Nel Caucaso, i queer sono costretti a scappare di casa

Foto di Anna Nikoghosyan per OC Media. Foto pubblicata con il suo consenso.

L'articolo che segue è una versione di una pubblicazione di gruppo [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] scritta da Armine AvetisyanNika Musavi e Dato Parulava ed è stato pubblicato originariamente dal sito OC Media.

A causa del bullismo, delle discriminazioni e della violenza, i membri della comunità LGBTQ+ nel sud del Caucaso sono spesso costretti a scappare dalle proprie case.

Mel dall'Armenia

“Ero all'asilo quando ho realizzato di essere nato nel corpo di qualcun altro”

“A scuola mi costringevano a scrivere studentessa sui miei quaderni e ogni volta che lo cancellavo gli insegnanti lo riscrivevano. Il mio sviluppo è stato molto diretto. Non c'è stato un momento preciso in cui ho avuto la conferma della mia identità in quanto mi sono sempre visto come un ragazzo,” ha dichiarato a OC Media il trentenne Mel Daluzyan di Gyumri.

Mel Daluzyan, 30 anni, di Gyumri, Armenia nord-occidentale (Archivio privato).

Non importava quanto ci provasse, la società continuava a vederlo come una ragazza di nome Meline. Mel pratica sollevamento pesi dal 2002 e faceva parte della Squadra nazionale femminile della Federazione armena di sollevamento pesi.

“Il mio allenatore cercava di ispirarmi dicendomi che Dio mi aveva fatto “diversa” così che fossi più bravo a sollevare pesi; e per un po’, quando ero più giovane, ho cercato di pensarla da quella prospettiva. In seguito però ho capito che nonostante tutto, anche io ho diritto ad una vita privata e di essere felice, soprattutto se consideriamo non faccio del male a nessuno,” racconta Mel.

Ha partecipato al primo forum LGBT del Pink Armenia nel 2015 e quando una foto di gruppo fu pubblicata online, i media iniziarono a discutere sulla sua vita privata, minacciando la sua carriera. Mel era due volte campione europeo e doppia medaglia di bronzo mondiale ma ha deciso di abbandonare Gyumri due anni fa, stabilendosi all'estero.

Il primo forum LGBT del Pink Armenia nel 2015.

“Ho lasciato l'Armenia nel 2016, dopo un anno in cui ho provato inutilmente a trovare un lavoro. Mi sono ritrovato di fronte a così tanti atteggiamenti negativi da non riuscire nemmeno a trovare lavoro come trainer in palestra. Adesso vivo nei Paesi Bassi. Qui non sono mai stato discriminato, mi sono sentito supportato in tutto. Arrivato a questo punto non considero neanche più di tornare in Armenia.”

Mel ci racconta che la vita è difficile in Gyumri per quelli che sono “diversi”, soprattutto se sei famoso.

“Gyumri è la città più conservatrice dell'Armenia. Il problema principale è il gossip: si sentivano in dovere di inventare storie e miti su di me per spiegare ciò che non riuscivano a capire e i media hanno fatto la loro parte. Ovviamente tutto questo mi ha portato delle difficolta ad adattarmi dopo essere andato via, a ricominciare la mia vita da zero, ma in ogni caso sono riuscito a farmi conoscere per quello che sono. Oggi i miei amici non permettono a nessuno di chiamarmi “Meline.”

Secondo Mel i suoi genitori non avrebbero avuto nessun problema se solo non ci fosse stata la società di mezzo.

“La comunità LGBT è privata di quasi tutti i diritti in Armenia. Puoi avere una vita segreta, affogare la tua identità, avere un matrimonio formale, vivere in “silenzio”. Ma giudicare voi, una vita “silenzio” può essere considerata vita? Io non ho amici che non si nascondono e sono in grado di vivere nel silenzio”.

Gli omosessuali sono legali in Armenia dal 2003, ma i loro diritti non sono protetti dalla legge. Un documento del 2017 sui diritti umani in relazione alla comunità LGBT dell'Armenia, stilato dal gruppo Pink Armenia, afferma che nonostante il trend positivo portato avanti da un certo numero di media che permettono ai gruppi di attivisti e alle persone queer di raccontare la lori storia, la popolazione dell'Armenia dimostra ancora un'atteggiamento fortemente negativo.

Uno studio condotto nel 2016 da Pink Armenia e il gruppo di ricerca del Caucasus Research Resource Center ha dimostrato che l'89% della popolazione Armena pensa ancora che gli omosessuali non dovrebbero lavorare con i bambini.

Da questo studio inoltre si evince che le persone che non hanno contatti o conoscenze con persone queer sviluppano un atteggiamento negativo molto di più di quelli che conoscono degli omosessuali.

Gli attivisti per i diritti LGBTQ+ ci avvertono che molti omosessuali sono costretti ad abbandonare l'Armenia ogni anno a causa dell'omofobia.

Tazo dalla Georgia

Il ventiduenne Tazo Sozashvili non può più visitare la sua famiglia in Kakheti, la regione in cui è nato, ad est della Georgia. Ha paura che si vergogneranno per la sua sessualità. Ha paura di quello che la sua famiglia dovrà attraversare se lo venissero a sapere.

Tazo Sozashvili, 22, da Kakheti, Georgia Occidentale (Dato Parulava/OC Media).

Tazo, che lavora per il movimento che lotta per i diritti dei queer Equality Movement, fece un toccante discorso al Parlamento del Georgia nel 2018.

“Non posso andare a casa a vedere i miei genitori, mia nonna, mio nonno. Sono stato bullizzato a scuola per 12 anni. Odio ancora quel posto perché ogni giorno era terrificante, ogni giorno rischiavo la morte. Oggi non posso andare a trovare i miei genitori in Kakheti perché è pericoloso. Questa è la differenza tra me e te. Non potrete mai capire quando mi costerà fare questo discorso qui davanti a voi perché quello ad avere problemi sarò io. Voi questo non lo capirete mai perché siete uomini bianchi etero. Vi odio,” disse Tazo il 1 Maggio, di fronte al Parlamento per i Diritti Umani dopo aver promesso di segnare un giorno internazionale contro l'omofobia.

Nel 2017, l'ufficio del persecutore ha esaminato 86 casi di crimini d'odio: 12 di questi per l'orientamento sessuale e 37 per l'identità di genere.

Il rapporto del Difensore Pubblico afferma che la violenza contro le persone queer, all'interno e al di fuori del nucleo familiare, sono un problema grave e che il governo non riesce a fare nulla.

Il discorso di Tazo non era preparato. Sapendo cosa sarebbe significato per la sua famiglia vederlo in televisione, decise di chiamarli. Quello fu giorno in cui ha fatto coming out con sua madre.

“Ha pianto. Perché ci fai questo? Cosa diranno le persone di noi? Continuava a dirmi non con rabbia, ma con rimpianto” racconta Tazo.

Il suo telefono esplodeva di messaggi e chiamate. Molti di loro erano messaggi di incoraggiamento, altri no.

Tazo non ha mai parlato con suo padre dopo il suo discorso.

“Tutti i nostri amici e parenti continuavano a chiamarlo e lui voleva solo buttare via il telefono. Alcuni mostravano simpatia, cosa rara dato che alcune famiglie nella stessa situazione sono dovute scappare,” continua Tazo.

1 maggio, attivisti per i diritti degli omosessuali protestano fuori dal Parlamento della Georgia. (Dato Parulava/OC Media)

Dopo il suo coming out pubblico, molte vecchie conoscenze lo hanno contattato.

“Una decina di persone che conoscevo mi hanno inviato richieste d'amicizia, mi dicevano che non erano omofobi e che erano pronti ad aiutarmi,” dice Tazo.

Altri invece non erano così benevolenti. Ricevo minacce da anni ormai.

“Ora so per certo che non tornerò per un lungo periodo. Mi minacciano da anni ormai. Quando si riuniscono in gruppi, queste persone sono molto aggressivi, ma poi individualmente mi hanno detto che mi capivano”, continua.

Per i primi giorni dopo il coming out pubblico, Tazo non riusciva a prendere i trasporti pubblici. Aveva paura di essere riconosciuto. Ora invece la situazione sta migliorando.

“Alcuni miei amici mi dicono che sembro un'altra persona. Mi offrono il loro aiuto. Non vogliono crescere i propri figli in un posto così.”

Tuttavia non tutti la pensano così. Tazo ci racconta che sono davvero pochi i politici che vedono la gravità del problema, ad altri non interessa semplicemente.

Tazo è fiero di dare voce a tutte le persone “invisibili”

“Questa non è solo la mia storia. Questa è la voce e il dolore di migliaia di persone che cadono vittima della violenza domestica, che vengono cacciati di casa, rigettati dai propri genitori, bullizzati a scuola, discriminati a lavoro per il loro orientamento sessuale.”

“Si arriva al punto in cui non si piò più andare avanti. Arriverà il giorno in cui ci saranno più persone a parlare, proprio come me, e insieme chiederemo che gli ufficiali facciano il proprio dovere e si assumano le proprie responsabilità,”

Elvira e Amina dall'Azerbaigian

Elvira e Armine sono una coppia che viveva originariamente a Baku. Le loro vite sono cambiate molto dall'ultima volta in cui si hanno parlato con OC Media nel Settembre 2017.

La loro relazione è andata avanti abbastanza velocemente: hanno iniziato a convivere sei mesi dopo essersi conosciute e subito dopo si sono sposate in uno stato europeo in cui il matrimonio tra due persone dello stesso sesso è permesso.

La coppia racconta di sentirsi come un vero nucleo familiare e che gli amici e conoscenti concordano con loro. I loro genitori, all'inizio riluttanti, si sono arresi all'idea di non avere un genero, ma di avere una nuova. In ogni caso, la coppia si sente ancora fortemente a disagio ad Azerbaigian e progettano di andarsene.

L'ufficio del gruppo azerbaigiano per i diritti dei gay di genere e sviluppo (Vafa Zeynalova/OC Media).

“Innanzi tutto, siamo stanche di doverci nascondere,” dice Armine. “Il certificato di matrimonio non era valido nel nostro stato, quindi secondo la legge siamo rimaste due estranee. Il figlio più giovane di Elvira vive con noi ed è difficile dovergli spiegare di non parlare liberamente con le altre persone. E se alcuni, ad esempio all'asilo, scoprissero la verità sulla sua famiglia?”

Loro figlio si è trovato coinvolto indirettamente in un dramma criminale, che li ha costretti ad abbandonare l'Azerbaigian.

“Abbiamo perso dei gioielli d'oro che si trovavano nel mio porta gioie. Potrebbero essere stati rubati dalla babysitter di mio figlio. Nessun altro si è mai trovato nel nostro appartamento da solo,” racconta Elvira.

La babysitter non ha né confermato né negato la sua colpevolezza, anzi ha dato agli investigatori delle prove fotografiche intime della loro relazione.

“Siamo passate da vittime a sospettate,” aggiunge Elvira.

Dopo aver ricevuto il materiale compromettente, l'ufficiale di polizia disse ad Elvira di far cadere le accuse non solo perché la babysitter avrebbe potuto pubblicare le foto online. Secondo lui, durante le investigazioni, la polizia avrebbe messo in discussione la loro “apparenza morale” (anche se, secondo la legge, non è di rilevanza in caso di furto) e che avrebbero intervistato anche i loro genitori e i loro colleghi; potevano prendere in custodia suo figlio. L'investigatore inoltre disse ad Elvira di investigare su Amina come possibile responsabile del furto.

“Ero disgustata! In quel momento ho capito che questa donna ci stava spiando. Ho sentito un senso di insicurezza. Dopo averci consigliato di mantenere un profilo basso, l'investigatore ci disse di lasciare il paese il prima possibile e così abbiamo fatto.”

A metà marzo 2018, la famiglia ha comprato dei biglietti di sola andata per gli Stati Uniti.

(Vafa Zeynalova/OC Media)

In Azerbaigian, fino agli anni 2000, essere omosessuale era un crimine punibile dalla legge anche con anni di prigione. Dagli anni 2000 in poi solo le relazioni omosessuali con età superiore ai 16 anni sono state rese legali. Si parlava ovviamente soltanto degli uomini omosessuali. Nella legge non c'è spazio per le donne omosessuali.

L'Azerbaigian non punisce la discriminazione basata sull'orientamento sessuale. Le vittime di minacce, licenziamenti da lavoro e altri casi di molestie sono costretti a compilare una lamentela generale, ad esempio, riguardo ad una violazione dei diritti umani.

Nel 2014, il gruppo Nefes LGBT Azerbaijan Alliance ha condotto un sondaggio riguardante la reazione delle persone di fronte alle persone queer. Il risultato ha dimostrato che il 56% dei partecipanti considera l'omosessualità come una malattia innata, il 60% tratta male le persone queer e il 64% non vorrebbe lavorare con loro. Molti di loro erano giovani con un alto grado di studio.

Un certo numero di persone queer dell'Azerbaigian hanno detto a OC Media che gli uomini omosessuali vengono trattati anche peggio delle donne. L'attivista per i diritti umani Eldar Zeynalov spiega che è a causa della società patriarcale dell'Azerbaijan in cui vengono imposti degli alti standard di “mascolinità”.

“Per un uomo omosessuale significa “ridursi al livello della donna” e umiliarsi, ma anche invadere la tradizione e le fondamenta della società,” spiega Zeynalov.

Secondo il suo punto vista, solo gli omosessuali con soldi, potere, o entrambi, vengono accettati dalla società.

“Soldi e potete sono l'unico modo per dimostrare mascolinità. A un uomo ricco e potente viene perdonato tutto, inclusa una relazione con qualcuno dello stesso sesso,” conclude Zeynalov.

Oggi Amina ed Elvira vivono negli Stati Uniti con loro figlio. Stanno cercando di sistemarsi: trovare un lavoro, un nuovo appartamento e non hanno più paura di essere viste dagli altri per quelle che sono.

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