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Gli sfratti aggressivi dei palestinesi ad opera dei coloni israeliani sono parte di scontri decennali

Categorie: Medio Oriente & Nord Africa, Israele, Palestina, Citizen Media, Diritti umani, Guerra & conflitti, Politica, Protesta

Immagini prese dal video Instagram di Mona ElKurd, residente di Sheikh Jarrah, che mostra il suo incontro con un colono israeliano che le dice: “Se non rubo io la tua casa, lo farà qualcun altro”. Dopo la diffusione del video, ElKurd è diventata un'icona della lotta tra palestinesi residenti nel quartiere di Gerusalemme e i coloni israeliani autorizzati dalla legge a sfrattarli dalle loro case.

“Se non rubo io la tua casa, lo farà qualcun altro.”

Così un colono israeliano di nome “Yakob” ha risposto alla giornalista gerosolimitana Muna ElKurd [1] [ar, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] alla sua richiesta di uscire dal giardino della sua casa nel quartiere di Gerusalemme Sheikh Jarrah.

Il video della discussione che Kurd ha pubblicato sulla sua pagina Instagram [2] è stato condiviso da molte pagine di giornali e siti, diventando virale e trasformandosi nel simbolo dell'oppressione che la sua famiglia, e l'intero quartiere, sta subendo [en]:

L'apartheid in corso a Gerusalemme.

“Anche se vengo cacciato da questa casa, non ti verrà restituita.”

Da quando ElKurd ha pubblicato il suo video, le tensioni nei territori palestinesi  occupati si sono intensificate raggiungendo livelli mai visti negli ultimi anni. L'enclave bloccata di Gaza è stata bombardata da attacchi aerei israeliani nel giorno che segnava la fine del Ramadan, il mese sacro del digiuno per i mussulmani. Si sono registrate finora 122 vittime [5] [en] tra i palestinesi, tra cui 31 bambini, ma il numero è destinato a salire.

Otto israeliani sono morti quando Hamas, che governa Gaza, ha lanciato centinaia di razzi sui territori occupati da Israele, in risposta alla provocazione precedente. Nel frattempo, centinaia di gerosolimitani sono stati feriti dalle forze di occupazione che hanno accerchiato con violenza i manifestanti e i fedeli nelle settimane precedenti.

Le tensioni a Gerusalemme sono coincise con l'inizio del Ramadan il 13 maggio. Forze di occupazione israeliane hanno innalzato barricate per bloccare ai gerosolimitani l'accesso all'area di Bab Al-Amud, impedendo loro di praticare il tradizionale rituale di incontri informali [6] in quella parte della Città Vecchia. Questo ha acceso delle proteste, chiamate “la rivolta di Bab Al Amud” [7], che hanno distrutto le barricate [8] e gli ostacoli eretti dalle forze di occupazione.

A questo è seguito l'assalto delle forze di Israele alla moschea Al-Aqsa nella Citta Vecchia di Gerusalemme, uno dei luoghi più sacri dell'Islam, con gas lacrimogeni e granate stordenti, causando moltissimi feriti. L'irruzione alla moschea di Al-Aqsa è coincisa con l'occupazione da parte di coloni israeliani delle case palestinesi nel quartiere Sheikh Jarrah a Gerusalemme, citando il verdetto della corte israeliana.

Sheikh Jarrah: un battaglia lunga decenni

La battaglia sul Sheikh Jarrah risale al 1948, quando rappresentati dell'allora nascente stato di Israele provarono a prendere d'assalto il quartiere, sfrattare i residenti e distruggere le loro case. Furono fermati [9] [en] dalle forze inglesi che, al tempo, proteggevano la città di Gerusalemme. Anni dopo, nella guerra dei sei giorni, conosciuta anche come la guerra del giugno 1967, le forze israeliane occuparono la Cisgiordania inclusa Gerusalemme e i suoi dintorni.

Da allora, tutti i governi israeliani hanno cercato di cacciare la popolazione palestinese dalla città di Gerusalemme per cambiare la demografia [10] [en] in una a maggioranza Ebrea, in linea con l'obiettivo di far diventare la città la capitale di Israele e convincere i paesi a spostare lì le loro ambasciate [11]. Tutto ciò, nonostante la Palestina, supportata dalle Nazioni Unite, reclama una parte della città come sua capitale.

Scritta “Non ce ne andremo” sul muro di una casa di una famiglia palestinese a rischio di sfratto dai coloni israeliani. Foto di Osama Eid. Licensa Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported.

Il quartire di Sheikh Jarrah, situato nella parte nord della Citta Vecchia di Gerusalemme, contiene una delle principali arterie stradali che collegano la popolazione ebrea della città all'Università Ebraica. Prendere controllo del quartiere porterebbe l'intera area orientale di Gerusalemme sotto l'autorità di Israele.

L'espulsione dei palestinesi risale al periodo tra il 1948 e il 1967, quando Gerusalemme era sotto il controllo giordano. Nel 1956 le autorità giordane, in collaborazione con l'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA [12] [en]), hanno costruito abitazioni [13] per 28 famiglie rifugiate a Sheikh Jarrah. Il ministro giordano per la costruzione e lo sviluppo ha messo a disposizione il terreno, con la condizione che la costruzione avvenisse attraverso la UNRWA, e che la proprietà delle abitazioni fosse trasferita ai residenti 3 anni dopo il completamento. Questo non accaddde però fino al 1967, quando la Giordania perse il controllo della Cisgiordania.

Pochi giorni ci dividono dalla decisione del tribunale di occupazione di evacuare il quartire Sheikh Jarrah #الشيخ_جراح [14] o di rimandare il tutto. Più di 500 palestinesi appartenenti a 28 famiglie stanno rivivendo il fantasma di una nuova catastrofe e di uno sfratto forzato. Alziamo la nostra voce in supporto al nostra gente nel quartire di Gerusalemme.   #انقذوا_حي_الشيخ_جراح [15]  (Salviamo il quartiere Sheikh Jarrah)

Con Gerusalemme sotto il controllo di Israele, le organizzazioni dei coloni israeliani hanno iniziato ad occupare le case dei residenti assenti anche solo temporaneamente. La famiglia Shatti, per esempio, ha perso la loro casa mentre, nel 1967, erano via per visitare il Kuwait.

Nel 1972, due società israeliane che comprendevano ebrei aschenaziti e sefarditi reclamarono al dipartimento del territorio la proprietà dell'area di Karm Al-Jaouni a Sheikh Jarrah. La rivendicazione si basava su un documento d'acquisto datato presumibilmente al periodo Ottomano. La proprietà della terra [18] fu ceduta alle due società.

Tra il 1974 e il 1975, le due società iniziarono una causa per sfrattare quattro famiglie dalle loro case. La corte di Israele respinse la causa perchè i residenti erano inquilini protetti dalla legge.

La causa fu riproposta nel 1982 ma questa volta contro 23 famiglie, 17 delle quali rappresentate da un avvocato israeliano, Tosya Cohen [19] [en]. Nel 1991 Cohen sorprese i suoi clienti concludendo un accordo [20] con le due società e riconoscendo loro la proprietà della terra. Questo riconoscimento creò un precedente legale che aprì la strada alle due società per sfrattare famiglie palestinesi come gli Hanoun e i Ghawi.

Inizialmente la corte decise di far pagare alle due famiglie l'affitto ai querelanti, ma nonostante l'adempimento del pagamento,  furono sfrattate nel 2002. Nel 2003, le due società vendettero la loro parte di terra ad un compagnia di investimenti. Il cambio di proprietà permise alle famiglie Hanoun e Ghawi di far ricorso e gli consentì di far ritorno nelle loro abitazioni finchè il caso non fosse chiuso.

La famiglia di Mona ElKurd è stata bersaglio di un'azione legale sin dai primi anni '90. Dopo numerose sentenze, l'ultima delle quali nel 2009, i coloni israeliani hanno ottenuto il diritto di appropiarsi della casa di ElKurd. Da allora, la famiglia ha diviso la casa con i coloni, i quali hanno lasciato agli ElKurd solo 50 m² per vivere.

Recentemente, nell'ottobre del 2020, le famiglie ElKurd, Al-Qasim, Al-Jauni e Al-Skafi hanno ricevuto una notifica di sfratto dal magistrato della corte israeliana. A settembre, altre tre famiglie, Hammad, Dajani e Al-Dawoudi, hanno ricevuto simili notifiche, portando a 55 le persone minacciate di sfratto. Queste decisioni sono state sospese fino a febbraio del 2021, quando un ordine di sfratto è stato emanato giovedì 6 maggio 2021 [21], portando alla situazione odierna.

I residenti di Sheikh Jarrah ‘Non respiriamo’

Con l'aumentare delle tensioni, i palestinesi hanno usato i social media per parlare dell'oppressione che stanno subendo [en]:

Bentzi Gopstein (Lehava), uno degli organizzatori della marcia “morte agli Arabi” arriverà a Sheihk Jarrah questa sera alle 20:30. #SalviamoSheikhJarrah dalla violenza dei coloni.

La frase “non respiro”, le ultime parole di George Floyd mentre veniva ucciso dalla polizia in Minnesota lo scorso anno, è diventata sui social media un trend tra gli utenti palestinesi e i loro simpatizzanti, soprattutto quando le forze di occupazione israeliane hanno condannato con violenza chi esprimeva solidarietà ai residenti sfratti di Sheikh Jarrah [en]:

“Non respiro” ha detto.

L'apartheid non finisce mai.

Un altro utente di Twitter, Kawther, ha scritto [en]:

La stessa violenza ma nessuno ne parla.

In solidarietà ai residenti di Sheikh Jarrrah, alcuni gerosolimitani hanno rotto il digiuno tutti i giorni del Ramadan di fronte le case dei residenti sfrattati. Questo ha portato Itamar Ben Ghafir, un membro del Knesset israeliano e leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit, a partecipare ad un raduno nel distretto il 6 maggio, il giorno stabilito dalla corte per l'evacuazione di queste case, annunciando che avrebbe spostato il suo ufficio a Sheikh Jarrah [29] per far fronte agli “estremisti arabi”.

Quando una folla di palestinesi si è radunata per esprime la propria opposizione agli incitamenti del parlamentare, un colono ha spruzzato dello spray al peperoncino contro i palestinesi, azione documentata da moltissimi video [en]:

Un colono israeliano spruzza dello spray al peperoncino contro i giovani palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah.

Questo ha portato ad uno scontro tra le due parti, con lanci di sedie e sassi.

Un colono spruzza spray al peperoncino contro i giovani, e i giovani  non deludono. #انقذو_حي_الشيخ_جراح [30]

Le forze di occupazione israeliane sono intervenute arrestando diversi palestinesi [en]:

È veramente triste come le persone debbano subire questo solo perchè stanno lottando per la loro terra e il resto del mondo tace.

Il ministro palestinese per gli Affari Esteri ha presentato il 5 maggio alle Corte penale Internazionale [37], i documenti ufficiali contenenti i dettagli delle operazioni di sgombero portate avanti da Israele, ma gli sconti non sembrano calmarsi.

Il 10 maggio, una corte israeliana ha rimandato [38] la seduta prevista per quel giorno per decidere la sorte dei palestinesi residenti a Sheikh Jarrah. Annunciando che la data della prossima seduta sarà entro 30 giorni, la corte ha permesso alle famiglie che rischiavano lo sfratto di rimenare nelle loro case finchè non si terrà la seduta.

Muna ElKurd, il cui video è ormai emblema della battaglia dei residenti di Sheikh Jarrah, ha scritto [en]:

We should not stop. Freezing [the decision] is not cancelling it.. The movement of Sheikh Jarrah is a popular and global movement against displacement and colonization in Jerusalem and all of Palestine. We must raise our voices, and intensify efforts through our presence and solidarity in Sheikh Jarrah neighbourhood, and intensify our voice on social media platforms, because the violence of the colonial occupation is prevalent and its outbreak in our cities has not been frozen.

Non ci dobbiamo fermare. Frenare [la decisione] non vuole dire cancellarla. Il movimento di Sheikh Jarrah è un movimento popolare e globale contro lo sfratto e la colonizzazione a Gerusalemme e in tutta la Palestina. Dobbiamo far sentire la nostra voce e intensificare gli sforzi con la nostra presenza e solidarietà al quartiere di Sheikh Jarrah. Dobbiamo rafforzare la nostra voce sui social media, perchè la violenza dell'occupazione dei coloni è massiccia e la sua diffusione nelle nostre città non si frena.