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Le vittime delle sterilizzazioni forzate in Perù continuano a chiedere giustizia

Categorie: America Latina, Perù, Citizen Media, Diritti umani, Donne & Genere, Indigeni, The Bridge

Foto di Rosa Villafuerte [1] per la campagna Somos 2074 y Muchas Más [2] di Demus durante una manifestazione per la giustizia contro le sterilizzazioni forzate, organizzata il 17 settembre 2020 a Lima, Perù, utilizzata previa autorizzazione.

In Perù, durante il governo di Alberto Fujimori, 244.234 donne e 20.693 uomini  [3][es, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] sono stati sterilizzati in modo irreversibile come parte integrante delle politiche nazionali [4] di pianificazione familiare (1996-1999). Tali procedimenti chirurgici forzati sono stati condannati in qualità di pratiche illegittime, soprattutto nel caso delle popolazioni indigene [5] delle zone rurali. A oggi, 1321 donne continuano il procedimento giudiziario per ottenere giustizia contro una politica che da almeno due decenni ha reso i loro diritti vulnerabili.

Il 17 settembre le vittime, organizzate in gruppi di attivisti, si sono riunite [6] per ricamare i propri nomi sulla bandiera peruviana. Vestite di rosso e bianco hanno camminato fino al mare per manifestare di fronte alla spiaggia, come misura di prevenzione dal contagio della COVID-19, condannando senza sosta il modo in cui la giustizia peruviana in giacca e cravatta abbia loro voltato le spalle. Le donne andine hanno attraversato più di mille chilometri partendo dalle montagne per cercare giustizia nella capitale. E nonostante la frustrazione, non si arrendono, continuano a lottare per ottenere giustizia per loro stesse e per le altre migliaia di donne violentate.

Il caso è stato aperto nel sistema di giustizia nazionale del Perù 18 anni fa e manca ancora una sentenza. Di fronte a questa situazione, cinque vittime [7] hanno fatto appello alla giustizia internazionale e la loro denuncia nei confronti dello Stato peruviano è stata accolta dal Comitato delle Nazioni Unite per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW) verso fine settembre 2020. Ora il Perù è stato denunciato  [8][en] a livello internazionale a seguito di queste pratiche che hanno violato il corpo delle donne indigene nel quadro dell'attuazione di politiche pubbliche che non rispettano i diritti umani.

Foto di Rosa Villafuerte [1] per la campagna Somos 2074 y Muchas Más [2] di Demus durante una manifestazione per la giustizia contro le sterilizzazioni forzate, organizzata il 17 settembre 2020 a Lima, Perù, utilizzata previa autorizzazione.

La mancanza di giustizia nel proprio Paese vittimizza ulteriormente le donne e contribuisce alla concessione dell'impunità di fronte a violazioni dei diritti umani. Il presente caso relativo alle sterilizzazioni forzate ne rappresenta un chiaro esempio e mette in discussione la transizione verso la democrazia e i progressi nella giustizia transizionale. Inoltre, è inaccettabile il fatto che agli atti commessi segua la dilatazione dei processi di giustizia, senza rispettare gli accordi internazionali [9] sottoscritti dallo stesso Perù. Di conseguenza, in un Paese come il Perù in cui non è garantito il rispetto incondizionato dei diritti umani, in cui la tortura inflitta dallo Stato [10] e il femminicidio [11] rappresentano problemi urgenti e in cui la protesta sociale viene criminalizzata [12], le vittime non hanno molti modi per chiedere giustizia nel sistema nazionale.

Per ottenere giustizia bisogna fare i conti con un sistema legale e giuridico estremamente debole che espone le vittime ai maltrattamenti e all'indifferenza da parte delle autorità. Da un lato, il caso delle sterilizzazioni forzate è stato presentato [13] a diverse istanze nazionali, per essere poi archiviato in svariate occasioni per più di dieci anni.  Il caso aperto a livello nazionale è la denuncia penale che il pubblico ministero Luis Landa [14] ha presentato contro Fujimori e gli ex ministri della salute in quanto responsabili dell'attuazione di tali politiche, caso che si sta continuando a rimandare senza alcun motivo. Dall'altro lato, il governo ha lasciato senza fondi il proprio programma di Registro delle vittime delle sterilizzazioni forzate (REVIESPO, [15] dallo spagnolo Registro de Víctimas de Esterilizaciones Forzadas) dopo aver ricevuto 6526 richieste [16] nel corso di due anni.

Foto di Rosa Villafuerte [1] per la campagna Somos 2074 y Muchas Más [2] di Demus durante una manifestazione per la giustizia contro le sterilizzazioni forzate, organizzata il 17 settembre 2020 a Lima, Perù, utilizzata previa autorizzazione.

Purtroppo, questo caso riflette la tendenza del sistema giuridico peruviano a sottrarsi alla giustizia, a ritardare volontariamente la risoluzione dei casi, come anche a realizzare cambi di direzione improvvisi in sentenze già emesse. Ne sono un esempio famoso i tentativi di Fujimori per ingannare la giustizia dopo essere stato condannato a 25 anni di carcere per crimini di lesa umanità [17], ricevendo successivamente il perdono politico [18], poi abrogato. In seguito il politico è stato riportato in prigione. [18]

Di conseguenza, una delle sfide improrogabili in materia di difesa e protezione delle vittime di questo tipo di violazioni dei diritti umani consiste, in primo luogo, nel riconoscere l'ulteriore vittimizzazione posta alla base dei procedimenti giudiziari in materia di violenza sessuale, carattere che porta chi segnala la violazione a sottoporsi a test fisici e psicologici continui che rievocano l'esperienza traumatica.

Quando le vittime raccontano le loro esperienze di sofferenza, vengono loro chieste delle informazioni di cui precedentemente non disponevano, come per esempio i nomi completi delle autorità sanitarie del momento. Se raccontano di avere paura di ricevere minacce, vengono interrogate in merito all'uso della forza fisica utilizzata per condurle in una clinica. Di conseguenza, dopo aver sperimentato sulla propria pelle l'essere vulnerabili o aver visto cambiare i propri progetti di vita a seguito di interventi chirurgici irreversibili, le vittime sono lasciate ancora una volta nell'indifferenza e nella marginalizzazione. Di fronte a tutto ciò, diventa indispensabile seguire un procedimento giudiziario che possa rispettare i diritti delle vittime, l'attuazione di protocolli che includano misure coerenti con l'approccio di genere e interculturalità, come anche l'inclusione di un metodo psicosociale adatto a tali procedimenti giudiziari.

In secondo luogo, bisogna riconoscere che l'assenza di giustizia produce conseguenze psicologiche aggiuntive nelle vittime, così come è stato riscontrato in altri casi di procedimenti giudiziari in materia di violazione dei diritti umani [19] [en]. Questi atti contribuiscono a debilitare e condannare le vittime, danneggiando la loro integrazione nella società. Ciò si oppone ad altre soluzioni possibili, come per esempio esperienze vincolate alla partecipazione attiva delle vittime nella realizzazione di proteste per richiedere riparazione e sorveglianza nelle sentenze internazionali, come nei casi di Sepur Zarco in Guatemala [20] o Rosendo Cantú e Fernández Ortega in Messico [21], i quali stanno progettando un modo per riconoscere il ruolo attivo e dimostrare le capacità delle stesse vittime, consentendo il coinvolgimento dell'identità collettiva e impedendo che la lotta per la giustizia si trasformi in un nuovo mezzo per condannare ed escludere socialmente le vittime.

Foto di Rosa Villafuerte [1] per la campagna Somos 2074 y Muchas Más [2] di Demus durante una manifestazione per la giustizia contro le sterilizzazioni forzate, organizzata il 17 settembre 2020 a Lima, Perù, utilizzata previa autorizzazione.

Dal Perù, Rute Zúñiga, la leader della città di Cusco a capo dell'Associazione delle donne peruviane che hanno subito sterilizzazioni forzate (AMPAEF, dallo spagnolo Asociación de Mujeres Peruanas Afectadas por las Esterilizaciones Forzadas), richiede che il prossimo passo sia l'inclusione [22] delle donne colpite nella pianificazione delle politiche di riparazione, il che rappresenta un desiderio ancora non attuato.

Le sterilizzazioni forzate in Perù e l'amministrazione del procedimento giudiziario degli ultimi vent'anni rendono lo Stato peruviano doppiamente colpevole di violazione dei diritti umani: da un lato la violazione del corpo e della vita delle donne che hanno subito interventi chirurgici contro la propria volontà, dall'altro la mancanza di giustizia per le sue concittadine. Le vittime, organizzate collettivamente nonostante gli ostacoli, protestano e resistono, mentre lottano per assicurarsi che non ci saranno ulteriori violenze.

Foto di Rosa Villafuerte [1] per la campagna Somos 2074 y Muchas Más [2] di Demus durante una manifestazione per chiedere giustizia contro le sterilizzazioni forzate, organizzata il 17 settembre 2020 a Lima, Perù, utilizzata previa autorizzazione.