Costruire spazi online più sicuri in Myanmar

Un monaco usa il suo telefono alla Pagoda Shwedagon a Yangon, Myanmar. Foto e didascalia di Remko Tanis, Flickr (CC BY-NC-ND 2.0)

Questo articolo è stato scritto da Aye Min Thant, manager di Tech for Peace a Phandeeyar, laboratorio di innovazione in Myanmar. 

Ogni persona in Myanmar sopra i 10 anni ha vissuto una parte, se non la maggior parte, della propria vita sotto una dittatura militare caratterizzata da un'ossessione per il raggiungimento dell’autonomia [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] dalle influenze internazionali. Prima delle riforme economiche e politiche dell'ultimo decennio, il Myanmar era uno dei Paesi più isolati al mondo. La rivoluzione digitale che ha rimodellato quasi ogni aspetto della vita degli esseri umani nell'ultimo mezzo secolo è qualcosa di cui le persone comuni in Myanmar non avevano esperienza personale. 

Recenti riforme hanno portato a un'esplosione di grandi speranze e accesso alle tecnologie, e il Myanmar ha fatto un salto digitale enorme, con l'accesso a Internet passato da quasi lo 0% nel 2015 a oltre il 40% nel 2020. A 27 anni ricordo di aver vissuto in una Yangon dove un frigorifero era considerato uno strumento ad alta tecnologia, e ora ci sono bambini di 10 anni che fanno video su Tik Tok. 

C'era ovunque grande eccitazione perché la rivoluzione digitale del Myanmar avrebbe messo in moto i cambiamenti economici e sociali necessari a trasformare il Paese da uno stato paria alla prossima frontiera economica. Turisti, aiuti per lo sviluppo e investimenti economici si sono riversati sul Paese. Il costo delle SIM card è calato da circa 1.000 dollari statunitensi nel 2013 a poco più di 1 dollaro oggi. Questo calo drammatico dei prezzi è stato accompagnato da una saturazione di smartphone e operatori telefonici relativamente economici che forniscono pacchetti dati che hanno reso social media come Facebook gratis o quasi. Questo ha portato all'attuale situazione dove circa 21 dei 22 milioni di persone che usano Internet sono su Facebook. Facebook è diventato il canale principale attraverso cui le persone accedono Internet, ed è ora usato per qualsiasi attività online, da vendere bestiame, guardare porno, leggere le notizie fino a discutere di politica.

Poi, dopo l'esodo di più di 700.000 Rohingya dallo stato di Rakhine del Myanmar dilaniato dalla guerra, Facebook è stato accusato di aver favorito un genocidio.

Le guerre civili in corso nel Paese e la violenza dello Stato nei confronti dei Rohingya, caratterizzata da ciò che l'ONU ha definito pulizia etnica con un intento genocida, hanno puntato i riflettori sui potenziali danni causati dalla connessione digitale. Data la sua predominanza sul mercato, Facebook ha subito un intenso scrutinio in Myanmar per il ruolo che il social media ha giocato nel normalizzare, promuovere e agevolare la violenza contro le minoranze.

Facebook era, e continua ad essere, lo strumento privilegiato per diffondere incitamento all'odio e disinformazione contro il popolo Rohingya, i musulmani in generale e altre comunità emarginate. Nonostante ripetuti avvertimenti da parte delle organizzazioni della società civile nel Paese, Facebook ha mancato di affrontare le nuove sfide con l'urgenza e il livello di risorse necessarie durante la crisi Rohingya, e in molti casi ha fallito persino nel far rispettare i suoi stessi standard della comunità. 

Per la verità ci sono stati dei miglioramenti negli ultimi anni, con la nomina da parte del gigante dei social di una squadra dedicata al Myanmar, l'espansione del numero dei revisori per i contenuti nella lingua del Myanmar, l'aggiunta di revisori di contenuti nelle lingue minoritarie, lo stabilire contatti più regolari con la società civile, e l'impiego di risorse e strumenti dedicati a limitare la disinformazione durante le imminenti elezioni in Myanmar. La compagnia ha anche rimosso gli account degli ufficiali dell'esercito del Myanmar e decine di pagine collegate all'esercito su Facebook e Instagram per aver adottato un “comportamento non autentico coordinato” [it]. La compagnia definisce “comportamento non autentico” l'atto di “adottare comportamenti mirati a consentire altre violazioni ai sensi dei nostri Standard della community” attraverso tattiche quali l'uso di account falsi e bot. 

Riconoscendo la serietà della questione tutti, dall'UE alle aziende di telecomunicazioni fino alle organizzazioni della società civile, hanno investito risorse in programmi di educazione digitale, campagne contro i discorsi d'odio, monitoraggio dei social media e sensibilizzazione per provare ad affrontare il problema. Tuttavia, il fulcro di molti di questi programmi è costituito da cose che al Myanmar e alla gente del Myanmar mancano — stato di diritto, leggi per la protezione della libertà d'espressione, educazione digitale, conoscenza di ciò che costituisce i discorsi di odio, e risorse per finanziare e implementare i programmi necessari.

Nella frenesia delle organizzazioni sul campo per spegnere il fuoco, meno attenzione è stata data ai grandi problemi sistemici che contribuiscono all'incendio.

C'è bisogno di prestare maggiore attenzione a quei gruppi che lavorano in coordinazione per diffondere teorie della cospirazione, false informazioni e odio, per capire chi sono, chi li finanzia e come si può ostacolare – e, se necessario, punire – le loro azioni.

C'è bisogno di rivalutare come le piattaforme di social media sono disegnate in modo tale da incentivare e premiare comportamenti negativi.

C'è anche bisogno di chiedersi quanta responsabilità vogliamo assegnare alle aziende di social media, e se in generale è positivo dare loro la responsabilità, e quindi il potere, di determinare quali discorsi sono accettabili e quali no.

Infine, c'è bisogno di interrogarci sulle alternative che possiamo costruire, laddove molti governi hanno dimostrato di essere più che inclini a mettere sotto sorveglianza e a perseguitare i cittadini con il pretesto della salute, della sicurezza e del punire i discorsi di odio.

È pericoloso dare a multinazionali private e motivate dal profitto il potere di tracciare il limite tra discorsi d'odio e libertà d'espressione. Proprio come è pericoloso dare lo stesso potere ai governi, in particolare in quest'epoca di crescenti sentimenti etno-nazionalisti in tutto il mondo, e di crescente volontà da parte dei governi di raccogliere, dichiaratamente e segretamente, quanti più dati possibili da usare contro le persone su cui governano.

Possiamo anche vedere dalle procedure legali in corso contro il Myanmar nei tribunali internazionali, e dal fallimento di Facebook nel fornire agli ispettori dell'ONU sul Myanmar le prove di gravi crimini commessi contro i Rohingya e altre minoranze etniche, che né le politiche aziendali né le leggi nazionali sono sufficienti a garantire sicurezza, giustizia e dignità alle popolazioni vulnerabili.

La soluzione a tutto questo, per quanto poco attraente possa sembrare, è un impegno a lungo termine multiforme e multilaterale per costruire istituzioni legali e culturali forti, che distribuiscano il potere e la responsabilità di creare spazi online sicuri e inclusivi tra governi, individui, settore privato e società civile.


Aye Min Thant è la manager di Tech for Peace a Phandeeyar, un laboratorio di innovazione che promuove spazi digitali più sicuri e inclusivi in Myanmar. In passato, è stata una giornalista vincitrice del Premio Pulitzer che ha scritto di business, politica e conflitti etno-religiosi in Myanmar per Reuters. Potete seguirla su Twitter @ma_ayeminthant

Quest'articolo nasce come parte di una serie di scritti nell'ambito dell'Iniziativa su intermediari e informazione di Wikimedia e della facoltà di legge di Yale per catturare prospettive sull'impatto globale delle decisioni di moderazione dei contenuti delle piattaforme online. Potete leggere tutti gli articoli della serie sul loro blog, o sul loro Twitter @YaleISP_WIII.

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