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Latitanza finita per Félicien Kabuga, il presunto finanziatore del genocidio dei Tutsi in Ruanda

Categorie: Africa sub-sahariana, Europa occidentale, Belgio, Francia, Regno Unito (GB), Ruanda, Tanzania, Citizen Media, Diritti umani, Etnia, Guerra & conflitti

Monumento commemorativo del genocidio in Ruanda. Foto concessa da The Advocacy Project, utilizzata con licenza CC BY-NC-SA 2.0  [1]

Dopo una latitanza durata 26 anni, Félicien Kabuga, incolpato per il genocidio in Ruanda, è stato arrestato in una periferia parigina il 16 maggio e trasferito presso il Tribunale penale internazionale per il Ruanda.

Un gioco a nascondino durato 26 anni

Félicien Kabuga, di 84 anni, è stato a lungo uno dei fuggitivi più ricercati al mondo. Il Dipartimento di stato americano aveva anche annunciato una ricompensa di 5 milioni di dollari [2] [en] per ogni informazione che potesse condurre al suo arresto. Dopo aver giocato a nascondino con la polizia di diversi paesi per evitare di rispondere ai numerosi capi d'accusa a suo carico, è finalmente stato arrestato il 16 maggio, dopo 26 anni di latitanza, ad Asnières-sur-Seine nella periferia di Parigi.

Avrebbe preferito essere processato in Francia, ma la giustizia francese ha deciso diversamente, disponendo il suo trasferimento il 3 giugno verso il Meccanismo per i tribunali penali internazionali (MTPI) [3] [fr, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione]. Félicien Kabuga è accusato di essere il “finanziatore” del genocidio dei Tutsi [4] [it] in Ruanda del 1994, che fece quasi un milione di morti.

Kabuga era stato incolpato già nel 1997 dal Tribunale penale internazionale del Ruanda [5] [it] (TPIR) per sette capi d'accusa, inclusi genocidio, complicità nel genocidio e incitamento pubblico e diretto a commettere un genocidio, oltre ai crimini commessi in Ruanda tra il 6 aprile e il 17 luglio 1994.

Moutiou Adjibi Nourou, giornalista del sito di attualità economica africana agenceecofin.com, riassume [6] le accuse a carico di Kabuga:

Il est accusé d’avoir créé les Interahamwe (“ceux qui combattent ensemble”), des milices hutu considérés par l’ONU comme les principaux bras armés du génocide de 1994 qui fit 800 000 morts.

Visé par un mandat d’arrêt international, Félicien Kabuga présidait la Radio-télévision libre des mille collines (RTLM), qui diffusa des appels aux meurtres des Tutsi après l’assassinat de l’ancien président Juvénal Habyarimana. Il dirigeait également le Fonds de défense nationale (FDN) qui collectait « des fonds » destinés à financer la logistique et les armes des miliciens et aurait « ordonné aux employés de sa société (…) d’importer un nombre impressionnant de machettes au Rwanda en 1993 », avant de les faire distribuer en avril 1994 aux Interahamwe.

È accusato di aver creato le Interahamwe (“coloro che combattono insieme”), delle milizie hutu considerate dall'ONU come i principali bracci armati del genocidio del 1994 che fece 800.000 morti.

Ricercato con un mandato di arresto internazionale, Félicien Kabuga presiedette la Radio Télévision Libre des Mille Collines (RTLM), che diffuse degli appelli a sostegno degli omicidi dei Tutsi dopo l'assassinio dell'allora presidente Juvénal Habyarimana. Diresse anche il Fondo di Difesa Nazionale (FDN) che raccoglieva “dei fondi” destinati a finanziare la logistica e le armi delle milizie e avrebbe “ordinato agli impiegati della sua società (…) di importare un numero impressionante di machete in Ruanda nel 1993″, prima di farli distribuire tra gli Interahamwe nell'aprile del 1994.

La RTLM ha giocato un ruolo fondamentale in questo genocidio. Infatti, secondo Sandra Ngoga, analista della formazione all'Università di Sherbrooke, dichiara [7]:

Ensuite, durant les 100 jours qui suivirent, elle [RTLM] incitera quotidiennement la population hutu à faire son travail, terme qui faisait référence au massacre des Tutsis. Par ailleurs, les animateurs de cette Radio ont joué un grand rôle dans le déroulement du génocide [8], car ces derniers signalaient aux citoyens le nom et la localisation des victimes tutsi et incitaient la population à effectuer rapidement son travail (7). On estime que la RTLM a contribué à la mort d'un grand nombre de personnes.

Peu après le génocide [8], plusieurs journalistes qui travaillaient pour la Radio ont été accusés de complicité de génocide [8] et de crimes contre l'humanité.

Successivamente, nei 100 giorni seguenti, la RTLM incitò quotidianamente la popolazione hutu a fare il suo lavoro, termine che si riferiva al massacro dei Tutsi. D'altronde, gli animatori di questa Radio hanno svolto un ruolo importante nello svolgimento del genocidio [9], poiché segnalava ai cittadini il nome e la posizione delle vittime tutsi e incitava la popolazione a svolgere rapidamente il suo lavoro (7). Si stima che la RTLM abbia contribuito alla morte di un gran numero di persone.

Poco dopo il genocidio [9], diversi giornalisti che lavoravano per la Radio sono stati accusati di complicità nel genocidio [9] e di crimini contro l'umanità.

È stato durante il confinamento legato al COVID-19 che Kabuga ha assistito alla fine della sua latitanza. Secondo Eric Emeraux, capo dell’Ufficio centrale per la lotta contro i crimini contro l'umanità [10] (OCLCH), citato [11] su hirondelle.org:

La traque a commencé depuis un an lors d’une réunion à La Haye sous l’égide du Mécanisme. Les membres de sa famille sont alors placés sous surveillance par les polices belge, britannique et française, selon les pays où ils résident. L’attention des services français se porte sur un appartement où se rendent souvent des membres de la famille de Kabuga. La surveillance électronique leur permet de constater que, sur 365 jours, il y a toujours un enfant de Kabuga (il en a eu onze) présent dans cet appartement. On avait de bonnes raisons et de gros faisceaux d’indices qui nous permettaient de penser qu’il était derrière, mais jusqu’à ce qu’on ait poussé la porte de sa chambre, on n’était pas sûr. On aurait eu des certitudes si on l’avait vu sortir. Il était très discret. Et il était confiné. Il vivait sous une fausse identité avec un passeport d’un pays africain… Il a eu 28 alias quand même, en 26 ans.

La caccia all'uomo iniziò dopo un anno, durante una riunione all'Aia sotto l'egida del Meccanismo. I membri della sua famiglia vennero posti sotto sorveglianza dalla polizia belga, britannica e francese, a seconda del paese in cui risiedevano. L'attenzione dei servizi francesi si spostò su un appartamento spesso frequentato da alcuni membri della famiglia di Kabuga. La sorveglianza elettronica permise loro di constatare che, su 365 giorni, c'era sempre un figlio di Kabuga (ne ha undici) presente in questo appartamento. Avevamo buone ragioni e una serie di indizi che ci permettevano di pensare che fosse lì dentro, ma finché non venne sfondata la porta della sua camera, non potevamo averne la certezza. Ne saremmo stati certi, se l'avessimo visto uscire, ma era troppo discreto. E poi era confinato. Viveva sotto falso nome con un passaporto di un paese africano… Nei 26 anni di latitanza, ha cambiato 28 identità.

Kabuga ha beneficiato di qualche protezione?

Anche se diversi attivisti gioiscono per l'arresto di Kabuga, sono molti quelli che si interrogano circa la sua impunità durata più di un quarto di secolo. Anche Alain Gauthier, presidente del Collettivo delle parti civili per il Ruanda (CPCR) ha dei dubbi [12] su eventuali complicità di cui Kabuga avrebbe beneficiato in territorio francese.

Secondo un dispaccio dell'AFP che pubblica afriquinfos.com, l'associazione Communauté rwandaise de France (CRF) ha già adito la procura [13] di Nanterre per chiedere di aprire un'inchiesta per identificare gli aiuti che avrebbero permesso a Kabuga una latitanza di 25 anni.

Numerosi militanti dei diritti umani di organizzazioni non governative, così come alcuni giornalisti, condividono gli stessi dubbi su Twitter.

Ida Sawyer, vicedirettrice per l'Africa presso Human Rights Watch, ricorda:

Ruanda: con la morte confermata del presunto genocida Augustin Bizimana, solo qualche giorno dopo l'arresto in Francia di Félicien Kabuga, è necessario raddoppiare gli sforzi affinché Protais Mpiranya, l'ultimo grande fuggitivo, si presenti davanti alla giustizia

Nadia Kabalira (@NadiaKabalira), che si definisce come “la fiera ruandese” (la fière Rwandaise), scrive:

La corte d'appello di Parigi ordina il trasferimento di Félicien Kabuga all'UNIRMCT. Non c'è dubbio che sfrutterà la procedura e finirà in cassazione. Ironia della sorte, la cassazione è l'autorità giuridica e morale suprema ed è precisamente là che Kabuga introdurrà i suoi appelli immorali

LUCHA, un'organizzazione della società civile della Repubblica democratica del Congo, che lotta alla radice per difendere i diritti e la dignità dei cittadini seguendo la non violenza, esclama:

Sospettato e ricercato per genocidio e crimini contro l'umanità, il ruandese Félicien Kabuga viveva in Francia con un passaporto congolese!

Nicolas Berrod, giovane giornalista del quotidiano Le Parisien, scrive:

Un vicino del “finanziatore del genocidio ruandese” Félicien Kabuga ad Asnières-sur-Seine: “È una cosa assurda. Non riesco ancora a crederci. È come se avessi appreso che avevo per vicino Hitler o Klaus Barbie”…

Ma giustizia sarà fatta, conclude Laurent Larcher, giornalista del quotidiano La Croix, dove copre le notizie sull'Africa, e autore del libro “Rwanda, ils parlent – Témoignages pour l'histoire”, che scrive:

La giustizia farà il suo corso, il crimine non la farà franca; è sempre il momento giusto perché un uomo risponda delle sue scelte, delle sue azioni e dei suoi crimini. E lui lo farà davanti ai suoi figli