2020: un anno di lotta femminista e resistenza politica in America Latina

Proteste a Santiago del Cile, nel 2019. Foto di Carlos Figueroa con il permesso di Wikimedia Commons.

In America Latina e nei Caraibi, femminismi, movimenti sociali e cambiamenti politici hanno caratterizzato il 2020, mentre la pandemia della COVID-19 attirava l'attenzione mondiale e diventava una priorità globale.

In Messico, Argentina e Caraibi, il 2020 si è tinto di viola e verde a causa delle numerose proteste femministe [es, come i link seguenti]. In Messico, ad esempio, nonostante la pandemia, le polemiche dell’aereo presidenziale e la depenalizzazione della marijuana, il protagonista è stato il femminismo, o meglio, l’antifemminismo del governo messicano.

A marzo c'è stata un mega corteo in Messico per chiedere giustizia di fronte alla media di 10,5 femicidi registrati al giorno, seguita da altri cortei per casi specifici, come quelli di Ingrid, Fátima e Jessica.

Nonostante la repressione della polizia, la lotta ha dato i suoi frutti: la legge Olimpia contro il cyberbullismo, la legge Ingrid contro la fuga di materiale sensibile, il registro pubblico degli aggressori sessuali nella capitale messicana e l'amnistia e l'assoluzione dell'aborto.  

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In Argentina, si sono moltiplicate le denunce per violenza di genere e addescamento online. Il progetto di legge sull'interruzione volontaria della gravidanza (IVE), che il governo aveva promesso di presentare a marzo 2020, è rimasto in sospeso fino a novembre, quando è stato presentato per essere discusso a diciembre

Di fronte a queste battute d'arresto, i social network sono stati fondamentali per rafforzare le reti di aiuto femministe. Così sono state organizzate proteste contro l'allarmante aumento dei femicidi durante la pandemia, i tweet del movimento Ni Una Menos e un fazzoletto virtuale per chiedere al governo argentino di affrontare con urgenza la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza.

Da parte loro, le femministe venezuelane hanno usato WhatsApp per continuare a sostenere le donne e a tenere conferenze virtuali, mentre in Nicaragua, le organizzazioni femministe hanno denunciato la mancanza di sostegno e di giustizia per le vittime e le loro famiglie.

A gennaio, prima dell'arrivo del coronavirus a Trinidad e Tobago, si è tenuta una commemorazione pubblica per le vittime del femicidio, dove i cittadini hanno chiesto allo stato di adottare misure efficaci per proteggere donne e bambine. A marzo, a seguito di un altro femicidio, il dibattito online si è concentrato sul legame tra la violenza di genere e gli abusi sui minori, soprattutto quando le misure restrittive imposte a causa della COVID-19 sono state accompagnate da un aumento dei casi di violenza domestica.

A dicembre, quando i titoli dei giornali riportavano i femicidi di una giovane madre e di un’adolescente, sui social network si percepiva una certa stanchezza nei confronti della narrativa per cui le donne “devono fare attenzione e prendersi cura di se stesse”, e che l'attenzione doveva essere distolta dalle donne e riorientata verso le persone alla quale spetta, gli uomini.

Alcune foto della “giornata arancione” contro la violenza contro le donne a Puerto Príncipe, 25 gennaio 2020. Foto di Womantra, utlizzate con il loro permesso.

Movimenti politici in Uruguay, Bolivia, Perù e Cile

Si potrebbe sostenere che il più grande cambiamento in Uruguay è avvenuto nella scena politica, con la fuoriuscita del Fronte Ampio (a sinistra) e il ritorno al governo del Partito Nazionale (a destra) dopo trent'anni, attualmente in una “coalizione multicolore“. L'opposizione e altre associazioni criticano il governo per la legge di considerazione urgente, percepita come un passo indietro in termini di libertà di espressione. Tuttavia, il successo della gestione della prima ondata della COVID-19 ha causato solo poche decine di morti e ha permesso al paese di diventare un punto di riferimento nella gestione della crisi.

In Bolivia, dopo un anno tra polarizzazione, razzismo all'esasperazioni, attacchi, feriti e omicidi, la popolazione si è presentata pacificamente alle urne in ottobre, e il 55% degli elettori ha eletto il duo Luis Arce e David Choquehuana del partito Movimiento per il Socialismo (MAS). La polarizzazione, in misura minore, si concentra ora sulle elezioni subnazionali del 7 marzo 2021.

L'elezione di Luis Arce è stata celebrata in diversi centri urbani del mondo. Nelle sue mani c'è la riconciliazione di un paese profondamente diviso e che deve fare i conti con la propria storia.

Manifestazioni in Bolivia. Foto di Eduardo Montaño Photography, utilizzata con permesso.

Dall'esterno, è stata forse sottovalutata l'importanza delle proteste della generazione del bicentenario in Perù, paese turbato dalla vacanza del presidente Martín Vizcarra, dalle dimissioni del governo illegittimo di Manuel Merino e dalla nomina di Francisco Sagasti a presidente ad interim. Tuttavia, sia Merino che Sagasti hanno utilizzato un'eccessiva repressione poliziesca, e quest'ultima sta mantenendo le istituzioni del paese in uno stato di tensione. Questo contesto caotico è stato aggravato dalla crisi sanitaria della COVID-19 e dalle politiche estrattive nei territori indigeni a favore delle grandi imprese.

D'altra parte, la pandemia non ha impedito al Cile di indire uno storico referendum, dove è stato approvato a stragrande maggioranza la modifica della costituzione promulgata dall'ex dittatore Augusto Pinochet nel 1980 e considerata “la madre delle disuguaglianze del Cile“. Il plebiscito, tenutosi il 25 ottobre, è stata la principale richiesta che ha guidato l’esplosione sociale dell'ottobre 2019, alla quale il governo ha ha risposto con repressione, arresti e numerose violazioni dei diritti umani.

Violenza, autoritarismo, disinformazione e proteste da nord a sud

In Colombia, oltre alla preoccupazione per la pandemia e per gli oltre 40.000 morti causati dalla COVID-19, è stato evidenziato lo scarso consenso nei confronti del governo e il malcontento dei colombiani per la mancanza di soluzioni efficaci contro tanta violenza. Tuttavia, il presidente Duque insiste nel negare la gravità degli omicidi, tra cui ottanta massacri.

E’ stato particolarmente inquietante l'aumento degli omicidi di leader sociali e di attivisti per i diritti umani, ed è stato svelato che la polizia è stata coinvolta nell'omicidio dell'avvocato Javier Ordóñez, che ha portato a proteste seguite da repressioni e dalla conseguente morte di almeno dieci persone, oltre a molteplici feriti.

Minacce di morte, omicidi, molestie, abusi e censura contro giornalisti e attivisti sono stati costanti, ma hanno anche stimolato la comparsa di mezzi di comunicazione alternativi.

In Venezuela, dopo un anno di relativa normalizzazione economica, nonostante l'iperinflazione e la crescita dell’emergenzia umanitaria, la pandemia ha portato ad una escalation delle misure autoritarie del governo. L'aumento della militarizzazione, il controllo delle istituzioni statali e la persecuzione politica di giornalisti, attivisti umanitari e dissidenti hanno caratterizzato la politica pubblica fin dal primo giorno della pandemia, con l'aggiunta che il governo di Nicolás Maduro ha totalmente sfollato la rappresentanza politica dissidente attraverso discutibili elezioni parlamentari.

La crisi migratoria venezuelana, la più grave della regione con 5,4 milioni di venezuelani al di fuori del paese, è stata aggravata dalla pandemia e ha colpito la vita di questa vulnerabile comunità nei paesi ospitanti.

Il caos e la paura hanno travolto i cittadini in Giamaica. Benché la pandemia della COVID-19 sia in testa alla lista delle preoccupazioni, un sondaggio informale su Twitter ha rivelato che i timori di un possibile aumento della criminalità sono aumentati, nonostante il fatto che la polizia giamaicana abbia riportato una leggera riduzione dei crimini violenti rispetto al 2019.

D'altra parte, il coprifuoco notturno durante la pandemia non sembra aver impedito centinaia di feste e attività sociali illegali, alcune delle quali sono state organizzate da persone con legami criminali e hanno portato ad episodi di violenza.

In Nicaragua, i cittadini hanno sofferto di un insieme di emozioni negative. La crisi della salute pubblica causata dalla COVID-19 e dalla gestione dello stato è stata aggravata dall’impatto degli uragani Iota e Eta, e dalle prospettive per le elezioni del 2021 in un paese in cui prevalgono la repressione della polizia, la mancanza di libertà di stampa e di espressione e le costanti violazioni dei diritti umani.

Dopo l'ondata di proteste del 2018, circa 100.000 persone sono fuggite dal paese, ma molti nicaraguensi in esilio si sono organizzati per continuare a partecipare all’attivismo politico dall'estero. Nel frattempo, il governo di Daniel Ortega sta facendo pressione su tre leggi per rafforzare il suo sistema di controllo sulla popolazione e impedire qualsiasi tentativo di opposizione organica.

Così, il Nicaragua chiude l'anno con un'escalation di violenza sistemica, una finta tranquillità e dubbi sui dati sulla COVID-19, uno stato al riparo dalle proteste e, soprattutto, l'incertezza su ciò che accadrà nel 2021.

Più a nord, in El Salvador, il 2020 è stato un periodo di intenso conflitto politico. Il presidente Bukele continua a confrontarsi con l'assemblea legislativa e la camera costituzionale, e a definire deputati e giudici “corrotti, criminali e ladri”. Per molti, il suo stile aggressivo è la dimostrazione di un piano politico per il controllo del paese. Malgrado le accuse di corruzione, negoziazione tra gang e attacchi alla stampa, mantiene un indice di gradimento di oltre il 75%.

Successivamente a un tweet sull’impatto della pandemia in Ecuador, Bukele è stato smentito dal governo ecuadoriano. Ben presto i contenuti che circolano sui social network hanno fatto notizia in tutto il mondo: cadaveri lasciati per strada, famiglie alla ricerca del corpo di persone care e presunte cremazioni di corpi per le strade.

Il racconto della disinformazione non è bastato al governo dell'Ecuador per spiegare quello che ha vissuto Guayaquil. Di fronte a una realtà travolgente, è stata creata una Task Force congiunta per seppellire i corpi. Lo stesso ufficio del sindaco di Guayaquil ha dovuto consegnare le bare di cartone alle famiglie. Di fronte a questo scenario, le popolazioni indigene della regione si sono organizzate per proteggersi dal coronavirus.

In sintesi, la pandemia ha sorpreso una regione già duramente colpita, ma ha anche messo alla prova la resistenza dei movimenti sociali, che non si sono fermati davanti a nulla per rivendicare i loro diritti.

In questo modo, sono state evidenziate alcune buone notizie riguardanti l'identità di genere nella regione: l'Ecuador ha avuto il suo primo corteo transessuale, il governo argentino ha approvato la quota minima di lavoratori transessuali nel settore pubblico, la Bolivia ha riconosciuto la libera unione tra persone dello stesso sesso, così come lo stato di Puebla, in Messico.

Vi invitiamo a vedere questa edizione speciale di “Voci dall'America Latina”, del mezzo di comunicazione digitale La Lupa, dove alcuni dei nostri autori provenienti da Bolivia, Uruguay e Messico analizzano gli eventi chiave nelle loro regioni:

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