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Diritti digitali ancora minacciati in Malawi nonostante la storica vittoria della democrazia

Categorie: Africa sub-sahariana, Malawi, Censorship, Citizen Media, Cyber-attivismo, Diritti umani, Elezioni, Legge, Libertà d'espressione, Media & Giornalismi, Politica, Protesta, Advox

Poster di Celter a Chirimba, Malawi, 21 febbraio 2007. Foto di nchenga [1] su Flickr CC BY 2.0 [2].

Questo articolo fa parte di UPROAR  [3][en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], iniziativa di Small Media per sollecitare i governi ad affrontare le sfide dei diritti digitali all’ Universal Periodic Review (UPR) [4]

Il Malawi ha segnato la storia [5] lo scorso maggio, quando si sono nuovamente tenute le elezioni presidenziali dopo l'annullamento della Corte costituzionale dei primi risultati. Nelle successive elezioni, ha vinto l'opposizione. Il Malawi ha ricevuto riconoscimento internazionale perché è la seconda volta che in Africa si svolgono delle rielezioni dopo l'annullamento della Corte ed è la prima volta ad essere l'opposizione a vincere. 

L'annullamento è avvenuto dopo mesi di costanti proteste dei cittadini contro i brogli elettorali [6]. La Coalizione dei Difensori de Diritti Umani (HRDC), che ha guidato la maggior parte delle proteste, ha spesso usato le piattaforme social come Facebook, WhatsApp e Twitter per organizzare e diffondere i suoi messaggi.

Nonostante questa memorabile vittoria per la democrazia, tuttavia, i malawiani stanno ancora affrontando le persistenti minacce ai diritti umani nello spazio digitale.

Senza sbocchi sul mare, con una popolazione di oltre 18 milioni di persone, il Malawi ha uno dei tassi di crescita di accesso a internet più bassi e lenti al mondo. In base al Censo della Popolazione e Edilizia del Malawi 2018 [7] , circa il 14% della popolazione utilizza internet mentre circa il 52% possiede un cellulare.  

Gli scarsi tassi di accesso a internet sono soprattutto dovuti all'inadeguatezza delle infrastrutture e alle eccessive tariffe sui dati, che includono [8] il 17.5% di IVA (Imposta sul Valore Aggiunto) su cellulari e servizi, il 16.5% di IVA sui servizi internet e un ulteriore 10% di accisa sui messaggi da cellulare e sul trasferimento di dati internet, introdotta a maggio 2015. 

Quindi, l'accesso ad internet ha un costo proibitivo per la maggioranza dei malawiani. Ad oggi, luglio 2020,  una connessione dati mensile di 10 Giga costa circa 21 dollari sia con Telecom Networks Malawi (TNM) che Airtel, che è pari a circa metà del salario minimo mensile [9] in Malawi. L'Inclusive Internet Index 2020, che stabilisce la disponibilità e l'accessibilità ad internet, e la rilevanza e disponibilità dei contenuti, ha classificato il Malawi 97esimo su 100 paesi.

Oltre agli elevati costi di internet, le altre minacce ai diritti umani nello spazio digitale riguardano la sorveglianza della polizia degli utenti online, la rimozione dei contenuti online, e le severe condanne per gli utenti internet che violano le leggi del Paese.

Le minacce legali

La pratica del governo della sorveglianza online è radicata nella legge. 

Nel 2016, il parlamento malawiano ha approvato la Legge sulle Transazioni Elettroniche e la sicurezza digitale del 2016 [10] , che limita i diritti umani nello spazio digitale.  L’ Articolo 24(2)(e) della Legge dichiara che la comunicazione online possa essere limitata per “proteggere l'ordine e la sicurezza nazionale”, mentre l’ Articolo 24 (2)(f) dichiara che la comunicazione online possa essere limitata per  “facilitare la limitazione tecnica all'accesso condizionato alla comunicazione online”.  

La legge sulla sicurezza digitale penalizza anche “la comunicazione offensiva” tramite le Tecnologie per l'Informazione e la Comunicazione (ICT), pena il pagamento di ammende o una condanna di massimo 12 mesi di prigione, e pone limitazioni sulla crittografia. Legalmente, questo significa che gli strumenti di messaggistica criptata come Signal e WhatsApp sono considerati illegali in Malawi, almeno in teoria. 

Oltre a questa legge, c'è una miriade di leggi ereditate dall'era coloniale britannica (1891-1964) e dall'era della dittatura del partito del Congresso di Malawi (1964-1994), che minacciano i diritti umani nello spazio digitale. Tra queste, le Sezioni 50 e 51 del Codice Penale [11], che stabiliscono il reato di sedizione, e la Sezione 4 dell’Atto di Protezione di Bandiera, Emblemi e Nomi [12] che considera reato “ogni atto o dichiarazione, pubblicazione o produzione scritta di qualunque contenuto che possa essere considerato insulto, messa in ridicolo o mancanza di rispetto nei confronti di Presidente, bandiera nazionale, stemma araldico e ogni emblema o immagine protetti.” 

Queste leggi combinate hanno permesso la violazione dei diritti digitali in Malawi, che ha assunto diverse forme negli ultimi tempi, inclusa la sorveglianza da parte dello stato, la limitazione di accesso ad internet e la criminalizzazione di alcune forme di comunicazione online. 

Infatti, c'è un numero di casi recenti in cui le autorità hanno usato disposizioni regressive per soffocare la libertà di espressione di utenti, giornalisti, blogger e difensori dei diritti umani. Ad esempio, a febbraio 2016, tre politici dell'opposizione sono stati arrestati e accusati di sedizione per una conversazione di WhatsApp [13] in cui presumibilmente tramavano la deposizione del presidente [14].  Sono stati successivamente assolti dalla Corte suprema a marzo 2017 per mancanza di prove. 

Nel periodo precedente alle elezioni di maggio 2019, Tumpale Mwakibinga [8], un impiegato di banca, è stato arrestato e accusato di “aver insultato il pudore di una donna, cyberviolazione e comunicazione offensiva” per un post su Facebook in cui ha scherzato sul modo di vestire dell'allora first lady del Malawi, Gertrude Mutharika, facendola sembrare come il personaggio del fumetto “Rango”. Adesso è in libertà provvisoria su cauzione [15] in attesa di processo. Una delle condizioni imposte vieta di postare sui social media qualsiasi contenuto riferito alla ex-first lady.     

Prima, il 21 agosto 2018, la polizia di Malawi ha arrestato Manes Hale, un'attivista, accusandola di aver insultato il presidente secondo la Sezione 4 dell'Atto su Bandiera, Emblemi, e Nomi Protetti , per delle osservazioni critiche sul presidente sulla sua pagina Facebook. Lo stato ha successivamente cancellato la causa [16] ma senza motivarne le ragioni. 

Presi di mira i difensori dei diritti umani

Lo Stato ha anche utilizzato la sorveglianza online per controllare i difensori dei diritti umani.

Il 26 agosto 2019, una conversazione di gruppo su WhatsApp dei membri dell'HRDC, il gruppo per i diritti umani dietro la protesta per le elezioni, è stato divulgato alle autorità [17] statali dai sostenitori del partito al potere infiltratisi nel gruppo, peggiorando i già aspri rapporti con il governo e i quadri del partito governante. 

Prima di questo, il gruppo ha subito crescenti minacce dall'allora Presidente Peter Mutharika e dai quadri del partito per aver guidato le proteste contro le frodi elettorali. Ad esempio, in un discorso televisivo trasmesso il 6 luglio 2019, in onore della commemorazione l'indipendenza del Malawi, il Presidente Mutharika ha accusato [18] i difensori dei diritti umani di lavorare con l'opposizione per portare “illegalità”, “anarchia”, e cercare di “rovesciare il governo”. Il presidente ha avvertito che avrebbe considerato ciascuno di loro responsabile, che “alla forza si risponderà con la forza”, e che “si porrà fine a questa assurdità”. 

Poco dopo, diversi dei principali difensori dei diritti umani, specialmente Timothy Mtambo, Reverend McDonald Sembereka e Gift Trapence, hanno, secondo quanto riportato [19], ricevuto minacce di morte. 

Le autorità di Malawi hanno l'obbligo di rispettare, proteggere, promuovere e rispettare i diritti umani dei cittadini, sia online che offline. 

Dunque, lo storico cambio di governo dovrebbe essere un'opportunità di portare cambiamenti significativi per assicurare che i malawiani possano godere dei diritti umani nello spazio digitale.