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In America Latina si può raggiungere la salute mentale solo esercitando la memoria collettiva

Categorie: America Latina, Nicaragua, Censorship, Citizen Media, Libertà d'espressione, Politica, Salute, Storia

Per gentile concessione di: “AMA y No Olvida,” Museo della Memoria contro l'Impunità di Managua, Nicaragua

Il dibattito sulla salute mentale assume grande importanza in America Latina [1] [escome tutti i link successivi] per quanto riguarda l'intera storia di conflitti [2] sociopolitici, movimenti sociali criminalizzati e perseguitati, militarizzazione, guerre civili e così via. La maggior parte delle società latinoamericane – se non tutte – ha bisogno di partecipare all'esercizio della memoria collettiva, poiché può rappresentare un passo significativo verso la configurazione dell'identità collettiva ferita.

I conflitti sociopolitici causano gravi conseguenze all'interno delle società coinvolte [3], che non si fermano in un determinato momento della storia antica o contemporanea di un paese. Tutta la storia individuale, famigliare e collettiva di perdite trascende e lascia una ferita che molte volte non si riesce a guarire – e nella maggior parte dei casi, nemmeno curare -. Di conseguenza si stabilisce un'identità collettiva imposta dalla verità ufficiale che è sempre narrata dai “vincitori”.

Per lo psicologo e sociologo francese Maurice Halbwachs [4], tutto ciò che chiamiamo memoria possiede una componente sociale. Egli afferma che persino i nostri ricordi più personali “si relazionano con tutta la vita materiale e morale delle società di cui abbiamo fatto parte”. Secondo la premessa della sua opera, tutti i conflitti che hanno avuto una ripercussione sui nostri paesi sono parte della nostra memoria e influenzano la nostra identità collettiva.

In situazioni in cui predominano la repressione, il lutto e l'imposizione dell'auto-censura, una delle tecniche più utilizzate sia nel caso della vittima sia del carnefice è il silenzio. Alle persone viene imposto il silenzio in merito al dissenso, alla protesta, all'opinione e, in base a ciò, il carnefice costruisce la sua versione ufficiale su come sono avvenuti i fatti senza prendere in considerazione i racconti delle vittime.

D'altra parte, dal punto di vista del potere, accade che le persone che condividono questi racconti li riproducano o ne producano di nuovi colpevolizzando le vittime delle loro sofferenze, e così facendo rivittimizzano le persone senza neanche ascoltare o leggere la loro versione dei fatti.

Ciò poco alla volta influisce sul tessuto sociale polarizzando la società, oltre a emarginare e perfino criminalizzare le vittime, come è avvenuto in Nicaragua, dove lo stato ha criminalizzato alcuni manifestanti [5] per screditare la loro protesta. Questo si tramuta ulteriormente in trauma, sfiducia e dolore persistente, come possiamo osservare in Guatemala, con le famiglie e le vittime che hanno sofferto a causa del genocidio [6].

Dare un significato autentico alle nostre storie

Quando parlo della necessità di esercitare la memoria collettiva non mi riferisco alla raccolta di informazioni, discorsi, e perfino canzoni, ma alla consuetudine di fornire una risignificazione a tutta questa informazione così da poterla incorporare gradualmente nella nostra quotidianità e apportare un nuovo significato a un avvenimento, anche se non vi abbiamo partecipato direttamente.

Ne sono un esempio le colonie: i gruppi indigeni e di origine africana a partire dalla loro identità e ancoraggio storico, contrastano il racconto ufficiale delle colonie e offrono una prospettiva differente, che modifica nel presente un avvenimento noto del passato, come spiega [7] l'antropologa nicaraguegna Maria José Díaz.

La risignificazione di un avvenimento storico, la narrazione della verità e del dissenso verso la “menzogna ufficiale” che costruisce lo stato in maniera egemonica, secondo la storica e ricercatrice [8] nicaraguegna Margarita Vannini, apporta un senso di dignità alle persone vittime di avvenimenti traumatici, poiché il danno sofferto non viene reso privato durante questi avvenimenti e vi è la possibilità del riconoscimento sociale dei fatti, pertanto è un primo passo verso il miglioramento della salute mentale.

Inoltre dobbiamo smettere di etichettare le vittime soltanto come tali, poiché sono persone che hanno subito violazioni dei diritti umani, hanno dovuto tacere e andare avanti, come se nulla fosse accaduto. Quindi, anche sminuire una persona quando ci riferiamo ad essa solamente come vittima è una forma di rivittimizzazione.

Non si tratta di puntare al perdono come a una forma di compromesso o di riconciliazione. La ricerca della verità non deve essere negoziabile e non si può perdonare quando i colpevoli non si assumono nemmeno la responsabilità delle loro azioni o della loro partecipazione alla violazione dei diritti umani.

Politiche di cancellazione e strumentalizzazione della memoria

È evidente che nel momento in cui un cospicuo gruppo di persone prova ad adottare delle strategie per iniziare a esercitare la memoria collettiva, i gruppi di potere tentano di mettere a tacere questi racconti perché il loro obiettivo è quello di lasciarli cadere nel dimenticatoio e rendere la propria versione unica e indelebile.

Questo lo possiamo osservare in Nicaragua, dove lo stato nicaraguegno sostiene che le proteste del 2018 sono state un tentativo di golpe di stato [9]. Menziono nuovamente la professoressa Vannini [8], la quale postula che non si riesce in nessun modo a far dimenticare quanto è accaduto, perciò si possono solamente attuare politiche pubbliche di cancellazione che tentino di consolidare i racconti dei vincitori, annullando le vittime, i danni e tutte le conseguenze di questi avvenimenti. Un chiaro esempio di politica di cancellazione è il caso di una rotonda nella capitale del Nicaragua, dove lo stato ha rimosso le croci che hanno collocato [10] nel sito per onorare la memoria dei giovani assassinati.

C'è anche l'altra faccia della medaglia, la riproduzione e distribuzione morbosa di una versione della “memoria” che è utilizzata sia dal potere attuale sia dai candidati al potere, strumentalizzando le vittime, sopravvissuti o meno, i loro racconti e i loro traumi, per raggiungere l'obiettivo propagandistico di mostrarsi come “rappresentanti” degni di rispetto per la loro coscienza sociale. Ciò non fa altro che amplificare questo gap di rivittimizzazione.

Esercizi di memoria collettiva per la salute mentale

La nostra storia individuale e collettiva non si trova in un punto preciso nel tempo e nello spazio, ma è un processo dinamico che si può risignificare e interpretare in altri modi. Ricordare per attribuire un riconoscimento sociale a questi avvenimenti deve diventare una consuetudine da includere nella nostra vita quotidiana per conferire dignità alla nostra identità violata e lottare contro una menzogna imposta. Come esempi possiamo citare la “Giornata della Resistenza Indigena” [11], il 12 ottobre, la “Rete dei Luoghi della Memoria in America Latina e nei Caraibi” [12], o esercizi più recenti, come quello promosso dall’Associazione delle Madri di Aprile [13] in Nicaragua.

Le società latinoamericane possiedono una cronologia di avvenimenti che hanno portato perdite e sofferenze – molte delle quali prolungate o irreversibili – , e che sono state gestite tramite l'imposizione del silenzio. Pertanto, non possiamo descrivere la nostra salute mentale senza evocare la nostra storia individuale ed essa non può essere concepita se non rientra nella storia collettiva delle società in cui viviamo.