Un nuovo libro racconta storie di sofferenza e resistenza nelle prigioni femminili in Iran

L'immagine rappresenta i festeggiamenti per il rilascio di prigione di Narges Mohammadi, attivista iraniana per i diritti umani, mentre altre donne iraniane vengono arrestate. Di Assad Binakhahi, fumettista residente in Germania. Utilizzato con il permesso.

Avviso sul contenuto: Questa storia include descrizioni di torture che alcuni lettori potrebbero trovare disturbanti.

La tortura bianca [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] è una tecnica di tortura psicologica nella quale i prigionieri sono tenuti in celle bianche per periodi di tempo molto lunghi. Il suo scopo è provocare una completa deprivazione sensoriale nella vittima; è uno dei metodi di tortura usati nelle prigioni iraniane insieme alla tortura fisica.

Tortura bianca è anche il titolo del nuovo libro di Narges Mohammadi, un importante giornalista ed attivista per i diritti umani. “White Torture,” pubblicato in persiano dalla casa editrice svedese Baran [sv], contiene le interviste di 12 detenute politiche, come pure le esperienze dell'autrice, avendo lei stessa trascorso otto anni e mezzo in una prigione iraniana.

Le 12 intervistate sono giornaliste, membri di minoranze religiose, attiviste politiche. Le loro storie svelano lo stato spaventoso delle prigioni iraniane: condizioni sanitarie disastrose e celle minuscole e senza luce sono comuni; le detenute affrontano la deliberata privazione delle cure mediche, lunghe ore di interrogatorio, minacce ai membri delle loro famiglie, e l'uso di celle d'isolamento come strumento di tortura.

Reza Kazemzadeh, un importante psicologa iraniana residente in Belgio che lavora con vittime di tortura, ha scritto [fa] sulla tecnica della tortura bianca:

It can be argued that if physical torture is used at the beginning of an arrest to make a prisoner talk (providing information), the purpose of the psychological torture is to infiltrate the identity and influence his or her personality in the long run.

Si può affermare che mentre la tortura fisica è usata all'inizio di un arresto per far parlare il prigioniero (per fornire informazioni), lo scopo della tortura psicologica è quello di penetrare nell'identità ed influenzare la sua personalità a lungo termine.

Il libro rivela che le 13 donne intervistate non sono state arrestate per crimini che avevano commesso, ma perché i servizi di sicurezza ed intelligence iraniani le considerano utili per le investigazioni. Queste prigioniere vengono messe sotto estrema coercizione per estorcerle confessioni o forzarle a collaborare.

Le donne intervistate da Mohammadi sono: Nigara AfsharzadehSima KianiSedigheh MoradiAtena DaemiMahvash Shahriari, Zahra Zahtabchi, Hengameh Shahidi,Reyhaneh Tabatabaei, Mary MohammadiNazila Nouri, Nazanin Zaghari-Ratcliffe, e Shokoofeh Yadollahi.

Copertina di “White Torture,” di Narges Mohammadi. Foto usata con autorizzazione.

Parlare alle formiche

Nel libro, Mohammadi racconta anche della sua esperienza in prigione, compreso il periodo nella cella d'isolamento e gli interrogatori. In particolare, gli investigatori di solito avevano tutte le informazioni di cui avevano bisogno, ma pretendevano che lei rinunciasse ai difensori del Centro per i Diritti Umani, un gruppo fondato da importanti avvocati iraniani incluso il premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi [it].

Mohammadi, che è anche un'attivista contro la pena di morte, scrive nel libro:

The solitary cell is not just a location, but a place where all elements concur to make to have the imprisonment impact us. This includes the indifference of doctors towards our pain, blindfolding prisoners, dirty curtains, dead cockroaches on the floor, unfitting prison clothes, and long periods of sitting in interrogation cells.

La cella d'isolamento non è solamente un luogo, ma il posto in cui tutti gli elementi concorrono per far sì che la prigionia abbia impatto su di noi. Questo include l'indifferenza dei dottori verso il nostro dolore, prigioniere bendate, tende sporche, scarafaggi morti sul pavimento, vestiti inadatti per la prigione, e lunghi periodi di permanenza nelle celle di interrogatorio.

Ogni prigioniera reagisce alle circostanze in modo diverso. Nigara Afsharzadeh, cittadina turkmena condannata a cinque anni nel 2014 per presunto spionaggio, spiega come parlare alle formiche nella sua cella l'abbia aiutata a resistere: “Volevo semplicemente condividere la mia cella con un altro essere vivente”, dice.

Sima Kiani, ex-prigioniera di coscienza di fede baha'i, afferma: “Preferirei essere interrogata che lasciata sola in una cella”.

Gli investigatori utilizzano anche informazioni mediche e familiari per fare pressione sulle detenute. Mahvash Shahriari, anche lei di fede Baha’i, la quale ha trascorso 10 anni in prigione, ammette che le minacce fatte contro suo marito e suo figlio erano la parte “più ardua” degli interrogatori.

Nazanin Zaghari-Ratcliffe, cittadina iraniana-britannica, spiega come in prigione le siano state negate le cure mediche, incluse le medicine prescritte.

Mary Mohammadi, cristiana convertita, che ha scontato sei mesi in prigione per essere membro di una chiesa domestica, riferisce di come le guardie insultassero costantemente lei, i suoi genitori e la sua fede cristiana. “Loro chiamavano la chiesa una sala da gioco”.

Il libro espone come le tecniche di interrogatorio mirano a trasformare i detenuti in collaboratori. Un investigatore ha dichiarato il suo amore ad  Hangameh Shahidi, giornalista ed attivista per i diritti delle donne, e le ha chiesto di sposarla in cambio di chiudere il suo caso. Lei ha rifiutato l'offerta aspramente, affermando che preferiva scontare la sua condanna piuttosto che incontrarlo nuovamente.

In questo contesto molte di queste prigioniere riuscivano comunque ad intraprendere scioperi della fame in difesa della propria dignità e dei propri diritti.

Sopravvivere al trauma

Per molte detenute, l'impatto psicologico della tortura perdura a lungo. Mansour Borji, direttore esecutivo di Article 18, un'organizzazione di difesa cristiana con sede a Londra che aiuta gli ex-detenuti cristiani a superare il trauma, ha raccontato a Global Voices:

Awareness about this kind of torture and the ways to identify the symptoms in victims’ behaviour and moods is key. It is essential that the victims, their families, and the broader community know about the root causes of the unusual behaviour in some specific circumstances and are able to react in an appropriate way. Former prisoners re-live trauma and suffering caused by torture repeatedly. You should not respond lightly to the way they react stressfully to the ring of a phone, or to some smells and noises. Awareness will help them gradually improve their mental wellbeing.

Il punto fondamentale è la consapevolezza verso questo genere di tortura ed identificare i sintomi nel comportamento e negli stati d'animo delle vittime. E’ essenziale che le vittime, le loro famiglie, e la comunità più ampia siano a conoscenza delle cause alla radice del comportamento insolito in alcune specifiche circostanze e siano capaci di reagire in modo opportuno. Gli ex-detenuti rivivono continuamente il trauma e la sofferenza causati dalla tortura. Non si dovrebbe rispondere con leggerezza al modo stressante con cui essi reagiscono allo squillo di un telefono o ad alcuni odori e rumori. La consapevolezza li aiuterà a migliorare gradualmente la loro salute mentale.

Kamran Ashtary, direttore di Arseh Sevom [fa], un'organizzazione che promuove la democrazia, i diritti umani e la società civile in Iran, lui stesso da adolescente vittima di torture in una prigione iraniana, afferma a Global Voices:

Any form of torture can cause psychological trauma. But it’s especially bad for young people under 25 because their brains are still forming. It becomes permanent and life-long (…). Unfortunately, for all of us who have experienced trauma, there is no returning to the people we once were. There is only finding ways to dim the nightmares.

Qualsiasi forma di tortura può causare un trauma psicologico. Ma è grave specialmente per i giovani sotto i 25 anni perché le loro menti sono ancora in via di sviluppo. Diventa permanente e per tutta la vita (…). Sfortunatamente, per tutti noi che abbiamo sperimentato tale trauma, non c'è possibilità di tornare alle persone che eravamo. L'unica cosa che rimane da fare è quella di attenuare gli incubi.

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