Il nuovo Comitato di Supervisione di Facebook dovrà rimuovere i contenuti di una nota milizia sudanese

Manifestanti anti-governo in Sudan. Il manifesto recita: “Trent'anni di oppressione.”. Crediti fotografici: Hind Mekki su Flick (CC BY 2.0).

Nell'aprile 2019, il popolo sudanese ha deposto il dittatore militare Omar al-Bashir [en, come tutte le citazioni seguenti, salvo diversa indicazione] che aveva governato il paese per 30 anni.

Tuttavia, come spesso succede quando intervengono cambiamenti storici importanti, parti del vecchio regime – in questo caso, le Forze di Supporto Rapido (RSF) – non sono state smantellate.

“Forze di Supporto Speciale” è il nome con cui è stata ribattezzata la “Milizia Janjawweed“, nota per i suoi crimini contro i civili in Darfur. Le Organizzazioni Internazionali per i diritti umani hanno pubblicato vari rapporti che documentano questi crimini, tra cui “Uomini senza pietà di Human Rights Watch (HRW).

La milizia RSF, nata e cresciuta per molti anni in seno all'ex regime, è ancora attiva sulla scena politica della regione. Inoltre, il gruppo mantiene un'attiva presenza su Facebook.

Recentemente, la milizia è stata coinvolta nell'utilizzo di bambini come soldati nella guerra in Yemen. Il suo leader, Mohamed Hamdan Dagagalo (conosciuto come Hemeti), è nella “lista parziale degli individui che dovrebbero essere sottoposti ad indagini da parte della Corte Internazionale di Giustizia”.

Nonostante questo, Hemeti non solo è libero in Sudan, ma addirittura ha un ruolo nella gestione dello stato. È infatti vicepresidente del Consiglio di Sovranità [it], insediatosi l'anno scorso all'interno di un accordo di condivisione del potere, stilato allo scopo di guidare il Sudan verso la transizione al governo civile nell'arco di un triennio.

Dopo la caduta di al-Bashir, l'RSF è stato accusato di aver organizzato ed eseguito il 3 giugno 2019 una brutale repressione contro i manifestanti che erano radunati in sit-in per chiedere la fine del sistema di governo gestito dai militari. Decine di persone furono stuprate, e centinaia di manifestanti pacifici uccisi. Alcuni cadaveri furono gettati nel Nilo.

A seguito di questo episodio, poi definito il “Massacro di Khartoum”, gruppi internazionali indipendenti per la difesa dei diritti umani – come Human Rights Watch e Amnesty International – hanno pubblicato rapporti che elencavano prove che evidenziavano una serie di violazioni commesse dalla milizia RSF.

Pochi giorni dopo la dispersione delle persone che prendevano parte al sit-in, un'azienda egiziana chiamata New Waves ha lanciato un'importante campagna sui social – comprese le piattaforme possedute dal gruppo Facebook, cioè Facebook e Instagram – con lo scopo di presentare e commercializzare una buona immagine della milizia RSF e dei sui leader.

Nonostante le terribili violenze, l'RSF continua ad essere presente su Facebook, di fatto la principale piattaforma utilizzata dalla milizia per diffondere i suoi messaggi e guadagnare legittimità per poter manipolare il pubblico. La pagina personale del leader di RSF [ar] e la pagina ufficiale [ar] della milizia sono ancora attive, e vi vengono caricati contenuti relativi alle attività della milizia e ai discorsi pubblici tenuti dai suoi capi. Ci sono inoltre varie pagine non ufficiali che supportano Hemeti. Facebook sostiene di non aver rimosso le pagine perché Hemeti è un attore dello stato, anche se in passato ha rimosso gli account di ufficiali statali, tra cui quello del Generale capo della Birmania.

Da oltre un anno, coordino un progetto che ha lo scopo di rimuovere i contenuti pubblicati dalla milizia RSD da internet. Oltre duemila Sudanesi hanno firmato ad oggi una petizione online che chiede a Facebook di rimuovere le pagine. Dalla sezione commenti della petizione si evince chiaramente la rabbia delle persone rispetto all'idea che alla milizia venga concesso spazio su una piattaforma così importante.

Sino ad ora Facebook non ha rimosso i contenuti, nonostante le continue segnalazioni riportate dai meccanismi di denuncia della piattaforma.

Le norme della Community di Facebook spiegano chiaramente che “non è ammessa la presenza su Facebook di organizzazioni o individui che sostengono una missione violenta o sono coinvolte in violenze”. La violenza viene definita come “il genocidio (compresi i tentativi) o il pluriomicidio” e “la violenza organizzata o l'attività criminale”. 

Considerate le passate violazioni e i crimini di guerra documentati dai gruppi per i diritti umani e dall'ONU, pochi esempi della precedente descrizione sono migliori di quello della milizia RSF. E’ inoltre ovvio ai più che l'interesse  della milizia RSF a lungo termine è la destabilizzazione del Medio Oriente, come richiesto da coloro che pagano per far reclutare soldati, tra cui bambini, per guerre che avvengono in altri luoghi della regione.

Il lancio del Comitato di Supervisione di Facebook, che comincerà od operare verso la fine di quest'anno, fornirà alla nostra campagna un meccanismo per ricorrere contro la decisione del gigante dei social network in relazione alla rimozione delle pagine e dei contenuti della milizia RSF. Il Comitato avrà il potere di imporsi su Facebook per quanto riguarda decisioni sulla moderazione di contenuti discutibili. Una volta avviato il meccanismo, abbiamo in progetto di appellarci al Comitato, e, come corollario, di invitarlo aderire alle norme della Community e rimuovere la milizia dalla piattaforma.

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