Ogni giorno milioni di ugandesi si collegano ai social media per leggere le ultime notizie, chiacchierare con gli amici ed esprimere la propria opinione.
Ma, da maggio 2018, il governo dell'Uganda ha introdotto delle controverse tasse sui social media e sui servizi di trasferimento di denaro tramite telefono per aumentare le proprie entrate e “mettere un freno al gossip” e ciò ha reso molto meno accessibile ed economico internet.
Un anno e mezzo dopo l'istituzione di queste tasse il numero di utenti internet è diminuito di almeno 30% [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], ovvero di circa 3 milioni di utenti, secondo l'emittente tedesca Deutsche Welle.
Da luglio 2018, mese in cui la legge è entrata in vigore, gli ugandesi devono pagare 5 centesimi di dollari al giorno per accedere a internet e a 50 servizi Over-The-Top (OTT), ovvero dei servizi streaming su internet.
Tali tasse si applicano alle piattaforme social e alle applicazioni come WhatsApp, Facebook, Twitter, Skype e Viber. Visto che queste piattaforme sono la principale fonte di diffusione di notizie, i giornalisti hanno notato un calo non indifferente nel livello di coinvolgimento dei lettori.
Poiché un terzo degli ugandesi vive al di sotto della soglia di povertà, sopravvivendo con 1.90 dollari al giorno, questa nuova tassa ha fatto sì che molti non usassero più internet e i social media, così da poter soddisfare altri bisogni primari.
I gruppi poveri e marginalizzati continuano a essere i più colpiti.
Secondo l'Internet Health Report 2019, questa tassa ha precluso ai poveri l'accesso a internet e ne ha limitato l'uso assieme ad aver ostacolato la libertà di opinione, l'accesso all'informazione e a servizi e beni online:
With the average Ugandan already spending 15 percent of their monthly income for 1 [gigabyte] of broadband data, the new tax puts popular Internet services out of reach for most people.
Un abitante medio dell'Uganda spende il 15% del proprio reddito mensile per 1 giga di dati internet, la nuova tassa rende inaccessibili alla maggior parte delle persone i servizi internet più popolari.
Altri, tuttavia, hanno iniziato a usare delle reti virtuali private (VPN) per non pagare la tassa. Secondo l'Agenzia delle Entrate dell'Uganda, un anno dopo la sua messa in vigore la tassa ha fruttato solo 49.5 miliardi di scellini ugandesi (13.434.225 dollari), ovvero solo circa il 17% delle entrate che ci si aspettava, a causa dell'aumento dell'uso delle VPN.
Il governo aveva già annunciato che tutte le VPN sarebbero state bloccate. Secondo quanto riportato dal Daily Monitor, a luglio 2018 il direttore generale della Commissione per le Comunicazioni dell'Uganda (UCC), Godfrey Mutabazi, ha detto che il governo era in possesso dei “software necessari” per bloccare i servizi VPN, ma le autorità ugandesi non hanno ancora fatto nulla a riguardo.
In quello stesso mese Mutabazi ha tentato di scoraggiare l'uso delle VPN scrivendo in un post su Facebook nella pagina del governo della Repubblica d'Uganda che la VPN “sarebbe costata di più del costo della banda larga e della tassa sui social media”. Mutabazi ha spiegato che il criptaggio della VPN utilizza “un po’ più di banda larga” e che le connessioni di molti utenti hanno dei limiti e delle quote da pagare nel caso in cui si superino tali limiti.
L'utente di Twitter Onyango-Obbo ha detto che la tassa OTT per i giovani è una tassa alla cultura. A causa della tassa, Onyango-Obbo ha notato molte meno foto sui social media per il #NyegeNyegeFestival del 2018, anche se la partecipazione è stata maggiore rispetto al 2017.
Una tassa sul dissenso?
Il Ministero dell'Economia dell'Uganda ha detto che l'obiettivo della tassa è ottenere delle entrate, ma il presidente Yoweri Museveni ha sostenuto anche che la tassa serve a regolare il “gossip’’. Gli attivisti lo hanno attaccato considerandolo un tentativo di limitare la libertà d'espressione e reprimere il dissenso.
I funzionari del governo hanno continuato a negare ogni intenzione di voler silenziare l'opposizione attraverso la tassa sui social media.
Jimmy Haguma, che indaga sui crimini informatici presso l'UCC, ha spiegato in un'intervista su Global Voices che “le tasse sui social media sono state discusse in parlamento nei minimi dettagli. Ogni governo, quando impone delle tasse, ha come priorità ottenere delle entrate, perché il governo ha capito che molte persone facevano affari e soldi sui social network, comunicavano su internet e non venivano tassate”.
Secondo Haguma, il governo ha introdotto la tassa sui social network per creare più consapevolezza e responsabilità: se le persone pagano una tassa sui social media, è molto meno probabile che li usino per perdere tempo e che comunichino in modo più responsabile.
Tuttavia, Haguma ha accennato ad altri motivi dietro alla tassa:
Sometimes, the government has [its] own intentions because the president can sometimes be his own ‘chairman.’ Government employees are bound to codes of ethics such as the Official Secret Act, Non- Disclosure Act and you may not easily get other reasons directly — unless it is a court case. It is an internal process.
A volte il governo ha le [sue] intenzioni perché il presidente può a volte esserne il “capo”. I funzionari del governo devono seguire codici etici come ad esempio il segreto d'ufficio e la politica della non divulgazione e non si comprendono facilmente altre motivazioni, a meno che non ci sia un processo in tribunale. È un processo interno.
Estendere internet oltre Kampala è una delle ragioni che il governo ha fornito per spiegare la tassa. Secondo quanto riportato dal giornale The East African, David Bahati, il Ministro dell'Economia in Uganda, ha detto: “il governo ha bisogno di più di 200 miliardi di scellini ugandesi (536.3 milioni di dollari) per ampliare l'accesso a internet e raggiungere le aree rurali. Visto che il governo aveva già preso soldi in prestito per investire su di un accesso a internet a basso costo, è giunto il momento che gli ugandesi contribuiscano con questa tassa”.
L'11 luglio 2018, a una marcia di protesta contro la tassa a Kampala, organizzata dal musicista e leader del partito d'opposizione People Power Robert Kyagulanyi (noto col nome di Bobi Wine), la polizia ha sparato e lanciato gas lacrimogeni per disperdere la protesta, ritenuta illegale. I manifestati sostenevano che la tassa violasse i diritti di libertà d'espressione e d'informazione degli ugandesi.
Secondo l’inchiesta “Come le tasse sui social media possono opprimere i siti d'informazione: il caso dell'Uganda”, il tempismo di questi eventi suggerisce che “la tassa sui social media è intesa a reprimere l'opposizione”. Juliet Nankufa, autrice dell'inchiesta, cita l'esempio di Bosmic Otim, un musicista che è stato cesurato quando, a giugno 2018, degli agenti di sicurezza a Kitgum, nel nord dell'Uganda, hanno vietato una canzone che accusava i funzionari del governo d'inganno e di incitare violenza. Secondo Human Rights Watch, la canzone “criticava quattro parlamentari in quanto, secondo quanto riportato, erano dei leccapiedi del governo e non si occupavano dei problemi dei cittadini del nord dell'Uganda.”
L'inchiesta di Nakufa si riferisce anche alle esperienze di Bobi Wine, a cui, durante il 2018, è stata negata l'opportunità di esibirsi e di incontrare gli elettori e che ha spesso usato Facebook per raccontare le sue esperienze. La tassa sui social media è stata messa in vigore proprio quando il leader dell'opposizione è stato preso di mira.
Il caso di Bobi Wine
L'11 luglio 2018 il parlamentare Bobi Wine è sceso per le strade di Kampala per protestare contro la nuova tassa sui social media insieme ai suoi sostenitori e a cittadini e attivisti preoccupati.
Secondo New Vision, il maggior sito di notizie in Uganda, quello stesso giorno la polizia ha convocato Bobi Wine e altre persone per “aver disobbedito alle misure della Legge sull'Ordine Pubblico (POMA) 2013 Sezioni 5 e 10″. Tra gli accusati c'erano l'uomo d'affari e fratello di Bobi Wine Fred Nyanzi Ssentamu, il barbiere e assistente Edward Sebufu alias Eddie Mutwe, il dj David Lule e lo studente Julius Katongole.
Wine è stato accusato di “aver organizzato un incontro pubblico senza aver avvisato un agente autorizzato”, “aver organizzato un incontro pubblico senza aderire ai criteri richiesti” e di “aver rifiutato di cooperare con la polizia” secondo le sezioni 5(1) e 10(2) della legge POMA e convocato tramite una lettera firmata da Joshua Tusingwire, l'agente a capo delle investigazioni criminali presso la polizia centrale di Kampala. La lettera, indirizzata al presidente del parlamento Rebecca Kadaga, presentava accuse preliminari di “assalto, assemblea illegale e furto di manette”.
Il 29 aprile 2019 Bobi Wine è stato di nuovo arrestato, dopo essere stato convocato dalla comitato direttivo di investigazioni criminali per indagare sul suo ruolo nelle proteste contro la tassa sui social media.
Wine è stato rilasciato il 2 maggio, ma sta continuando a combattere queste accuse in tribunale.
Il 28 ottobre Bobi Wine si è presentato al tribunale di Buganda Road, ma la sua udienza è fallita per la seconda volta in due mesi ed è stata rinviata al 12 dicembre. Il giudice, Esther Nahilya, gli ha detto che il suo caso non aveva testimoni sufficienti.
The Daily Monitor ha riportato che, poco dopo l’udienza, Kyagulanyi ha detto ai reporter che “le accuse contro di loro sono eccessive perché lo stato ha mosso tali accuse per allontanarli dalla loro agenda politica e non permettere loro di sfidare il presidente, Yoweri Museveni, nelle elezioni del 2021″.
Il presidente Yoweri Museveni è al governo dal 1986. Nel 2017 il parlamento ha emanato una legge, che è stata poi messa in atto da Museveni, per rimuovere il limite d'età di 75 anni per candidarsi come presidente, così da permette al settantaquattrenne di candidarsi di nuovo nel 2021.
Bobi Wine ha annunciato di volersi candidare come presidente, promettendo di sfidare Museveni “a nome del popolo”. Tuttavia, se fosse condannato, sarebbe squalificato.
Leggi anche: L'Uganda bloccherà internet mentre l'opposizione si prepara alle elezioni del 2021? [it]
Il dilemma dei social media in Uganda
Alcuni ugandesi sono ancora in grado di accedere a servizi OTT incluse le piattaforme social e le applicazioni di messagistica senza pagare la tassa grazie all'uso delle VPN. Haguma, assieme all'UCC, ha riconosciuto che questo uso è difficile da misurare o tracciare perché gli utenti sembrano comunicare da paesi al di fuori dell'Uganda.
Per quanto riguarda lo studio dell'UCC, che mostra un calo del 12% del numero di utenti internet nei tre mesi dopo l'introduzione della tassa, Haguma sostiene che questo calo è avvenuto a causa della messa in atto celere della tassa e che lo studio si basi su chi paga la tassa sui social media e non sugli utenti delle VPN.
Molti ugandesi sono ancora disposti a pagare per navigare online, a costo di intaccare il loro portafogli.
Eppure, basandosi sulle proteste di massa che hanno condannato la tassa sui social media nello scorso anno e sulle testimonianze della volontà del governo di reprimere il dissenso e l'opposizione, sembra che l'Uganda stia affrontando un dilemma per quanto riguarda i social media.
Mentre l'opposizione aumenta sempre di più e sempre più persone trovano un modo per evitare gli ostacoli posti dalla tassa, i social media svolgeranno un ruolo critico nella prima lotta per la libertà d'espressione in Uganda.
Questo articolo fa parte di una serie di post [it] che esaminano l'interferenza sui diritti digitali attraverso metodi quali la chiusura dei network e la disinformazione durante degli eventi politici chiave in sette paesi africani: Algeria, Etiopia, Mozambico, Nigeria, Tunisia, Uganda e Zimbabwe. Il progetto è finanziato dall’ Africa Digital Rights Fund di Collaboration on International ICT Policy for East and Southern Africa (CIPESA).