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Dov'è la voce del Pacifico nella storia diventata virale del “vero signore delle mosche”?

Categorie: Oceania, Tonga, Citizen Media, Economia & Business, Idee, Letteratura, Relazioni internazionali, Storia
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Un'isola dell'arcipelago Vava'u, Tonga. Foto dell'utente di Flickr Brownell Chalstrom. (CC BY-NC-ND 2.0) [2]

L’estratto [3] [en, come i link successivi, salvo diversa indicazione] di un libro pubblicato sul Guardian narra le vicende di sei ragazzi tongani naufragati nel 1965 su un'isola dove sono rimasti per 15 mesi. L'articolo ha ottenuto più di sette milioni di visualizzazioni in soli quattro giorni, ma alcuni tongani hanno fatto notare che nella storia, dove viene messo in primo piano il punto di vista del marinaio australiano che ha salvato i ragazzi, manca la voce del Pacifico.

L'articolo del Guardian “Il vero signore delle mosche: cosa è successo ai sei ragazzi naufragati [su un'isola] per 15 mesi”, è stato pubblicato il 9 maggio ed è diventato subito virale attirando l'attenzione di registi e lettori di tutto il mondo. Il libro [4] da cui proviene l'estratto è “Humankind: A Hopeful History” (Umanità: una storia di speranza) dello storico olandese Rutger Bregman.

Bregman narra di come Sione, Stephen, Kolo, David, Luke e Mano siano sopravvisuti sull'isola disabitata ‘Ata per 15 mesi contando l'uno sull'altro dopo che la loro barca è stata distrutta da una tempesta e di come siano stati salvati dal marinaio australiano Peter Warner.

Bregman distingue la storia dei sei ragazzi tongani dal tragico destino dei personaggi del famoso romanzo del 1954 “Il signore delle mosche [5]” [it] dello scrittore inglese William Golding. Nel romanzo i ragazzi sopravvivono ad un incidente aereo e finiscono su un'isola remota del Pacifico. Alcuni diventano violenti, con conseguenze fatali.

Secondo Bregman la storia dei sei tongani presenta una visione dell'umanità molto più positiva:

It’s time we told a different kind of story. The real Lord of the Flies is a tale of friendship and loyalty; one that illustrates how much stronger we are if we can lean on each other.

È il momento di raccontare un altro tipo di storia. “Il vero signore delle mosche” è un racconto di amicizia e lealtà, che mostra quanto possiamo essere più forti contando l'uno sull'altro.

La storia del Guardian è stata ripresa dalla stampa locale di Tonga. Grazie al Matangi Tonga Online abbiamo scoperto i nomi e i cognomi [6] dei sei ragazzi: Kolo Fekitoa, Sione Fataua, “David” Tevita Siola'a, “Stephen” Fatai Latu, Mano Totau e Luke Veikoso.

da sinistra a destra: Tevita Siola’a, Sione Fataua, Peter Warner (il marinaio che li ha salvati, omonimo di uno dei miei zii più anziani), Luke Veikoso, sconosciuto, Fatai Latu, sconosciuto, Kolo Fekitoa, Mano Sione Filipe Totau (mio nonno).

Non tutti sono rimasti contenti della storia pubblicata dal Guardian. In un’intervista audio [9] con ABC Australia Meleika Gesa-Fatafehi, una scrittrice tongana, trova discutibile il fatto che la storia venga raccontata attraverso le “lenti coloniali”. Ritiene che l'attenzione sia troppo focalizzata sull'eroe australiano e che vengano omessi riferimenti al passato coloniale dell'isola (motivo per cui era disabitata) e ai sistemi di credenze locali che avrebbero potuto gettare luce sul perché i ragazzi si siano comportati in un certo modo. Quello che più la infastidisce è che uno straniero detenga i diritti della storia dei sei ragazzi, molto famosa nella comunità tongana.

Gesa-Fatafehi ha aggiunto che comprendere la storia dei tongani e i valori condivisi dalla comunità avrebbe mostrato ai lettori che il romanzo occidentale del “Signore delle mosche” costituisce un contrappunto inesatto con la storia dei sei ragazzi.

In una discussione su Twitter molto popolare, Gesa-Fatafehi ha approfondito altre sue preoccupazioni:

Innanzitutto l'articolo avrebbe potuto fare di più per i ragazzi di cui parlava. Penso che questa storia l'avrebbe dovuta narrare un tongano. Cavolo, ce la raccontavano quando eravamo piccoli, avremmo saputo come narrarla al meglio.

Mancavano tante cose. Non ci si chiede nemmeno cos'abbiano provato i ragazzi né viene fornito alcun dettaglio sul perché abbiano preso determinate decisioni. Manca il loro punto di vista. Mancano i tongani di cui si parla nella storia, con l'eccezione di Mano.

E non so, mi sembra sciocco sorprendersi del fatto che degli isolani siano sopravvissuti dopo essere rimasti bloccati su un'isola.

Non so (scherzo, lo so), ma la Sua storia non è quella con cui sono cresciuta. È raccontata attraverso le lenti coloniali. Sembra fuori luogo, soprattutto essere dipinti come indigeni incontattati [circondati da un'aurea magica] che sorprendentemente sono in grado di vivere lontano dalla terra [ferma]/[proprio]paese.

La giornalista samoana Tahlea Aualiitia ha commentato:

Da samoana, mi ha dato fastidio il modo in cui è stata raccontata la storia dei sei tongani bloccati sull'isola di ‘Ata.
Ne ho appena parlato con @endlessyarning e, una volta che si va oltre all'idealizzazione della storia, il fatto che un uomo bianco possegga i diritti in tutto il mondo della loro storia di sopravvivenza HA DELL'INCREDIBILE.

Il modo in cui la gente parla dei tongani nella timeline sta… diventando fastidioso con gente parla di noi senza rendersi conto che anche noi possiamo condurre questa conversazione.

Su Twitter, Janet. U ha rivelato che suo nonno è uno dei sei naufraghi e ha postato un appello al pubblico:

L'unica cosa che chiedo è NON DI PARLARE DEI 6 RAGAZZI O A LORO NOME se non siete uno di loro o un parente stretto o senza il loro permesso. NON C'ERAVATE!! quindi smettetela per favore. Provate a contattarli visto che la maggioranza di loro è ancora viva.

Bregman ha risposto alla discussione su Twitter di Meleika Gesa-Fatafehi facendo notare che nell'estratto del Guardian manca l'intervista con Mano e Sione.

Intervista a Mano, uno dei sopravvissuti del vero “Il signore delle mosche”. Sono così felice che questa storia riceva finalmente l'attenzione che merita. Un po’ stupito dal consiglio del Guardian di omettere alcune cose – [il giornale] ha selezionato l'estratto.

La versione del mio libro è lunga il doppio. Ho intervistato non solo Mano ma anche Sione, il più anziano dei sei. Ho parlato con entrambi questa settimana e loro sono molto contenti di quello che sta succedendo.

Bregman ha anche aggiunto che ha affrontato la storia della schiavitù sull'isola.

Gran parte del mio libro, così come un altro capitolo sull'Isola di Pasqua, è dedicata alla terribile storia della tratta degli schiavi nel Pacifico.

Il 13 maggio il Guardian ha pubblicato un’intervista [18] con Mano. L'articolo cita Mano e Bregman, il quale chiarisce che Warner non ha tratto vantaggi economici dalla storia del salvataggio.

Gesa-Fatafehi ha postato una critica al tweet [19] di Bregman in cui lo storico sostiene che la storia non parla di razzismo e colonialismo ma di resilienza e amicizia interraziale:

Ma questa non è una storia di razzismo o colonialismo. È una storia di resilienza e amicizia (interraziale). Peter e Mano sono ancora oggi migliori amici ed escono regolarmente in barca insieme. Mano dice di Peter «è come un padre per me».

Ehi, non sono d'accordo. La storia è strettamente legata alla schiavitù, al razzismo e al colonialismo. Forse lei non lo sa, ma da piccoli ci raccontavano storie su ‘Ata e sui rapimenti. Quei ragazzi sono finiti ad ‘Ata. È importante sapere che le due cose sono collegate al 100%

Gesa-Fatafehi ha scritto [21] un pezzo più lungo che riassume i punti toccati nella discussione su Twitter:

The original article could’ve done more for the six men. The story should have been told by a Tongan. The story should have been told by the men themselves and their families. This is their story, will always be their story. The article doesn’t mention how the boys felt or why they made the choices they made. It lacked their perspective. It lacked the very Tongans the story was about, with the exception of Mano. But even then, Mano was sidelined. He deserves to share his story how he would want to.

L'articolo originale avrebbe potuto fare di più per i sei uomini. La storia avrebbe dovuto essere raccontata da un tongano. La storia avrebbe dovuto essere raccontata dagli interessati e dalle loro famiglie. È la loro storia, sarà sempre la loro storia. L'articolo non parla di come si siano sentiti i ragazzi o del perché abbiano preso certe decisioni. Manca la loro prospettiva. Mancano i tongani di cui narra la storia, eccezione fatta per Mano. Ma anche così Mano è stato messo da parte. Merita di condividere la sua storia come lui stesso avrebbe voluto.

In un'intervista per ABC Australia Gesa-Fatafehi dice che semmai venisse girato un film sui sei ragazzi, il suo consiglio è quello di ingaggiare una troupe del luogo e di integrare la prospettiva locale quando la storia verrà condivisa con il mondo.