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“Mani invisibili”: come se la passano milioni di lavoratori domestici durante la COVID-19?

Categorie: Asia orientale, Medio Oriente & Nord Africa, Afganistan, Argentina, Ecuador, Giamaica, Hong Kong (Cina), Indonesia, Pakistan, Singapore, Tunisia, Citizen Media, Donne & Genere, Lavoro, Migrazioni, COVID-19

Una delle 9 parti di una serie di illustrazioni su Instagram [1] degli artisti brasiliani Leandro Assis [2] e Triscila Oliveira [3]. Uso autorizzato.

Secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), in tutto il mondo ci sono 67 milioni di lavoratori domestici [4] [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], l'80% dei quali sono donne. Il lavoro domestico si svolge nella sfera privata ed è spesso invisibile.

I lavoratori domestici puliscono, cucinano, si prendono cura dei bambini o dei membri anziani della famiglia, spesso senza un contratto o con scarse tutele legali. Nonostante siano “in prima linea [5]” nella crisi del coronavirus, raramente vengono inclusi nei piani di risposta alla COVID-19.

Come se la passano le lavoratrici domestiche di tutto il mondo durante la pandemia e l'isolamento finalizzato a fermare la diffusione della COVID-19?

Nessuno stipendio per i lavoratori domestici in Argentina, Afghanistan e Indonesia

La maggior parte del lavoro domestico è informale, e questo lascia spesso i lavoratori in condizioni di vulnerabilità, specialmente in tempi di crisi come questi.

Secondo uno studio dell'Università di Lanús (UNLa) e del Centro di Studi e Ricerche sul Lavoro [6] [es], in Argentina, dove il lockdown è durato oltre 100 giorni, circa il 70% dei lavoratori domestici [7] [es] appartiene al settore informale.

Durante le attuali misure di isolamento, questo significa che non lavorare equivale a non guadagnare. Tuttavia, molte donne sono riuscite a raggiungere comunque il loro luogo di lavoro, nonostante non avessero il permesso di uscire durante la quarantena. Sempre secondo questo studio, dall'inizio della pandemia solo il 33% [8] [es] dei lavoratori protetti da contratto ha ricevuto l'intero stipendio senza recarsi al lavoro.

Sempre in Argentina, la mancanza di certezza giuridica rende indubbiamente i lavoratori vulnerabili e reticenti a lamentarsi. Ad esempio, gli intervistati di uno stesso studio temevano di perdere il lavoro, di venire contagiati o di infettare i propri famigliari. Inoltre, un crescente numero di datori di lavoro è ricorso ad alcuni cavilli legali per spingerli a dimettersi, pagarli di meno o cambiare la loro categoria in “badanti”, così che potessero diventare “lavoratori essenziali”. Complessivamente, il sindacato ha rilevato [9] [es] che il 70% dei lavoratori domestici è stato vittima di sfruttamento del lavoro durante la quarantena.

In Ecuador [10] [es], la stragrande maggioranza dei lavoratori domestici svolge lavori senza contratto o con contratti che offrono scarsa protezione. Stando a quanto riporta il sindacato nazionale, quasi l’85% dei lavoratori domestici [10] [es] è stato licenziato durante la pandemia.

In Tunisia, la lavoratrice domestica Salma ha dichiarato a Global Voices:

We are the invisible hands. Our work is not valued.  We don’t exist for the families we serve nor do we exist for the state. With COVID-19 and the lockdown, we were the first to lose our jobs without any compensation or support.

Siamo mani invisibili. Non viene dato valore al nostro lavoro. Non esistiamo né per le famiglie per cui lavoriamo, né tantomeno per lo Stato. Siamo stati i primi a perdere i nostri lavori a causa della COVID-19 e del lockdown e non abbiamo ricevuto alcun indennizzo o sostegno.

Anche quando ci sono, i contratti sono spesso vaghi o carenti. È il caso dell'Indonesia, che conta almeno 4.2 milioni di lavoratori domestici [11]. Nel 2019, la Rete Nazionale per la Difesa dei Lavoratori Domestici [12] indonesiana ha intervistato 668 lavoratori domestici in sette regioni del Paese, rilevando che il 98,2% degli intervistati guadagnava solo tra il 20 e il 30% del salario minimo indonesiano.

A volte anche i contratti con le grandi istituzioni possono andare storti. In Afghanistan, ad esempio, alle donne incaricate di pulire gli uffici del Ministero delle Finanze era stato inizialmente permesso di restare a casa continuando a essere pagate. Ma quando la situazione della COVID-19 si è aggravata, sono state costrette a tornare al lavoro, pena il rischio di perdere lo stipendio. Poiché sono loro a fornire il principale sostegno finanziario alle loro famiglie, sono tornate in ufficio. Fawzia, madre single di quattro figli, ha dichiarato a Global Voices:

If we keep us safe from Corona, we will die out of hunger.

Se ci teniamo al sicuro dal coronavirus, moriremo di fame.

Milioni di donne migranti puliscono le case in Medio Oriente e in Asia Sud-Orientale

In tutto il mondo, molte donne che puliscono, badano ai bambini e cucinano a pagamento sono emigrate in un altro Paese per trovare lavoro. Per esempio, si stima che in Medio Oriente ci siano 2.1 milioni di lavoratori domestici immigrati [13], la maggioranza dei quali sono donne provenienti da Paesi asiatici e africani quali Sri Lanka, Filippine, Bangladesh, Nepal, Indonesia, Kenya ed Etiopia.

In tutto il Medio Oriente [14], i lavoratori possono non essere pagati e, di conseguenza, molte lavoratrici domestiche migranti non sono in grado di inviare le rimesse a casa [15]. Questo non solo si va a sommare alla pressione emozionale e psicologica di cui soffrono i lavoratori migranti, ma rappresenta anche una perdita di reddito per le famiglie rimaste nel Paese d'origine. Anche nelle comunità di immigrati filippini e indonesiani di Hong Kong i livelli di indebitamento [16] sono aumentati durante la pandemia.

In città come Hong Kong o Singapore, il lavoro domestico dei migranti viene regolato separatamente. La legge richiede [17] che i lavoratori domestici migranti vivano con i propri datori di lavoro. Questo significa che durante le settimane di isolamento, per loro restare a casa significava restare al lavoro anche nei giorni di riposo.

La crisi del COVID-19 ha scatenato ancora una volta un dibattito su questa legge della convivenza, che non solo vanifica la linea tra lavoro e vita personale, ma spesso comporta anche sistemazioni inadeguate, cibo insufficiente e mancanza di privacy e di sicurezza. Secondo un rapporto di ricerca [18] condotto nel 2016 dal Centro di Giustizia di Hong Kong, il “66,3% dei lavoratori domestici migranti intervistati mostrava forti segni di sfruttamento, ma non c'erano abbastanza fattori che indicavano che fossero stati costretti ai lavori forzati”. È una zona grigia.

Sebbene il lockdown a Hong Kong non sia mai stato rigido, il governo ha ripetutamente e pubblicamente [19] chiesto ai lavoratori domestici di restare a casa nei giorni di riposo tra gennaio e aprile, durante il picco della COVID-19. Alcuni lavoratori hanno riferito [20] che se avessero lasciato il posto di lavoro durante i giorni di riposo, sarebbero stati costretti a dimettersi. Soltanto a inizio aprile [21], Law Chi-kwon, il Ministro del Lavoro e della Provvidenza Sociale, ha lanciato un appello sul suo blog sia ai lavoratori che ai datori di lavoro affinché “fossero comprensivi gli uni con gli altri riguardo agli accordi sui giorni di riposo”.

Nei Paesi del Golfo, la migrazione è regolata dal sistema della kafala [22]. I visti per i lavoratori migranti sono vincolati ai datori di lavoro e ai migranti non è consentito lasciare o cambiare datore di lavoro senza il loro permesso. Se lo facessero, potrebbero essere arrestati e puniti per “latitanza” con sanzioni, detenzioni e deportazioni.

In Brasile, la prima vittima della COVID-19 era una lavoratrice domestica

Molti lavoratori domestici si preoccupano quando i datori di lavoro non forniscono loro mascherine o igienizzante per le mani come protocollo sanitario obbligatorio durante la pandemia.

A Rio de Janeiro, la prima vittima della COVID-19 è stata una donna di 63 anni che lavorava come collaboratrice domestica [23] [pt]. La donna, il cui nome non è stato divulgato dai media su richiesta della famiglia, è stata contagiata dal suo datore di lavoro, che era tornato da un viaggio in Italia. Alla lavoratrice era stato chiesto di vivere a casa del datore di lavoro durante parte della settimana a causa della distanza tra la sua abitazione e il luogo di lavoro. Ha iniziato a sentirsi male il 16 marzo ed è morta il giorno dopo.

I dati brasiliani più recenti sul lavoro domestico mostrano che nel 2016 [24] [pt] nel Paese c'erano approssimativamente 6.1 milioni di lavoratori domestici, il 92% dei quali erano donne e il 71% dei quali persone di colore. Solo il 4% è sindacalizzato. Attualmente, in Brasile non c'è una legislazione specifica per rendere i lavoratori domestici non essenziali durante la pandemia. Pertanto, possono venire licenziati se non si recano al lavoro.

Anche in Ecuador, mentre l'economia inizia a ripartire, molti lavoratori domestici che stanno tornando al lavoro temono per la propria sicurezza in questo periodo di transizione. Il Ministro del Lavoro richiede ai datori di lavoro delle imprese private di garantire che ai lavoratori vengano forniti trasporti sicuri e misure di biosicurezza, come le mascherine, per proteggere la loro salute. Tuttavia, non è sempre stato così [25] per i lavoratori domestici, che si sono sentiti vulnerabili al COVID-19 sia durante gli spostamenti che negli ambienti di lavoro.

I sindacati e le ONG lavorano sodo per i diritti dei lavoratori in Giamaica e a Singapore

I sindacati di diversi Paesi cercano di proteggere i diritti del lavoro dei lavoratori domestici. In Giamaica, il Sindacato dei Lavoratori Domestici giamaicano [26] è un'organizzazione non governativa, volontaria e super partes che rappresenta i bisogni e gli interessi di migliaia di lavoratori domestici. I dati ufficiali registrano 58.000 lavoratori domestici nel Paese caraibico.

La fondatrice e Presidente del Sindacato Shirley Pryce, che nel 2017 ha ricevuto il premio “Donna della comunità caraibica dell'anno”, ha dichiarato a Global Voices che, come migliaia di altri lavoratori dell'economia informale giamaicana, anche i lavoratori domestici vivono “alla giornata” e hanno sofferto più di ogni altro gruppo durante la pandemia di COVID-19.

Il suo sindacato sta esortando il governo a istituire un fondo di emergenza per aiutare i lavoratori domestici in queste situazioni.

Pryce ha sottolineato la sua grande preoccupazione per la violenza domestica, che durante la pandemia è aumentata a causa delle difficoltà economiche, del maggior tempo passato a casa con il coniuge e delle condizioni di vita sovraffollate. Come ha dichiarato a Global Voices:

Domestic workers are the backbone of the society. While the government’s primary focus is to contain the spread of the virus, the risks emerging from shortcomings in labor and social protection, and the impact on the most vulnerable groups in society, have increased and the situation is critical.

I lavoratori domestici sono la colonna vertebrale della società. Mentre l'attenzione del governo si concentra sul contenere la diffusione del virus, i rischi che derivano dalle carenze nella protezione lavorativa e sociale e l'impatto sui gruppi più vulnerabili della società sono aumentati e la situazione è critica.

A Singapore, dove alcuni datori di lavoro hanno licenziato i propri lavoratori domestici [27] durante la pandemia, il Centro per i Lavoratori Domestici ha ricordato loro di trattare i propri collaboratori in maniera equa. Anche la società civile esercita pressioni [28] sui leader regionali affinché non trascurino i lavoratori domestici e i lavoratori migranti che vivono in Asia Sud-Orientale.

Ecuador e Brasile lavorano su soluzioni creative

Alla luce di queste difficoltà, in Ecuador è stata lanciata un'app [29] [es] che si prefigge di migliorare i diritti e le condizioni lavorative [30] [es] dei lavoratori domestici. Essa raccoglie informazioni rilevanti per i lavoratori domestici affinché possano trovarle in un unico posto. Attraverso sondaggi, l'app raccogliere inoltre dati relativi alle attuali condizioni lavorative dei lavoratori domestici (quali retribuzioni, pagamento degli straordinari e orari di lavoro) per aiutare gli utenti a individuare eventuali violazioni dei diritti e per guidarli nell'intraprendimento di azioni legali, qualora necessario.

In Brasile, su Instagram è stata condivisa una serie di vignette [31] [pt] per sensibilizzare l'opinione pubblica in merito alle vite dei lavoratori domestici. Esse raccontano storie di donne che non hanno la possibilità di restare a casa e che sono preoccupate di mettere in pericolo loro stesse e tutte le persone che le circondano.

In tutto il mondo, lavoratori domestici, sviluppatori, artisti, sindacati e attivisti si impegnano per fare uscire le “mani invisibili” del mondo dall'ombra, anche durante una pandemia.