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Ricordiamo le strazianti parole della “generazione perduta” colpita dalla guerra in Jugoslavia

Categorie: Europa centrale & orientale, Bosnia Herzegovina, Croazia, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Serbia, Slovenia, Citizen Media, Guerra & conflitti, Idee, Media & Giornalismi, Politica, Storia

Foto del soldato Bahrudin Kaletović dell'Armata popolare jugoslava dalla Bosnia ed Erzegovina, screenshot dal video Yutel del 1991. Fonte: Wikipedia [1], uso consentito.

Questa intervista di 29 anni fa, ad ascoltarla oggi, è agghiacciante come allora, se non addirittura di più.

Un diciannovenne dagli occhi scuri, smagrito e abbattuto, in tenuta mimetica, parla a un giornalista di Yutel, un programma jugoslavo di breve durata e noto per la sua copertura relativamente imparziale, mentre cerca di mettersi al riparo dalle forze nemiche.

Senonché, in realtà, non sappia chi siano davvero i suoi nemici [en]:

They are, like, trying to secede, and we are, like, trying to stop them…You know the drill, bro, you've been in the army, you know how it is. You must do what you are told. No officers have died, only my friends…

Loro stanno cercando di separarsi, credo, e noi stiamo provando a fermarli… Sai come funziona, amico, sei stato nell'esercito e sai come vanno le cose. Devi obbedire agli ordini. Gli ufficiali sono tutti salvi, solo i miei amici sono morti…

Bahrudin Kaletović [2] [sh, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] era una recluta dell'Armata popolare jugoslava (JNA). La sua intervista schietta e sincera, libera dallo sciovinismo che si andava diffondendo in diverse zone della Jugoslavia quando il Paese iniziò a frantumarsi nei primi anni '90, lo ha reso un simbolo della “generazione perduta” che ebbe la terribile sfortuna di avere, all'epoca, la cosiddetta “età per combattere”.

Di recente, le parole di Kaletović sono state ricordate in un post [3] su Facebook, scritto dal giornalista bosniaco e professore di filosofia Dragan Bursać per commemorare l'anniversario dell'intervista. Il post del 28 giugno ha generato oltre 4100 reazioni, incluse 329 condivisioni.

“Ho l'impressione che oggi Bahrudin sia più vivo di molti dei nostri contemporanei”, ha scritto Bursać, rimarcando la sfiducia che continua a caratterizzare le relazioni dei cittadini con i leader nazionali delle repubbliche della ex-Jugoslavia da tre decenni a questa parte.

Meno se ne parla, meglio è

I media tradizionali nella regione dei Balcani tendono a evitare la rivisitazione dei motivi alla base delle guerre che hanno causato la dissoluzione della Jugoslavia. Il danno arrecato alle reclute adolescenti di allora, la cui giovinezza fu sacrificata sull'altare del nazionalismo, è un argomento che si presenta di rado nelle conversazioni nazionali. Probabilmente, ciò accade perché molti degli architetti di quelle guerre e i loro diretti discendenti hanno un gran potere ancora oggi.

Kaletović ha combattuto sul fronte jugoslavo (JNA) nella “Guerra dei dieci giorni”, che finalizzò il processo della secessione slovena dalla federazione jugoslava. Il conflitto vide l'uccisione di 44 soldati della JNA e di 19 membri della polizia e della Difesa territoriale slovena (TO), oltre a 19 civili. Circa 5000 membri al servizio della JNA furono catturati [4] [en] dalle forze slovene; e molti di loro erano reclute che si erano arrese in blocco perché non volevano combattere.

Questo schema si è ripetuto durane le guerre successive in Croazia [5] [it] e in Bosnia ed Erzegovina [6] [it], quando reclute, ufficiali e cadetti macedoni si arresero alle forze locali prima di intraprendere un rischioso viaggio per tornare a casa, passando per le rotte pattugliate dalla JNA e dalla polizia serba, oppure aggirandole passando per l'Ungheria e altri Paesi vicini.

L'intervista di Kaletović è stata ripubblicata su Youtube [7] dal servizio di verifica dei fatti Istinomer nel 2011, come parte di un rapporto sul 20° anniversario [8] dall'inizio della guerra. L'articolo descrive le origini del movimento di protesta [9] [en] diffuso nell'Unione e guidato dalle madri delle reclute abbandonate, incluso l'incidente che vide i genitori “occupare” il Parlamento serbo per un giorno, per poi raggiungere la Slovenia [10] [en] per continuare le proteste.

Sebbene le parole di questo giovane soldato rappresentino una parte indelebile della storia delle guerre jugoslave, fuori dall'odierna Bosnia ed Erzegovina, sono poche le persone che sanno cosa accadde al ragazzo in seguito all'intervista.

Come ha rivelato il giornalista Bursać nel suo post [en]:

Bahrudin survived the war and all its traps, survived being taken as prisoner of war twice, he survived the front line, but 21 years ago he died in a traffic accident, on the road to his home in Tuzla. He was traveling to visit his family and his newly born son.

Bahrudin è sopravvissuto alla guerra e a tutte le sue trappole, è sopravvissuto dopo essere stato fatto prigioniero di guerra per ben due volte, è sopravvissuto al fronte; ma 21 anni fa è morto in un incidente stradale mentre tornava a casa sua a Tuzla. Stava andando a trovare la sua famiglia e suo figlio appena nato.

Di seguito, la trascrizione completa di quell'intervista leggendaria.

Reporter: Šta kaže, jeli znate sve podatke, protiv koga se borite i sve to?
Kaletović: Ma otkud znam. Samo znam da pucaju na nas, ništa više.
Reporter: Ne znate ko puca?
Kaletović: Pucaju teritorijalci. Ko bi drugi?
Reporter: A znate li zbog čega se vodi ovaj rat, ova bitka?
Kaletović: Ma otkud znam… Kolko ja kužim, oni kao hoće da se odcijepljuju, mi im kao ne damo. U stvari mi samo hoćemo da se vratimo u kasarne, ništa više.
Reporter: Šta Vi mislite, šta dalje? Kako dalje? Borite se, ili…
Kaletović: Šta ima da mislim, samo živ da ostanem. Jebem ti sunce… Znaš, care, bio si u vojsci, znaš kako je. Šta ti kaže, radiš. A nijedan oficir nije poginuo, sve moji jarani poginuli….
Reporter: Kolko je tvojih drugova poginulo, znaš li danas?
Kaletović: Danas trojica.
Reporter: Nijedan oficir?
Kaletović: Nijedan oficir…
Reporter: …na vatrenom položaju?
Kaletović: …ma šta ne zna gde mi je glava. Nemam pojma, gde se nalazim, koji je dan, kolko ima… Ja ništa ne znam. Ludnica živa. Nikad u životu, ja da pucam u nekog il neko u mene da puca. Gdje to može? To ne može nikako. Ja ne znam stvarno ovo, samo živ da ostanem molim Boga, ništa više. Samo živ da ostanem, majke mi.
Reporter: Kolko imaš godina?
Kaletović: Devetnaest…
Reporter: Kako se zoveš?
Kaletović: Bahrudin.
Reporter: Koliko je poginulo vojnika?
Kaletović: Četvorica svega dosad.
Reporter: Ovdje, na ovom terenu?
Kaletović: Ne ovdje trojica. Jutros trojica poginulo. Dvojica jutros, dvojica. Pa i onaj treći što je bio ranjen – umro. Pa umro! Pa da!
Reporter: Kakvo je stanje u jedinici, kako je?
Kaletović: Šta ja znam… Šta da Vam kažem. Svi molimo Boga da se ovo završi jednom da se vratimo svojim kućama. Ja ne znam … stara sad. Samo staroj da kažem da sam živ i zdrav, ako Bog da da ću se vratiti. Ništa više, eto. Samo to.
Reporter: Želimo ti mnogo sreće.
Kaletović: Hvala! Kažem apelujte preko svih medija, televizije, novina, radija, sve… Da se ovo smiri. Da nas povuku. Oni kažu da mi nećemo da se povučemo. Evo mi ginemo da se povučemo u kasarnu, da se vrate, da nas puste.
Reporter: A gdje je Vaša kasarna?
Kaletović: U Karlovcu.

Reporter: Cosa puoi dirci sul nemico che state combattendo e tutto il resto, hai tutte le informazioni?
Kaletović: Come potrei saperlo. So soltanto che ci stanno sparando addosso, nient'altro.
Reporter: Non sai chi sta sparando?
Kaletović: Sono i membri della Difesa territoriale. Chi altri?
Reporter: E sai perché si sta combattendo questa guerra, questa battaglia?
Kaletović: Come potrei saperlo… Per quanto ne so, loro stanno cercando di separarsi, credo, e noi stiamo provando a fermarli. In realtà, noi vogliamo solo tornare alla nostra caserma, nient'altro.
Reporter: Cosa pensi accadrà dopo, come sarà dopo? Combatterai oppure…
Kaletović: L'unica cosa a cui penso è restare in vita. Al diavolo tutto questo… Sai come funziona, amico, sei stato nell'esercito e sai come vanno le cose. Devi obbedire agli ordini. Gli ufficiali sono tutti salvi, solo i miei amici sono morti…
Reporter: Quanti compagni hai perso oggi, lo sai?
Kaletović: Oggi, tre.
Reporter: E nessun ufficiale?
Kaletović: Nessun ufficiale…
Reporter: …in prima linea?
Kaletović: …e cosa ne so, non so neanche dove ho la testa. Non ne ho idea, non so dove mi trovo, che giorno è, quanti… Non so niente. È un manicomio. Mai nella vita [avrei immaginato] di dover sparare a qualcuno o che qualcun altro mi sparasse addosso. Com'è possibile? Non è giusto. Davvero, non so nulla di tutto questo, prego solo Dio di uscirne vivo, nient'altro. Voglio solo uscirne vivo, lo giuro sulla vita di mia madre.
Reporter: Quanti anni hai?
Kaletović: Diciannove…
Reporter: Come ti chiami?
Kaletović: Bahrudin.
Reporter: Quanti soldati sono morti?
Kaletović: Quattro, finora.
Reporter: Qui, in questa zona?
Kaletović: No, qui ne sono morti tre. Stamattina, avevamo tre morti. A due hanno sparato questa mattina. E poi il ragazzo ferito è morto anche lui. Sì, è morto! Sicuro!
Reporter: Qual è la situazione nella tua unità?
Kaletović: Non ne ho idea… Cosa posso dirti. Preghiamo Dio affinché tutto questo finisca presto, così potremo finalmente tornare alle nostre case. Non lo so… mia madre. Vorrei solo dire a mia madre che sono vivo e sto bene e che se Dio vuole, tornerò a casa. Nient'altro, solo questo.
Reporter: Vi auguriamo davvero buona fortuna.
Kaletović: Grazie! Per favore, lanciate un appello tramite tutti i media, TV, giornali, radio, tutti… per placare questo orrore. Per farci ritirare. Dicono che ci rifiutiamo di ritirarci. Qui stiamo morendo per essere trasferiti nella nostra caserma, per farci tornare, per rilasciarci.
Reporter: E dov'è la vostra caserma?
Kaletović: A Karlovac [Croazia].