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Il giorno in cui la Liberia ha bloccato la libertà di espressione durante una protesta di massa

Categorie: Africa sub-sahariana, Liberia, Censorship, Citizen Media, Cyber-attivismo, Diritti umani, Giovani, Governance, Media & Giornalismi, Politica, Protesta, Advox

Un manifestante posa per una foto con il cartellone “Save the State”. Fotografia di Mark N. Mengonfia, 7 giugno 2019, Monrovia, Liberia. Uso autorizzato.

Questo articolo fa parte di UPROAR [1] [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], un'iniziativa di Small Media che esorta i governi ad affrontare le sfide dei diritti digitali alla Revisione Periodica Universale (UPR) [2].

L'oscuramento di internet verificatosi l'anno scorso nel giorno di una grande manifestazione a Monrovia, in Liberia, continua a generare tensioni tra i cittadini e il governo riguardo al diritto alla libertà di espressione online.

Il 7 giugno 2019, un gruppo di persone costituito in prevalenza da giovani si era riunito nella capitale Monrovia all'insegna del motto “Save the State” (“Salva lo Stato”) per protestare [3] contro il malgoverno e per chiedere all'amministrazione del Presidente George Weah spiegazioni riguardo alla sparizione di 16 miliardi di dollari liberiani (circa 80.282.272 dollari).

Nel corso della giornata di questa tanto pubblicizzata manifestazione, il governo liberiano ha bloccato [4] l'accesso ai servizi dei social media per ore.

In Liberia, i social media sono subentrati alle forme di comunicazione tradizionali alla fine dei primi anni 2000, e Facebook, in particolare, ha aperto una finestra sul mondo. Una statistica del 2018 [5] mostrava che i social media, specialmente Facebook, venivano usati dal 10% degli stimati 3.5 milioni di abitanti del Paese. Di questi, gli uomini rappresentavano circa il 60% degli utenti e le donne circa il 40%. Gli utenti di età compresa tra i 25 e i 34 anni erano 184.000.

Queste nuove opportunità di esprimere le proprie opinioni su una vasta gamma di piattaforme online hanno spinto il governo ad adottare misure di restringimento al diritto degli utenti alla libertà di espressione e all'accesso alle informazioni. Secondo gli oppositori, il governo liberiano è ricorso al blocco dell'accesso ai social media il 7 giugno per impedire la copertura in diretta della protesta e la mobilitazione dei manifestanti.

Il giornalista liberiano ed ex manager di Roots FM, Fidel Saydee, ha dichiarato a Global Voices che il blocco ha impedito alla sua radio di occuparsi adeguatamente delle proteste:

The action, which was condemned by a cross-section of the Liberian society, made it impossible for the services on our website, my tuner and other outlets to be broadcast.

L'azione, condannata da una sezione trasversale della società liberiana, ha impedito ai servizi sul nostro sito, al mio sintonizzatore e alle altre trasmissioni di andare in onda.

All'epoca, Saydee era il co-conduttore del “Costa Show”, una piattaforma online gestita da Henry P. Costa, un feroce critico del governo di Weah, nonché l'organizzatore principale della protesta del 7 giugno. Saydee ha detto a Global Voices che i loro “ascoltatori non hanno potuto avere un'idea dell'atmosfera degli eventi”. Ha poi continuato:

Onsite reporters could not file in live reports through our social media platform for onward transmission on air. On-air personalities were left to wander in oblivion as to what was happening outside of the studio.

I reporter sul campo non potevano caricare i resoconti in diretta sulle piattaforme dei social media per la trasmissione successiva. I conduttori sono stati lasciati nel dimenticatoio a chiedersi cosa stesse accadendo fuori dallo studio.

Boakai Amara Kamara, un altro collaboratore di Costa, ha descritto l'azione del governo liberiano come sconfortante, definendola “un atto contro la libertà di parola”.

Il “Costa Show” era un talk show radio provocatorio che veniva trasmesso anche in streaming online su Facebook. Il programma e la radio stessa erano noti per le critiche al malgoverno delle amministrazioni dell'ex Presidente Ellen Johnson Sirleaf e del suo successore, l'attuale Presidente George Manneh Weah.

Saydee ha raccontato che la loro trasmissione sui social media veniva interrotta ogni volta che lui e Costa iniziavano a parlare dei mali della società liberiana, ma non ha specificato quante volte sia accaduto. In ogni caso, Roots FM è stata chiusa [6] dal governo l'anno scorso a causa di presunti problemi di licenza. La mossa è stata aspramente criticata [6] dai gruppi per la libertà di stampa.

Anche altre persone hanno denunciato il blocco dei social media durante la protesta del 7 giugno.

Alcuni cittadini hanno raccontato a Global Voices che non riuscivano a comunicare con i parenti che vivono all'estero, né tramite Facebook Messenger, né su altre applicazioni VoIP e di messaggistica. Molti, poi, hanno visto la decisione del governo come una totale violazione del diritto alla libertà di espressione e d'informazione, garantiti sia dagli strumenti in materia di diritti umani internazionali che dall'Articolo 15 (a), (b) e (c) della Costituzione del 1986 [7] della Liberia, che disciplina la libertà di parola, d'informazione e di espressione.

La residente del comune di Johnsonville e studentessa dell'Università Episcopale Metodista Africana (AMEU), Diana Teah, ha detto a Global Voices che la protesta del 7 giugno è stata un evento storico:

The government of Liberia, which is supposed to uphold freedom of speech, took on a very bad trend on that fateful day.

Il governo liberiano, che dovrebbe garantire la libertà di parola, quel giorno ha imboccato la direzione sbagliata.

Teah ha descritto il blocco come una “vergogna per il popolo liberiano” e per gli altri cittadini che vivono nella nazione dell'Africa Occidentale:

Not only for us but the international observers, those who were present here that day, [they] were all embarrassed, maintaining that social media is one of the important places where we receive and give out information! I advise that the government of Liberia pays attention to the growth and development of our country that is dying rather than focusing on shutting down Facebook.

Non solo per noi, ma anche per gli osservatori internazionali e per chi era presente quel giorno. Tutti erano imbarazzati e sostenevano che i social media sono uno dei posti principali in cui possiamo dare e ricevere informazioni! Consiglio al governo liberiano di prestare attenzione alla crescita e allo sviluppo del nostro Paese, anziché focalizzarsi sull'oscurare Facebook.

Altri liberiani, invece, hanno difeso la decisione del governo di bloccare l'accesso a internet, ritenendo che sia prerogativa del governo garantire la sicurezza. Alicemae Kwapo, una liberiana che attualmente risiede negli Stati Uniti, ha affermato che “il governo ha agito nel giusto, ha fatto il proprio lavoro”.

In un'intervista su Facebook Messenger, Kwapo ha dichiarato che oscurare i social media “quel giorno ha avuto un impatto minore sulle persone di quello che ha avuto la manifestazione. […] Il pubblico non conosceva i rischi e i motivi per cui il governo liberiano ha agito come ha agito il giorno della protesta”, ha aggiunto.

Sebbene il governo non abbia fornito [8] un motivo per l'oscuramento, le interruzioni intenzionali di internet sono considerate [9] una violazione degli standard internazionali sui diritti umani.

La Liberia, uno degli Stati firmatari della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), dovrebbe astenersi dall'ordinare queste interruzioni e dovrebbe prendere provvedimenti per garantire agli utenti il diritto alla libertà di espressione e all'accesso alle informazioni online.