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Famoso docente di Harvard messo alla gogna per aver diffuso teorie revisioniste sulle “donne di conforto”

Categorie: Asia orientale, Corea del Nord, Corea del Sud, Giappone, Citizen Media, Donne & Genere, Guerra & conflitti, Media & Giornalismi, Storia
Comfort women caught and interrogated by the US army in Myitkyina

“Comfort women (donne o ragazze di conforto) catturate dall'esercito statunitense, 14 agosto 1944, Myitkyina, Birmania”. Fonte: Wikimedia Commons [1], pubblico dominio.

Un celebre docente statunitense della facoltà di giurisprudenza di Harvard è stato accusato di revisionismo storico sia negli Stati Uniti che all'estero dopo la pubblicazone di uno studio in cui sostiene che le accuse delle donne coreane schiavizzate come “comfort women” (donne di conforto) durante la Seconda Guerra Mondiale siano storicamente false.

I detrattori del professor J. Mark Ramseyer [2] [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione], che occupa un ruolo di docenza presso il dipartimento di Studi giuridici giapponesi della facoltà di giurisprudenza sponsorizzato dalla Mitsubishi, sostengono che il paper ignori i metodi di ricerca comunemente accettati, gli studi preesistenti e le fonti primarie, e che sia pieno di inesattezze e errori interpretativi intenzionali.

Il paper di Ramseyer, intitolato “Contracting for sex in the Pacific War [3]” (“Contrattare sesso nella guerra del Pacifico”) sarà pubblicato nel numero di marzo 2021 della rivista accademica International Review of Law and Economics [4] (IRLE), ma è già accessibile online [3] al pubblico accademico.

Nel paper, Ramseyer definisce il sistema organizzato e metodico di riduzione in schiavitù sessuale di circa 200.000 donne [5], le cosiddette “donne di conforto” o ianfu (慰安婦), a opera delle forze dell'Impero giapponese durante la seconda guerra mondiale, come degli scambi economici legittimi e contrattualizzati fra partecipanti consenzienti.

Il paper di Ramseyer ripete una serie di luoghi comuni [6] spesso impiegati dai revisionisti che cercano di minimizzare o negare la schiavitù sessuale praticata dal Giappone durante la guerra. Le sue conclusioni contraddicono studi precedenti rigorosi e consolidati, tra cui un esaustivo rapporto delle Nazioni Unite del 1996 [7] sull'argomento.

Ramseyer ha riassunto i punti chiave del paper in un editoriale pubblicato nella seconda metà di gennaio su Japan Forward [8], un sito d'opinione in inglese per studenti di inglese (English as a Foreign Language o EFL) diretto dal Sankei Shimbun, un quotidiano giapponese di estrema destra [9].

Nel suo editoriale per Japan Forward, Ramseyer dichiara [10] che:

…the claims about enslaved Korean comfort women are historically untrue. The Japanese army did not dragoon Korean women to work in its brothels. It did not use Korean women as sex slaves. The claims to the contrary are simply ー factually ー false.

… le accuse riguardanti donne di conforto coreane ridotte in schiavitù sono storicamente false. L'esercito giapponese non costrinse le donne coreane a lavorare nei suoi bordelli. Non usò donne coreane come schiave sessuali. Le accuse che sostengono il contrario sono, semplicemente e fattualmente, false.

Nell'articolo d'opinione per Japan Forward, Ramseyer sostiene anche che le donne coreane (in realtà furono coscritte donne da più di dieci Paesi occupati [11] in Asia) avevano stretto un accordo contrattuale concordato con i gestori dei bordelli che garantiva i diritti di entrambe le parti.

In seguito alla pubblicazione dell'editoriale di Ramseyer su Japan Forward, l'attenzione è virata sulla versione online [3] del suo articolo per la IRLE, pubblicata nel dicembre 2020. Oltre a finire sulle prime pagine dei media coreani [12], l'articolo ha anche provocato biasimo [13] da parte di studenti e membri del corpo docente dell’Università di Harvard [14], dove Ramseyer lavora.

Il gruppo studentesco Korean Association of Harvard Law School ha pubblicato una dichiarazione [15] di risposta all'articolo di Ramseyer che riporta:

Without any convincing evidence, Professor Ramseyer argues that no government “forced women into prostitution,” a contention he also makes in his editorial. Decades’ worth of Korean scholarship, primary sources, and third-party reports challenge this characterization. None are mentioned, cited, or considered in his arguments.

Senza prove convincenti, il prof. Ramseyer sostiene che nessun governo abbia “costretto donne alla prostituzione”, una contestazione presente anche nel suo editoriale. Decenni di studi di ricercatori coreani, fonti primarie e rapporti di terze parti mettono in discussione questa sua caratterizzazione, ma nulla di tutto questo viene menzionato, citato o preso in considerazione nelle sue argomentazioni.

Ramseyer è stato pubblicamente criticato anche da suoi colleghi. In un thread [16] su Twitter, Jeannie Suk Gersen, studiosa di giurisprudenza [17], nonché prima donna asiatica e professoressa coreana a insegnare alla facoltà di legge di Harvard, ha scritto:

4: Non potrei essere più in disaccordo con il mio collega. Per ora posso dire che sono in disaccordo con la sua interpretazione delle fonti che ha usato, la sua scorretta analisi giuridica e, anche applicando i suoi stessi termini disciplinari, le falle nel suo ragionamento. Ne abbiamo parlato e sa che sono in disaccordo con lui.

In altri commenti pubblici, Gersen ha messo in discussione [19] l'interpretazione di Ramseyer della legislazione sui controtti, dichiarando [19]: “Nessun sistema legale riconoscerebbe un contratto di questa natura”, laddove le persone costrette a offrire servizi sessuali nel contesto dell'occupazione militare giapponese in tempo di guerra non erano libere professioniste che esercitavano autonomamente.

Nel paper su IRLE, ad esempio, Ramseyer sostiene [20] che una bambina di dieci anni abbia stipulato un contratto con piena consapevolezza di ciò che comportava il lavoro sessuale:

When Osaki turned ten, a recruiter stopped by and offered her 300 yen upfront if she would agree to go abroad. The recruiter did not try to trick her; even at age 10, she knew what the job entailed.

Quando Osaki compì dieci anni, un reclutatore passò a trovarla e le offrì 300 yen in anticipo se avesse acconsentito ad andare all'estero. Il reclutatore non tentò di ingannarla; anche a dieci anni, lei sapeva in cosa consistesse il lavoro.

La critica dell'interpretazione di Ramseyer della legge contrattuale è particolarmente notevole, dato che Ramseyer, in quanto docente Mitsubishi di Studi giuridici giapponesi alla facoltà di giurisprudenza di Harvard, è comunemente riconosciuto come un esperto [2] di legge ed economia giapponese. Nonostante i suoi legami di lunga data [21] con il Giappone, il curriculum vitae [22] di Ramseyer non suggerisce particolare esperienza nel campo della schiavitù sessuale in tempo di guerra o sull'Asia orientale.

Figlio di missionari cristiani, Ramseyer ha frequentato le scuole elementari nel Giappone rurale prima di rientrare negli Stati Uniti. Anche se in seguito ha frequentato e insegnato presso università giapponesi dopo aver completato una tesi magistrale [23] sui mercanti del Giappone moderno, il suo ambito di studi [22] è sempre stato la giurisprudenza, mai la storia del periodo di guerra giapponese o coreana.

In un'intervista a febbraio, Ramseyer ha anche ammesso [14] di non parlare né leggere il coreano, il che indica che non sia in grado di valutare o comprendere le testimonianze delle vittime coreane della schiavitù sessuale:

Asked why he did not cite any Korean sources in the paper, Ramseyer said he is “very upfront” about the fact that he does not read Korean.

Quando gli è stato chiesto perché non abbia citato fonti coreane nel paper, Ramseyer ha risposto di essere stato “molto sincero” sul fatto di non saper leggere il coreano.

Alcuni storici che si occupano del tema della schiavitù sessuale perpetrata durante la guerra dalle forze armate giapponesi hanno anche sottolineato come Ramseyer propugni da tempo il revisionismo storico. Nick Kapur, studioso di storia di Giappone e Asia Orientale nell'età moderna, ha osservato diversi casi [24] in passato in cui Ramseyer ha promosso tesi razziste o opinabili:

Ramseyer ha ora passato il limite, ma è un troll di destra del mondo accademico da decenni.

Ecco un articolo in cui sostiene che la minoranza giapponese discriminata dei burakumin [28] [it] a) è inesistente b) merita di essere discriminata, perché sono praticamente tutti criminali.

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Testo dell'immagine:

“In realtà la maggior parte dei burakumin discende non da conciatori, ma da contadini poveri con norme [sociali] particolarmente disfunzionali. Le altre persone potrebbero averli discriminati perché li considerava impuri oppure no, ma certamente avrebbero condannato e allontanato molti di loro per il loro coinvolgimento in crimini e le loro strutture familiari disintegrate […]”.

Un gruppo di cinque storici professionisti, tutti con conoscenze approfondite della schiavitù sessuale organizzata e della “questione delle donne di conforto”, ha pubblicato una lettera aperta [20] che tratta dell'integrità accademica del recente articolo di Ramseyer per IRLE.

mbc concerned scholars

I cinque storici [20] che hanno revisionato l'articolo di Ramseyer, in un'intervista con un'emittente televisiva coreana. Screenshot dal sito della MBC [29].

La lettera, di 33 pagine, è quattro volte più lunga dell'articolo di otto pagine scritto da Ramseyer e pubblicato su IRLE, ed esamina ogni aspetto dell'articolo di Ramseyer, con particolare attenzione all'uso delle fonti.

Gli storici, dichiarando che Ramseyer abbia travisato e distorto le fonti, mettono in dubbio l'integrità accademica fondamentale dell'articolo, e chiedono [20] alla IRLE di ritrattare e ritirare la pubblicazione:

Its inaccuracies are more than superficial errors; they completely undermine the article's claims. […] We believe that an article containing this level of academic misconduct should not have passed peer review, or have been published in an academic journal.

Queste inesattezze sono molto più che errori superficiali; inficiano completamente le tesi dell'articolo. […] Riteniamo che un articolo contenente un simile livello di negligenza accademica non avrebbe dovuto passare la fase di peer review, né essere pubblicato su una rivista accademica.

Miki Dezaki, un regista di documentari che ha esplorato [30] le contrapposte narrative storiche riguardo la questione delle “donne di conforto” nel suo film “Shusenjo [31],” ha sottolineato come Ramseyer abbia ricevuto una lettera si sostegno firmata finora da sei individui, tutti affiliati con un gruppo nazionalista di estrema destra [32] giapponese:

Questa lettera aperta in sostegno al paper di Ramseyer sulle donne di conforto è firmata da nientemeno 6 persone, che si definiscono storici ma di cui solo uno, Jason Morgan, è laureato in storia.

In un'intervista con Global Voices, Dezaki osserva anche che in un altro paper accademico [35] che scredita le dichiarazioni delle “donne di conforto”, Ramseyer cita un individuo chiamato “Texas Daddy [36]“, un pensionato americano con un canale YouTube [37] considerato un portavoce [38] dei nazionalisti giapponesi.

Dezaki sostiene che, come Texas Daddy e altri stranieri ‘venditori [39]‘ di revisionismo storico, Ramseyer ripete argomentazioni comuni:

There are three big Japanese right-wing talking points and Ramseyer has parroted them all. He claims the women were just well paid prostitutes, he claims that Asahi Shimbun’s retraction of a false testimony [40] proves that the comfort women issue is a lie, and he claims, most despicably, that the victims’ testimonies are inconsistent, which suggests that they are lying.

Ci sono tre argomentazioni principali della destra giapponese [sull'argomento delle donne di conforto] e Ramseyer le ripete tutte a pappagallo. Sostiene che le donne fossero solo prostitute pagate, che la ritrattazione da parte dello Asahi Shimbun di una falsa testimonianza [40] provi che la storia delle donne di conforto sia una bugia e, cosa ancora più spregevole, che le testimonianze delle vittime siano contradditorie, il che suggerisce che siano mentendo.

Per quanto riguarda le motivazioni di Ramseyer e gli altri, Dezaki suggerisce che:

It really boils down to fame, money and staying relevant. That isn’t to say that these people don’t believe in what they are writing or saying, but doing so in the public arena gets them praise, speaking engagements and book deals in Japan.

Alla fine si tratta di fama, denaro e del rimanere sulla cresta dell'onda. Questo non vuol dire che queste persone non credano in quello che scrivono o dicono, ma farlo in pubblico fa ottenere loro elogi, inviti a convegni e contratti editoriali in Giappone.

Un editore della casa editrice accademica dietro IRLE avrebbe affermato [41] che l'articolo è “considerato definitivo”, anche se IRLE ha allegato alla versione online del pezzo una expression of concern [42], una nota editoriale che avverte i lettori dei dubbi sollevati riguardo l'evidenza storica dell'articolo.

Inoltre la stampa del numero di marzo 2021, in cui l'articolo dovrebbe comparire, è stata temporaneamente sospesa [41] in modo che i commenti sul paper possano essere pubblicati sullo stesso numero.