Questo articolo [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] di Jittrapon Kaicome pubblicato su The Irrawaddy, un sito web di notizie indipendente del Myanmar, viene riproposto in versione modificata su Global Voices come parte di un accordo di partenariato sui contenuti.
LEGGI: Da settembre 2018 si registrano ufficialmente 2.2 milioni di lavoratori birmani in Thailandia.
Con il declino dell'economia mondiale e tailandese, le imprese e le fabbriche hanno chiuso i battenti e i lavoratori migranti sono stati tra i primi a essere licenziati. Mentre la Thailandia è entrata nella peggior recessione economica della sua storia, i migranti che normalmente lavorano a giornata si trovano ad affrontare tempi difficili.
Dopo che, a fine marzo, la Thailandia ha emanato un decreto d'emergenza per contenere l'epidemia di COVID-19, la nazione ha chiuso le frontiere, lasciando milioni di lavoratori migranti bloccati nel Paese. Alcuni lavoratori sono successivamente riusciti a fare ritorno in Myanmar, ma molti sono ancora in Thailandia, dove si ritrovano intrappolati senza un lavoro e con poche opzioni per andare avanti. I lavoratori migranti birmani nel nord della Thailandia rientrano tra questi.
Questi lavoratori si trovano ad affrontare anche un'altra sfida: quella delle barriere linguistiche locali. Molti di essi, poi, non possiedono le abilità tecniche e informatiche necessarie per accedere alle informazioni utili e per ottenere consulenza o sostegno. Inoltre, hanno diritto di accesso limitato ai regimi pubblici di previdenza sociale, inclusi quelli che hanno lo scopo di aiutare le persone durante la crisi da coronavirus. Le loro vite dipendono dall'incertezza.
Nella provincia di Tak, lungo il confine tra la Thailandia e il Myanmar, i villaggi sono stati messi in isolamento e la crisi ha costretto i lavoratori migranti birmani ad abbandonare le proprie fattorie e a dipendere in larga misura dalle elargizioni di cibo. Hanno affermato che la quantità di riso elargita non era sufficiente per sfamarli e che era durata loro solo tre giorni.
Il lavoratore migrante 26enne Cho Zin Win ha dichiarato:
The villagers have come to buy sacks of rice on credit five times already, and it will take at least a year for them to pay back the installments.
Gli abitanti del villaggio sono venuti a comprare a credito dei sacchi di riso già cinque volte. Ci vorrà almeno un anno prima che riescano a ripagare le rate.
Nella città di Chiang Mai, situata nel nord-est della Thailandia, durante l'isolamento è divenuto comune vedere gli abitanti (una combinazione di gente del luogo e lavoratori migranti) fare la fila per le elargizioni di cibo.
Una visita a uno dei campi di costruzioni di Chiang Mai ha rivelato come la chiusura delle imprese abbia costretto le mogli dei lavoratori edili a lasciare i loro lavori di donne delle pulizie negli hotel, nonostante solo alcuni dei loro mariti avessero trovato lavoro. Ad alcune famiglie restano meno di 1.000 baht (32,08 dollari), ma devono comunque continuare a sostenere spese e debiti.
Kham Kheng Wong-Ong, 27 anni, è una migrante Shan (del Myanmar) che lavora come domestica a Chiang Mai. Tra le lacrime ha raccontato:
Since my workplace was closed, I don’t have much money left, I don’t know where to find work. I live in a construction camp with my 4-year-old son. My husband is a daily wage construction worker. We don’t even know when he will be laid off. We have to bear the burden of all the expenses such as electricity, school fees, food and also medicine.
Da quando il mio posto di lavoro è stato chiuso, non ho più molto denaro e non so dove trovare lavoro. Vivo in un campo di costruzioni con mio figlio di 4 anni. Mio marito percepisce un salario giornaliero come lavoratore edile. Non sappiamo nemmeno quando verrà licenziato. Dobbiamo sostenere tutte le spese: l'elettricità, le tasse scolastiche, il cibo e persino le medicine.
A luglio, le restrizioni sulle imprese sono state revocate e molte attività hanno riaperto. Ma con il collasso economico causato dalla crisi del coronavirus, le imprese non riescono ancora a riassumere molti dei loro vecchi lavoratori. Centinaia di migliaia di lavoratori migranti nel Paese, se non di più, sono ancora disoccupati e molti sono ancora incapaci di adattarsi alla “nuova normalità” dell'economia.