor’s blackness, see all the colours in between, celebrate it, witness it, and most importantly, take responsibility for the way the world treats you as a result of it. If you cannot see how the world treats you differently — that’s where your homework begins.

La cecità dinanzi al colore è eliminazione. Non “vedendo” il colore della pelle di una persona, non si riconoscono le sue difficoltà e i propri privilegi. Quindi, smettetela di essere ciechi. Se siete bianchi, riconoscete il vostro essere bianchi, riconoscete l'identità nera del vostro vicino, riconoscete tutti i colori intermedi, celebrateli, testimoniateli e, soprattutto, assumetevi la responsabilità del modo in cui il mondo vi tratta in conseguenza a ciò. Se non riuscite a capire che il mondo vi tratta in modo diverso, allora è il momento di iniziare a impegnarvi.

Affrontare il disagio

Gestire conversazioni difficili e confrontarsi con realtà crude e spesso spiacevoli è parte integrante del problema. Il consiglio di Quesnel?

Sit with that discomfort. Ask why. Know that that your life is always, always, shaped by the privileges you have been afforded because of your whiteness.

Riflettete su quel disagio. Chiedevi perché. Siate consapevoli che la vostra vita è sempre, sempre plasmata dai privilegi che vi sono stati concessi grazie al colore della vostra pelle.

Nell'affermare che “il razzismo al contrario non esiste”, Reid ha aggiunto:

Perhaps, as a white Trini, you did in fact experience discomfort or harassment because of your whiteness. In Trinidad, as a racial minority, I have experienced hostility due to the colour of my skin [but] the cost of the discomfort that I experienced was inconceivably small to the cost people of colour experience due to racism and racist systems. So, we must discuss and continuously call out the systems at play.

Forse, come trinidadiani bianchi, avrete provato disagio o subito maltrattamenti per il fatto di essere bianchi. A Trinidad, in quanto appartenente a una minoranza razziale, ho subito ostilità dovute al colore della mia pelle, [ma] il prezzo del disagio che ho provato è stato incredibilmente esiguo rispetto a quello che le persone di colore hanno subito a causa del razzismo e dei sistemi razzisti. Quindi, bisogna parlarne e chiamare continuamente in causa i sistemi.

La questione della cultura

In uno spazio multiculturale in cui rivendicare la propria appartenenza a una cultura può essere complicato, Quesnel ha sfidato le persone a passare dalle parole ai fatti:

Listen now. Let us be very aware of where the Trini ‘culture’ we parade so proudly came from: struggle. Specifically the struggle of black and brown Trinis to claim a space in the colonized society. […] If we so proud to be Trini to the bone why we bad talk public schools, send our children to private schools in the west when some of us sitting on money we could funnel into reforming public school education and bettering public facilities? Show that T&T pride by investing at home, by investing in home. Loving where you come from is more than patriotic talk for social capital.

Ora, ascoltate. Dobbiamo sapere da dove viene quella “cultura” trinidadiana di cui andiamo così orgogliosi: dalla lotta. In particolare, la lotta dei trinidadiani neri e mulatti nel rivendicare uno spazio nella società colonizzata. […] Se siamo orgogliosi fino al midollo di essere trinidadiani perché parliamo male delle scuole pubbliche, mandiamo i nostri figli nelle scuole private dell'ovest mentre alcuni di noi hanno tanti soldi da poter convogliare nella riforma del sistema scolastico pubblico e nel miglioramento delle strutture pubbliche? Mostrate quell'orgoglio trinidadiano investendo a livello nazionale, investendo nella nostra nazione. Amare il luogo in cui siete nati vale più dei discorsi patriottici per il capitale sociale.

Il linguaggio della razza

Entrambi i giovani si sono mostrati consapevoli dell'importanza del modo in cui si parla della razza. Sia che si utilizzino espressioni negative, sia che si neghi l'esistenza del razzismo e della separazione sociale basata sul colore della pelle, sia che si discuta di temi sensibili come il crimine in termini di razza, le parole hanno potere.

Dato che uno dei versi più amati dell'inno nazionale del Paese è “Here every creed and race find an equal place” (“Qui tutte le fedi e le razze trovano un posto identico”), Quesnel ha consigliato alle persone di educarsi e dialogare:

Know YOUR history. Sit with the discomfort, rage, confusion that kind of work and introspection does. We need to examine and reimagine the ‘place’ every creed and race [is] trying to find equality in. […] If we cannot talk about the legacies of trauma, plundering, violence, genocide and prejudice that are ever present in our day to day- there will be no equality. If the art, voices, feelings, experiences and dreams of Black people are devalued constantly, there will be no equality.

Scoprite la VOSTRA storia. Riflettete sul disagio, sulla rabbia, sulla confusione che nascono da quel tipo di impegno e introspezione. Dobbiamo esaminare e reinventare il “posto” in cui tutte le fedi e le razze cercano di trovare un'uguaglianza. […] Se non riusciamo a parlare delle conseguenze del trauma, dei saccheggi, delle violenze, dei genocidi e dei pregiudizi tuttora presenti nella nostra quotidianità, non può esserci nessuna uguaglianza. Se l'arte, le voci, i sentimenti, le esperienze e i sogni del popolo nero vengono costantemente svalutati, non può esserci nessuna uguaglianza.

Reid, che ha ammesso di aver avuto delle difficoltà nel “riuscire a esprimersi perfettamente”, consapevole di non voler diventare “il fulcro di questo discorso”, ha dichiarato di considerare in passato il razzismo “come una cosa negativa che i neri devono affrontare”:

As I became more educated, I thought of racism as this bad thing that affects all people of colour, and not whites, and as a white person, it was my job not to be ignorant and make it harder for them. Today, I see racism as an issue that white people have. […] This is […] not to put white people at the center of this narrative, but rather to put white people at the center of accountability. […]

The time has long come for us as white people, especially as white Trinis, to talk about racism, as uncomfortable as it may be. It is not enough to say to yourself, ‘But I’m not racist.’ As — a golden tidbit — you are. We all are. I am. We are racist by the very fact that we operate and exist and benefit from the systems that have long favored our whiteness. Uprooting this will take lifetimes of concerted efforts. And people of colour have had enough. It’s time for us in our whiteness to say something, do something, fix something — fix it.

Man mano che studiavo, consideravo il razzismo come una cosa negativa che colpisce tutte le persone di colore e non i bianchi, e quindi, in quanto bianco, il mio compito era non essere ignorante e rendergli le cose difficili. Oggi, vedo il razzismo come un problema dei bianchi. […] Ciò […] non vuole mettere i bianchi al centro del discorso, ma piuttosto al centro della responsabilità. […]

È ormai tempo per noi bianchi, specialmente per i trinidadiani bianchi, di parlare di razzismo, per quanto possa essere un argomento scomodo. Non basta dirsi: “Ma io non sono razzista”, poiché, vi do questa notizia, lo siete. Lo siamo tutti. Io lo sono. Siamo razzisti proprio perché agiamo, esistiamo e approfittiamo di sistemi che favoriscono da tempo il colore della nostra pelle. Sradicare tutto questo richiede una vita di impegno comune. E le persone di colore ne hanno abbastanza. È tempo per noi bianchi di dire qualcosa, fare qualcosa, mettere a posto qualcosa: sistemare le cose.

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