Cosa stiamo facendo ai cervelli dei nostri bambini?

Tehmina Shekh photographed at the Chingari Clinic in Bhopal, India -- site of one of the world's worst chemical disasters. Photo by Flickr user Bhopal Medical Appeal. CC-BY-NC-SA 2.0

Tehmina Shekh fotografata alla Chingari Clinic a Bhopal, India — il luogo di uno dei peggiori disastri chimici mondiali. Foto di Bhopal Medical Appeal, utente di Flickr. CC-BY-NC-SA 2.0

Questo post di Elizabeth Grossman  [en, come tutti i link seguenti], è stato originariamente pubblicato su Ensia.com, una rivista che mette in evidenza le strategie ambientali internazionali in atto, ed è ripubblicato qui come parte di un accordo di condivisione dei contenuti.

16 febbraio 2015 – I numeri sono sorprendenti. Secondo i Centri statunitensi per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC), tra il 2006 e il 2008 negli Stati Uniti sono stati diagnosticati circa 1,8 milioni di bambini con disabilità dello sviluppo in più rispetto a dieci anni prima. Durante questo periodo, l’incidenza dell'autismo è salita di quasi il 300%, mentre quella del disturbo da deficit di attenzione e iperattività è aumentata del 33%. I dati del CDC mostrano anche che il 10-15% dei bambini nati negli Stati Uniti ha un qualche tipo di disturbo dello sviluppo neuro comportamentale. Ancora di più sono quelli affetti da disturbi neurologici che non raggiungono il livello della diagnosi clinica.

Questi dati non riguardano soltanto gli Stati Uniti, ma milioni di bambini in tutto il mondo. I numeri sono tali che Philippe Grandjean della University of Southern Denmark e della Harvard T.H. Chan School of Public Health e Philip Landrigan della Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York – entrambi medici e ricercatori di spicco in questo campo – descrivono la situazione come una “pandemia”.

Mentre la precedente e più assidua diagnosi rappresenta una parte dell'aumento documentato, non spiega proprio tutto, dice Irva Hertz-Piccioto, professore di salute ambientale e occupazionale e capo dell'Università della California, Davis, MIND Institute. Grandjean e Landrigan accreditano fattori genetici per il 30-40% dei casi. Ma un significativo e crescente corpus di ricerche suggerisce che nel preoccupante aumento dei disturbi neurologici dei bambini è implicata l'esposizione agli inquinanti atmosferici.

Esattamente, cosa sta succedendo? E cosa possiamo fare al riguardo?

Cervello e sostanze chimiche

Alcune sostanze chimiche – piombo, mercurio e pesticidi organofosfati, per esempio – sono da tempo riconosciute come sostanze tossiche che possono avere effetti permanenti sulla salute neurologica dei bambini, dice Bruce Lanphear, professore di scienze della salute alla Simon Fraser University. Se da una parte la vernice al piombo è ora vietata negli Stati Uniti, dall’altra è ancora presente in molte case e rimane in uso in altre parti del mondo. I bambini possono essere esposti al piombo anche da vernici, coloranti e metalli usati nei giocattoli, anche se questi usi sono proibiti dalla legge statunitense (ricordate Thomas the Tank Engine), attraverso il suolo contaminato o altre sostanze ambientali, oltre che dalla plastica in cui il piombo è usato come ammortizzatore. Le fonti di esposizione al mercurio includono alcuni pesci, l'inquinamento dell'aria e i vecchi termometri e termostati contenenti mercurio. Sebbene siano stati fatti molti sforzi per ridurre ed eliminare queste esposizioni, le preoccupazioni persistono, soprattutto perché ora siamo consapevoli che gli effetti nocivi possono verificarsi a livelli eccezionalmente bassi.

At early stages of development — prenatally and during infancy — brain cells are easily damaged by industrial chemicals and other neurotoxicants. Photo by Flickr user Jason Corey. CC-BY-NC-SA 2.0

Nelle prime fasi dello sviluppo – prenatale e durante l'infanzia – le cellule cerebrali sono facilmente danneggiate da sostanze chimiche industriali e da altri neurotossici. Foto di Jason Corey, utente di Flickr. CC-BY-NC-SA 2.0

Ma gli scienziati stanno scoprendo che anche i composti chimici comuni nell'aria esterna – compresi i componenti dei gas di scarico dei veicoli e le polveri sottili – così come nell'aria interna e nei prodotti di consumo, possono nuocere gravemente allo sviluppo del cervello, anche a livello prenatale.

Le sostanze chimiche nei prodotti ignifughi, nelle materie plastiche, nei prodotti per la cura della persona e in altri prodotti per la casa, sono tra quelli che Lanphear classifica come fattori di preoccupazione per i loro effetti sullo sviluppo neurologico.

Le sostanze chimiche che provocano cambiamenti ormonali sono sempre più sospettate di avere effetti neurologici, dice Linda Birnbaum, direttore del National Institute of Environmental Health Sciences and National Toxicology Program. Tra le sostanze chimiche ora in esame per gli impatti neurologici che si verificano nei primi anni di vita vi sono le sostanze ignifughe, note come PBDE, ampiamente utilizzate in schiume per tappezzeria, elettronica e altri prodotti; gli ftalati, ampiamente utilizzati come plastificanti e in profumi sintetici; l'ingrediente plastico di policarbonato bisfenolo A, noto comunemente come BPA; composti perfluorurati, le cui applicazioni includono rivestimenti resistenti alle macchie, all'acqua e ai grassi; e vari pesticidi.

Coreografia accurata

Come spiegano Grandjean e Landrigan, il feto non è ben protetto dalle sostanze chimiche ambientali che possono facilmente passare attraverso la placenta. Ci sono prove da studi in vitro, dicono, che le cellule staminali neurali sono molto sensibili alle sostanze neurotossiche.

Negli ultimi 30-40 anni, gli scienziati hanno iniziato a capire che i bambini e i neonati sono molto più vulnerabili alle esposizioni chimiche rispetto agli adulti.

Anche il cervello di un neonato è vulnerabile a tali contaminanti. Nelle prime fasi dello sviluppo – prenatale e durante l'infanzia – le cellule cerebrali sono facilmente danneggiate da sostanze chimiche industriali e da altri neurotossici. Tali interferenze possono influenzare il modo in cui il cervello si sviluppa strutturalmente e funzionalmente – effetti che portano a risultati negativi permanenti.

“Il cervello è così estremamente sensibile alla stimolazione esterna”, dice Grandjean.

Storicamente, la neurotossicità chimica è stata esaminata negli adulti – spesso attraverso casi di alti livelli di esposizione professionale. Negli ultimi 30-40 anni, tuttavia, gli scienziati hanno iniziato a scoprire che i bambini e i neonati sono molto più vulnerabili alle esposizioni chimiche rispetto agli adulti. Si è anche scoperto che livelli molto bassi di esposizione nei primi anni di vita possono avere danni acuti e permanenti. Un'altra importante scoperta è che comprendere come un neonato o un bambino sia colpito da un'esposizione chimica comporta molto di più del semplice calcolo dei potenziali effetti su una persona fisicamente più piccola. Bisogna anche considerare lo stadio di sviluppo e la tempistica dell'esposizione. I primi stadi dello sviluppo del cervello comportano “una coreografia molto precisa”, spiega Frederica Perera, docente di Scienze della Salute Ambientale alla Columbia University's Mailman School of Public Health. “Qualsiasi sostanza chimica che può disturbare la chimica del cervello in questa fase può essere molto dannosa”, dice.

Per esempio, spiega Deborah Kurrasch, professore associato alla Scuola di Medicina di Cumming dell'Università di Calgary, specializzata in ricerca neurologica, durante le prime fasi dello sviluppo del cervello – quando le cellule diventano neuroni – “il tempismo determina la destinazione”.

I risultati dell'ultimo studio di Kurrasch che indaga sugli effetti del BPA sullo sviluppo neurologico illustrano cosa intende. In uno studio pubblicato nel gennaio 2015, Kurrasch e colleghi hanno esaminato gli effetti sul neurosviluppo del BPA e di un comune sostituto del BPA, il bisfenolo S. In particolare, hanno studiato come l'esposizione al BPA e al BPS – a livelli paragonabili a quelli presenti nella fornitura locale di acqua potabile della sua comunità – potrebbe influenzare lo sviluppo dei neuroni nei pesci zebra in una fase paragonabile al secondo trimestre di gravidanza umana, quando i neuroni si formano e si spostano verso la corretta posizione nel cervello.

Molte delle sostanze chimiche sotto esame per i loro effetti sullo sviluppo del cervello sembrano agire interferendo con la funzione degli ormoni essenziali per un sano sviluppo del cervello.

“È come se stessero salendo su un autobus per raggiungere una meta”, dice Kurrasch. Dopo l'esposizione a BPA e BPS era come se, spiega Kurrasch, “il doppio dei neuroni salisse su un autobus in anticipo e la metà di quelli in ritardo”. I ricercatori hanno scoperto che queste esposizioni sembravano alterare lo sviluppo dei nervi – la neurogenesi – in un modo che ha scatenato nei pesci l'iperattività. Una tale alterazione, prodotta in questo caso da una “minima quantità di BPA”, può causare danni permanenti, dice Kurrasch.

Molte delle sostanze chimiche oggetto d'indagine per i loro effetti sullo sviluppo cerebrale – tra questi troviamo BPA, ftalati, composti perfluorurati, ritardanti di fiamma bromurati e vari pesticidi – sembrano agire interferendo con la funzione degli ormoni essenziali per un sano sviluppo cerebrale. Tra questi ci sono gli ormoni tiroidei, che regolano la parte del cervello coinvolta in diverse funzioni vitali, tra cui la riproduzione, il sonno, la sete, il mangiare e la pubertà.

Durante il primo trimestre di gravidanza, il feto non produce il proprio ormone tiroideo, dice Thomas Zoeller, direttore del Laboratorio di Endocrinologia Molecolare, Cellulare e dello Sviluppo presso l'Università del Massachusetts Amherst. Se un'esposizione ambientale a una sostanza come il policlorobifenile o il perclorato interferisce con gli ormoni tiroidei della madre in questo periodo – come potrebbe accadere per esempio attraverso l'inquinamento dell'acqua – questa potrebbe a sua volta colpire il figlio in una fase critica dello sviluppo cerebrale.

Un'altra cosa da considerare nel contesto delle esposizioni chimiche che alterano il sistema endocrino, dice Zoeller, è che una parte sostanziale delle donne in età fertile negli Stati Uniti hanno una certa carenza di iodio che potrebbe sopprimere i loro ormoni tiroidei. Se da una parte queste carenze non provocano necessariamente effetti clinicamente negativi, dall'altra possono essere responsabili di una compromissione dello sviluppo neurologico fetale. “Gli impatti possono verificarsi a livelli molto al di sotto degli standard di sicurezza”, dice Zoeller. E ci sono moltissime sostanze chimiche, a cui queste donne possono essere esposte a livello ambientale, che sono potenzialmente in grado di influenzare gli ormoni tiroidei, tra cui PBDE, PCB, BPA, vari pesticidi, composti perfluorurati e alcuni ftalati.

Qualcosa c'è nell'aria

Una fonte di esposizione a sostanze chimiche particolarmente preoccupante che si sospetta possano danneggiare lo sviluppo cerebrale dei bambini è l'inquinamento atmosferico, che è una complessa miscela di varie sostanze chimiche e particolato.

La ricerca suggerisce sempre più spesso che gli agenti contaminanti possono avere effetti sottili ma significativi sullo sviluppo neurologico precoce e sul comportamento.

Perera e i suoi colleghi hanno recentemente studiato i legami tra l'esposizione agli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), un componente dell'inquinamento atmosferico legato ai combustibili fossili, e l’incidenza dell'ADHD nei bambini di 9 anni. Dal loro studio emerge che le madri che sono state esposte a livelli elevati di IPA durante la gravidanza avevano più probabilità (cinque volte in più) di avere figli con ADHD e di avere figli con sintomi ADHD più gravi rispetto a quelli che non hanno avuto tale esposizione. Mentre questo studio è il primo a fare un tale collegamento, si unisce a un crescente corpo di ricerca che punta a individuare collegamenti tra gli inquinanti dell'aria esterna, compresi gli IPA, e gli impatti negativi sulla salute e lo sviluppo del cervello dei bambini.

Osservare gli effetti dell'inquinamento atmosferico sulla salute del cervello è qualcosa di relativamente nuovo, spiega Kimberly Gray, responsabile delle scienze della salute presso i National Institutes of Health. La ricerca suggerisce sempre più spesso che gli agenti contaminanti possono avere effetti sottili ma significativi sullo sviluppo neurologico precoce e sul comportamento, dice lei. Oltre ai collegamenti tra l'esposizione prenatale agli IPA e le funzioni cerebrali compromesse, i ricercatori stanno anche studiando le potenziali connessioni tra il carbonio nero, i composti organici volatili e il particolato fine – tra gli altri componenti dell'inquinamento atmosferico – e le disabilità come l'autismo e l'abbassamento del QI.

In uno studio pubblicato nel dicembre 2014, Marc Weisskopf, professore associato di epidemiologia ambientale e occupazionale della Harvard T.H. Chan School of Public Health, e i suoi colleghi hanno esaminato i bambini le cui madri sono state esposte a livelli elevati di polveri sottili (PM2,5, particelle di 2,5 micrometri di diametro o più piccole), in particolare durante il terzo trimestre di gravidanza. Lo studio, che ha coinvolto più di 1000 partecipanti che vivono in tutti gli Stati Uniti, ha rilevato che questi bambini sembravano avere più probabilità (due volte in più) di essere diagnosticati con autismo rispetto ai bambini le cui madri avevano subito solo bassi livelli di tali esposizioni. L'esposizione a particelle più grandi – tra 2,5 e 10 micrometri (ciò che è noto come PM10) – non sembra essere associata con l'aumento del rischio di autismo.

“Questo è molto importante dal punto di vista epidemiologico” perché “mette in evidenza l'esposizione della madre”, dice Weisskopf. Evidenzia anche l'importanza dei tempi e degli effetti sullo sviluppo neurologico. Anche se molti altri fattori possono contribuire all'autismo, spiega Weisskopf, questo studio rafforza il suggerimento che le esposizioni ambientali possano giocare un ruolo. Il fatto che sembra che le particelle molto piccole siano associate a questi effetti, si aggiunge a ciò che altre ricerche stanno trovando: ciò che potrebbe sembrare quantitativamente piccolo può “essere abbastanza importante” quando si tratta di influenzare lo sviluppo del cervello, spiega Weisskopf.

I ricercatori della Columbia University hanno recentemente pubblicato un ulteriore studio che collega i comuni inquinanti atmosferici alla compromissione cognitiva e comportamentale nei bambini.

Esposizione generalizzata

Come fanno notare Grandjean e Landrigan, una delle recenti e allarmanti consapevolezze riguardo l'esposizione ambientale ai neurotossici per lo sviluppo, è quanto l'esposizione sembri essere diffusa e l'ubiquità di tali composti. “Sempre più sostanze chimiche neurotossiche stanno entrando nei prodotti”, dice Landrigan.

Gli ftalati, che vengono utilizzati come plastificanti – anche nelle plastiche di polivinilcloruro – e nelle fragranze sintetiche e in numerosi prodotti per la cura della persona, comprendono una categoria di sostanze chimiche ampiamente utilizzate che sembrano avere un impatto negativo sullo sviluppo del cervello. I ricercatori della Columbia University's Mailman School of Public Health hanno recentemente scoperto che i bambini esposti in fase prenatale a livelli elevati di alcuni ftalati avevano livelli di QI che erano, in media, tra i 6 e gli 8 punti inferiori rispetto ai bambini con esposizioni prenatali più basse. I bambini con ridotti livelli di QI sembravano anche avere problemi con la memoria di lavoro, il ragionamento percettivo e la velocità di elaborazione delle informazioni.

“Negli Stati Uniti sono pressoché tutti esposti.” – Robin Whyatt

Gli ftalati esaminati in questo studio, noti come DnBP e DiBP, sono utilizzati in numerosi prodotti per la casa e in prodotti per l'igiene personale e cosmetici, tra cui shampoo, smalto per unghie, rossetto, prodotti per i capelli e sapone, così come tessuti vinilici e salviette. I livelli di esposizione associati alla riduzione del QI nello studio sono all'interno della gamma che il CDC riferisce di aver trovato nel suo National Health and Nutrition Examination Survey (sondaggio nazionale su salute e nutrizione), una valutazione di biomonitoraggio delle esposizioni chimiche in corso a livello nazionale. “Praticamente tutti negli Stati Uniti sono esposti”, dice il coautore dello studio Robin Whyatt, professore di scienze della salute ambientale presso il Columbia University Medical Center.

Anche se un tale calo del QI può sembrare piccolo, Pam Factor-Litvak, l'autore principale dello studio e professore associato di epidemiologia alla Mailman School, osserva che a livello di popolazione – o di classe – questo significa meno bambini nella fascia alta della scala di intelligenza e più nella fascia meno capace. “L'intera curva si sposta verso il basso”, spiega.

“Cinque o sei punti di QI possono non sembrare molti, ma significa più bambini che richiedono programmi educativi speciali e meno bambini dotati”, dice Maureen Swanson, direttrice del Learning Disabilities Association of America's Healthy Children Project. “Il potenziale impatto economico è enorme”, dice Birnbaum di NIEHS.

Fonte di stress

Ciò che stimola i disturbi neurologici nei bambini è “molto complesso”, osserva Frederica Perera. Oltre alla sfida di districarsi tra i vari fattori che vi contribuiscono, la ricerca sulle – e la regolazione delle – sostanze chimiche guarda generalmente a una sostanza alla volta, mentre le persone sono esposte a più sostanze chimiche contemporaneamente. A questa complessità, quando si tratta di sviluppo del cervello, si aggiungono le tensioni sociali che “agiscono sulla stessa parte della regione cerebrale”, spiega Deborah Cory-Slechta, professoressa di medicina ambientale dell'Università di Rochester. Lei e altri stanno trovando prove sempre più evidenti che i fattori di stress non chimici, come lo stress materno, domestico e della comunità, possono provocare effetti negativi sullo sviluppo cerebrale precoce, da soli o in combinazione con sostanze chimiche neurotossiche.

Birnbaum dice che questa apparente interazione tra sostanze chimiche e fattori di stress non chimici è “molto preoccupante e molto importante”.

Gli studi epidemiologici, spiega Cory-Slechta, sono gli studi più corretti per quelli che sono chiamati fattori confondenti – altre variabili che potrebbero influenzare la condizione esaminata. Molti studi, dice, “non stanno chiaramente rivelando ciò che accade nell'ambiente umano”. Quello che lei e i suoi colleghi sperano di fare è “riprodurre negli studi sugli animali ciò che accade nelle comunità umane”, in particolare nelle comunità più vulnerabili ai fattori di stress sociale e più esposte a contaminanti chimici, tra cui piombo, pesticidi e inquinamento atmosferico.

Il piombo e lo stress influenzano la stessa parte del cervello, dice, e quindi possono agire sinergicamente nei primi anni di vita per produrre cambiamenti permanenti nella struttura cerebrale. Questi cambiamenti possono portare a un abbassamento del quoziente intellettivo, a problemi di apprendimento e di comportamento.

Il laboratorio di Cory-Slechta sta ora lavorando per replicare le condizioni di stress e di privazione cronica in modelli animali che rispecchino quelle vissute dalle comunità di povertà. L'obiettivo è quello di capire meglio come questi effetti attraversano la placenta e diventano la base fetale di danni permanenti. Lei e i suoi colleghi stanno indagando, non solo le associazioni tra esposizioni e sviluppo neurologico, ma anche i meccanismi attraverso i quali si verificano gli effetti.

Cosa fare?

Supponendo che vogliamo smettere di danneggiare il cervello dei nostri figli, come procediamo?

Un passo importante è quello di migliorare la nostra capacità di determinare quali sostanze chimiche hanno effetti sullo sviluppo neurologico. Un sistema di screening rapido sarebbe l'ideale, dice Birnbaum, perché ci sono così tante sostanze chimiche – anche quelle di nuova invenzione – a cui le persone sono esposte. Mentre un tale programma per testare rapidamente un gran numero di sostanze chimiche utilizzando la robotica è stato lanciato da NIH, EPA e altre agenzie federali, ce ne sono decine di migliaia che potrebbero essere in uso, la maggior parte delle quali non è stata completamente testata per questi effetti.

Quando si tratta di ridurre le esposizioni esistenti, alcune sostanze chimiche possono essere evitate attraverso la scelta del consumatore. Ma è spesso difficile, dato che molte di queste sostanze sono usate – come il BPA sulle ricevute – in prodotti che non riportano le etichette degli ingredienti. Altre, tra cui gli inquinanti atmosferici, sono molto più difficili, data la loro ubiquità o la mancanza di alternative disponibili. E, come nota Maureen Swanson, tali scelte non sono economicamente fattibili per tutte le persone, il che solleva questioni di giustizia ambientale.

Grandjean e Landrigan sottolineano che il sistema statunitense di regolamentazione delle sostanze chimiche, che manca di requisiti per i test di tossicità pre-commercializzazione completi, non fa un buon lavoro quando si tratta di sicurezza chimica proattiva. “Le sostanze chimiche non testate non dovrebbero essere considerate sicure per lo sviluppo del cervello, e le sostanze chimiche attualmente in uso e tutte le nuove sostanze devono quindi essere testate per la neurotossicità dello sviluppo”, hanno scritto in un articolo pubblicato su The Lancet.

Sebbene alcune fonti di neurotossicità potrebbero sembrare essere state adeguatamente affrontate, non è sempre così. Ad esempio, sono stati compiuti notevoli progressi nella riduzione dell'esposizione al piombo attraverso la politica e l'educazione alla salute pubblica negli Stati Uniti e altrove. Tuttavia, l'attuale comprensione è che di fatto qualsiasi quantità di esposizione al piombo può causare danni, e le esposizioni nocive continuano – soprattutto nei paesi in cui si usano ancora vernici al piombo e benzina. E negli Stati Uniti, i finanziamenti CDC per i programmi di prevenzione del piombo sono stati drasticamente ridotti nel 2012.

Quando si tratta di proteggere il cervello in via di sviluppo, particolarmente sensibile, le misure attualmente utilizzate per valutare il rischio chimico e stabilire gli standard di sicurezza non sono sufficienti, dice Cory-Slechta.

Nel frattempo, i bambini di tutto il mondo – soprattutto nei paesi meno abbienti – continuano ad essere esposti a pericolosi neurotossici rilasciati dalle emissioni industriali, dai siti di rifiuti e attraverso il lavoro minorile. Gli esempi abbondano e comprendono l'esposizione a sostanze chimiche rilasciate nel riciclaggio di prodotti elettronici in varie località dell'Asia e dell'Africa, al piombo e al mercurio derivanti dall'attività mineraria, ai pesticidi agricoli, ai prodotti contaminati da metalli pesanti, compresi gli alimenti e i dolciumi.

Quando si tratta di proteggere il cervello in via di sviluppo, particolarmente sensibile, le misure attualmente utilizzate per valutare il rischio chimico e stabilire gli standard di sicurezza non sono sufficienti, dice Cory-Slechta. “Dovrebbe riguardare la prevenzione primaria, ma così non è” afferma.

In assenza di quella che molti sostenitori della salute ambientale ritengono essere un'adeguata regolamentazione federale degli Stati Uniti in materia di sostanze chimiche, molti singoli stati americani hanno recentemente approvato le proprie leggi per proteggere i bambini da esposizioni chimiche dannose. Molti si occupano di sostanze chimiche con effetti neurotossici, in particolare quelli dei metalli pesanti come il cadmio, il piombo e il mercurio. E anche se alcuni Stati stanno cominciando a includere una sezione nella loro legislazione per proteggere le donne incinte dai rischi chimici, questa tempistica di esposizione non è ancora stata presa in considerazione.

Nonostante ora sappiamo molto circa le conseguenze dei neurotossici sullo sviluppo, sembrano verificarsi più esposizioni di quante se ne siano mai verificate prima. E sembra esserci un ampio consenso tra i ricercatori sul fatto che queste esposizioni stanno avendo un impatto su tutti i bambini del mondo.

“Per me è molto chiaro che dobbiamo mettere in piedi un sistema diverso per proteggere meglio le menti del futuro”, dice Grandjean.

Elizabeth Grossman è una giornalista e scrittrice indipendente specializzata in questioni ambientali e scientifiche. È autrice di Chasing Molecules, High Tech Trash, Watershed e altri libri. Il suo lavoro è apparso anche in diverse pubblicazioni, tra cui Ensia, Scientific American, Yale e360, il Washington Post, TheAtlantic.com, Salon, The Nation e Mother Jones. Il suo profilo Twitter è @lizzieg1.

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