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Società canadesi e statunitensi produttrici di cannabis minacciano le comunità indigene della Colombia

Categorie: Nord America, Canada, Colombia, U.S.A., Citizen Media, Economia & Business, Indigeni, Sviluppo

Popolo Misak del dipartimento di Cauca, Colombia.  Wairaquetzal/ [1]Flickr [2] (CC BY 2.0 [2])

Questa storia è stata originariamente pubblicata su Media.coop [3] [en]; qui una versione modificata e pubblicata su Global Voices

Nel 2016, quando è stato firmato il Trattato di Pace tra il Governo colombiano e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), la Colombia ha oltretutto introdotto la coltivazione legale, la lavorazione e l'esportazione di cannabis medica. Ad oggi, l'investimento totale in coltivazione e laboratori di cannabis medica nel Paese ha raggiunto la cifra di circa 600 milioni di dollari canadesi, compresi anche “circa 100 milioni di dollari [4] [en] investiti da aziende canadesi, che sono tra le prime a muoversi nel settore”, secondo quanto detto da Michael Cullen e Miguel Salcedo, consulenti internazionali di FTI Consulting
Nello stesso anno, le autorità nazionali hanno concesso la prima licenza [5] [es, come tutti i link salvo diversa indicazione] a PharmaCielo, una società canadese la cui filiale si trova a Rionegro, nella provincia di Antioquia, e che impiega 500 colombiani.

Secondo l'addetto stampa di PharmaCielo, il loro impegno per le loro operazioni in Colombia è rimasto “immutato sin dalla loro fondazione”.

“Questo è il fulcro della nostra strategia di business e ci aspettiamo di continuare a crescere nel tempo” ha dichiarato il portavoce a Media Co-op in un'email.

L'azienda lavora con Seynekun [6], un'associazione guidata dal popolo Arhuaco che serve le comunità indigene che lavorano su diversi progetti nella Sierra Nevada, situata tra le province di Magdalena e Cesar.

La PharmaCielo lavora anche con la Cooperativa Caucannabis [7], che cerca di migliorare la salute delle persone attraverso la cannabis medicinale. Questa cooperativa ha 63 membri di diversi gruppi rurali ed etnici, tra cui agricoltori e membri delle comunità indigene Nasa e Paeces che sono sparsi in cinque comuni: Jambaló, Corinto, Caloto, Miranda y Toribio, Nord Cauca.

Inoltre, Asocolcanna, [8] un'associazione colombiana di industrie di cannabis, include altri 30 membri, almeno otto dei quali sono le compagnie canadesi e colombiano-canadesi Pharmacielo, Khiron, Nusierra, Ecopharma, Canopy Growth, Avicanna, Cleaver Leaves, Green Health, così come altre compagnie canadesi non nominate sul  sito web, come Verdemed e Aphria.

Secondo Fedesarollo, una centro di ricerca socio-economico colombiano, ci si apsetta che il mercato mondiale della cannabis cresca del 44% [9] entro il 2025.

Nel 2019, One World Pharma, una società con sede negli Stati Uniti, ha ottenuto le licenze colombiane per la coltivazione non psicoattiva a basso contenuto di THC e la produzione di derivati della canapa e l'uso di semi. Hanno anche promosso [10] [eng] la loro partnership con il popolo Misak per la coltivazione, l'acquisto e la vendita di cannabis non psicoattiva e canapa per la ricerca medica e scientifica.

Questa azienda lavora anche con Wala Cannabis. Entrambi hanno ricevuto la medaglia Croix di Belalcázar dall'assemblea provinciale grazie ai loro investimenti nel 2019. (Belalcázar era un conquistatore spagnolo e fondatore della città di Popayán nel Cauca, la cui statua è stata abbattuta [11] [eng] dal popolo Misak lo scorso anno).

“La cannabis non fa parte della nostra medicina tradizionale”

Questo massiccio afflusso di investimenti in cannabis, tuttavia, mette a rischio gli standard di vita tradizionali delle nazioni indigene come i Misak. Più di 26.000 Misak vivono in tutto il Paese nelle province di Cauca, Caquetá, Huila, Putumayo, Valle del Cauca, Cundinamarca e Meta e molti sono a disagio con la coltivazione della cannabis.

Mama Mercedes Tunubalá [12], un sindaco Misak del comune di Silvia nella provincia di Cauca, ha spiegato a Media Co-op che le autorità ancestrali sono preoccupate per il futuro delle giovani generazioni e per gli sconvolgimenti sociali che porta questo tipo di monocoltura, come già testimoniato dalle coltivazioni di papavero da oppio in passato.

“Noi crediamo nelle piante medicinali e sappiamo che hanno determinate funzioni, (utilizzandole fredde o calde) ma la cannabis non fa parte della nostra medicina tradizionale” ha detto in spagnolo. “Non siamo interessati e non la usiamo”.

Jesús Tunubalá, segretario del Consiglio di Taitas e Mamas, autorità ancestrali di Misak Nu Nakchack, dice anche che la coltivazione della cannabis può portare conflitti su terre dove diversi attori sociali come paramilitari e spacciatori si contendono il territorio.

Egli difende anche le loro pratiche agricole che sostiene essere rispettose della Madre Terra, compresa la coltivazione di colture diverse in yatules (frutteti) intorno alle loro case. Queste, dice, promuovono i modi tradizionali di coltivare, cosa che le monocolture di cannabis non fanno.

La situazione dei Misak è peggiorata dal fatto che devono affrontare un deficit di terra.

Per esempio, nella riserva di Guambia, il 78% della terra è protetto come importante ecosistema e area sacra, il che lascia solo il 22 per cento della terra disponibile per uso agricolo.

Taita José Pillimue, un Misak vice governatore del consiglio comunale della riserva di Guambia, ha aggiunto che la coltivazione di monocolture di cannabis ha diviso il loro popolo, poiché alcuni coltivatori non rispettano la guida delle autorità ancestrali che proteggono la terra e la sovranità alimentare della comunità.

La divisione è già in atto, dato che alcune aziende gestite dai Misak si sono associate con la statunitense One World Pharma, in particolare la Farmacéutica Indígena Medicinal Wala Cannabis Zomac Colombia S.A.S e la Pharma Indígena Misak Masnar S.A.S. Media Co-op ha cercato di contattare le aziende ma non ha ottenuto risposte.

Tuttavia, le autorità ancestrali Misak sono chiare.

“Il popolo Misak non si piegherà all'introduzione di un regime corporativo nei nostri territori”, si legge in un comunicato stampa, “perché non venderemo la nostra forza lavoro, né diventeremo lavoratori di un'impresa straniera”.

Le multinazionali non sono le benvenute

Cauca è la seconda provincia colombiana con la più grande popolazione indigena, strategicamente situata nel sud-ovest, con una rotta verso l'Oceano Pacifico, una varietà di climi, terre fertili, fiumi, minerali e metalli.

Secondo il Colombian Drugs Observatory [13], Cauca è stata la provincia con più coltivazioni di papavero e la numero uno con la cannabis nel 2017. Quattordici dei 91 massacri del 2020 sono avvenuti lì, tra cui l'assassinio di 96 dei 300 leader sociali che vivono lì. Quest'anno c'è stato già un altro [14] [eng] massacro nella zona.

La posizione geografica della Colombia è ideale per gli investitori stranieri per il suo clima, la luce del sole, la posizione geostrategica per le esportazioni e il costo di produzione più basso (circa 0,50 dollari/grammo di fiori di cannabis rispetto ai 2,10 dollari/grammo del Canada). Costi di produzione più bassi significano una forza lavoro economica (sottopagata).

Questo spiega perché il numero di licenze concesse dal Ministero della Salute del Paese è così alto. Fino al 30 dicembre 2020 ne erano state concesse 632, oltre a quelle approvate dal Ministero della Giustizia e dell'Interno.

L'anno scorso, i media popolari hanno riferito [15] che la Pharma Indígena Misak Manasr S.A.S, gestita da un gruppo di Misak, aveva ottenuto la prima licenza per la coltivazione della cannabis e avrebbe lavorato con la società statunitense One World Pharma.

Ma nonostante questa sia stata promossa come “buona notizia”, le autorità ancestrali nazionali Misak Nu Nakchak-Fogón della Autoridad Mayor e Unidad del Pueblo Misak hanno espresso la loro opposizione.

In un comunicato stampa scritto in spagnolo, hanno ricordato il loro mandato dei congressi nazionali del 2017 e del 2019 che proibisce sia l'espansione delle piantagioni monocolturali che forme esterne di pressione economica percepite come una minaccia alla sovranità ancestrale.

Nel comunicato stampa, hanno dichiarato: “Abbiamo deciso che nessuno dei nostri territori nazionali Nu Nakchak permetterà la sperimentazione della terra collettiva con monocolture, sfruttamento minerario, e altri progetti che rompono l'equilibrio della nostra salute, cultura, spiritualità sul territorio Misak.”

Le autorità Misak hanno inoltre dichiarato che la produzione di cannabis alimenta le multinazionali, il che nuoce alla terra di cui i Misak hanno bisogno per le proprie necessità e manca di rispetto all'eredità degli antenati che hanno combattuto per essa.

Taita José Pillimue ritiene che il governo colombiano dovrebbe limitare l'ingresso delle società transnazionali, che influenzano l'economia politica ovunque vadano.

La presenza internazionale nei territori indigeni, ha sottolineato, ha un impatto negativo sulla loro cultura e stabilità economica.

Per questo motivo, ha aggiunto, la proliferazione delle multinazionali, che accumulano ricchezza per i Paesi industrializzati, non è semplicemente benvenuta.