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Somalia: malgrado gli aiuti di diffonde l'emergenza per la sicurezza alimentare

Categorie: Africa sub-sahariana, Djibouti, Etiopia, Kenya, Somalia, Alimentazione, Ambiente, Citizen Media, Disastri, Giovani, Interventi umanitari, Rifugiati, Salute

Questo post fa parte del report Global Development 2011 [1] [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione].

Questo post è stato commissionato come parte della rassegna online Pulitzer Center/Global Voices sulla sicurezza alimentare [2]. Questi articoli attingono a dei reportage multimediali apparsi su Pulitzer Gateway per la sicurezza alimentare [3] e a blogger che discutono di problemi mondiali. 

Quando il Corno d'Africa [4] ha affrontato ciò che l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) ha definito come “la più grave emergenza alimentare al mondo dei nostri giorni,” [5] gli esperti hanno annunciato che le condizioni di carestia in Somalia sarebbero potute peggiorare ulteriormente. [6]

Più di 12 milioni di persone colpite

People line up for food at a camp in Mogadishu, Somalia. Image by UN Photo/Stuart Price on Flickr (CC BY-NC-ND 2.0). [7]

Persone in fila per il cibo nel campo di Mogadishu, Somalia. Immagine di UN Photo/Stuart Price su Flickr (CC BY-NC-ND 2.0).

Scatenata da un insieme di fattori: la siccità più forte degli ultimi 60 anni, conflitti, innalzamento dei prezzi del genere alimentare, secondo la FAO, la crisi del genere alimentare del nord Africa sta colpendo più di 12 milioni di persone [8]. Mentre paesi come il Gibuti, l'Etiopia e il Kenya sono stati fortemente interessati, la Somalia è stato quello colpito maggiormente, affrontando la peggiore crisi degli ultimi 20 anni sulla sicurezza alimentare.

5 zone della Somalia stanno vivendo un periodo di carestia, che nei prossimi mesi potrebbe diffondersi in altre due regioni. La carestia ha già ucciso dieci milioni di persone [9]negli ultimi 3 mesi, di cui circa 29.000 bambini [10]. Altre 3.7 milioni di persone in Somalia sono in una situazione di crisi [5].3.2 milioni necessitano di assistenza immediata.

In risposta, la FAO ha organizzato 2 incontri urgenti in meno di un mese, l'ultimo si è svolto la scorsa settimana [11], per stabilire le misure da seguire per far fronte alla situazione.

David Dorward, un professore dell'Università La Trobe in Australia, ha affermato, sul sito web The Conversation, che c'è un motivo [12] per cui la Somalia è stata fortemente colpita da questa crisi del genere alimentare:

While droughts are caused by weather – the failure of the rains – famines are invariably political…

Crops have failed and livestock perished for want of pasture. But the problem is not spread evenly across the drought-affected region…

The famine has affected each part of the Horn in different ways. In each port, each capital, each refugee camp, politics decides who, and how many, will starve.

Mentre la siccità è causata dal tempo – la mancanza di piogge – le carestie sono immancabilmente legate a motivi politici…

Le colture non sono andate a buon fine e l'allevamento è scomparso per la mancanza di pascolo. Ma il problema non si è diffuso in modo omogeneo in tutta la zona colpita dalla siccità…

La carestia ha interessato ogni parte del Corno in modi diversi. In ogni porto, in ogni capitale, in ogni campo per rifugiati, la politica decide chi, e quanti, moriranno di fame.

Un conflitto costante

La Somalia ha vissuto continui conflitti sin dalla guerra civile, cominciata nel 1991. Benché ci sia un governo provvisorio nella capitale Mogadishu, il gruppo militante islamico al-Shabaab controlla buona parte del sud della Somalia, fortemente  colpita dalla carestia. Secondo fonti mediatiche [13], Al-Shabaab ha bandito molti interventi d'emergenza internazionali, per evitare che le persone che soffrono la fame lascino il paese.

John Campbell, ha scritto un articolo sul sito il Consiglio per le Relazioni con l'Estero, dove incolpa in modo particolare al-Shabaab [14] per la crisi:

In effect, al-Shabaab bears the most responsibility for the famine. The terrorist group continues to block Western aid workers during a drought that has displaced close to two million people, or a quarter of Somalia’s entire population. A few years ago, Shabaab dismantled a child vaccination campaign, claiming it was a Western plot; that program could have saved many children who have since succumbed to measles.

In effetti, al-Shabaab è il maggior responsabile della crisi. Il gruppo terroristico continua a bloccare gli aiuti occidentali durante un periodo di siccità che ha portato a quasi 3 milioni di sfollati, un quarto dell'intera popolazione della Somalia. Qualche anno fa, Shabaab ha eliminato una campagna di vaccinazione per bambini, sostenendo che si trattasse di un complotto occidentale; che il programma avrebbe potuto salvare molti bambini che da allora sarebbero morti di morbillo.

Secondo l'ONU, i casi sospetti di morbillo sono aumentati più del 660% [15] in Somalia rispetto ai casi dello stesso periodo dell'anno precedente. I casi di colera sono anche in aumento. Ma un rapporto rilasciato la scorsa settimana dall'organizzazione non governativa Human Rights Watch mostra che tutte le parti del conflitto armato in Somalia stanno contribuendo alla catastrofe. [16]

Uno studio della Associated Press, pubblicato la scorsa settimana, ha affermato che in Somalia i sacchi di cibo destinati alle persone bisognose vengono rubati e venduti nei mercati. [17] L'aumento dei prezzi, inoltre, non permette alla gente di accedere al genere alimentare. Il prezzo dei cibi locali in Somalia, secondo il canale media reports [18], è aumentato fino al 240 % negli ultimi 9 mesi, superando il massimo storico del 2008.

Un'altra causa della crisi, ha affermato Dave Algoso, sul suo blog Find What Works, è la mancanza di risposte rapide alla crisi. [19] Rebecca Sargent tra molti fattori, individua la causa anche nella locazione di ampi terreni “presa di terreno.” [20]

La crisi ha costretto la popolazione somala a fuggire nei paesi vicini, inclusi l'Etiopia, il Gibuti e in particolare il Kenya. Il numero di rifugiati nel complesso di Dadaab ha raggiunto circa le 400.000 [21] persone, sebbene fosse stato costruito per ospitarne 90.000. In media arrivano 1.300 persone al giorno. In una rassegna per il Pulitzer Center, Samuel Loewenberg denuncia il Dadaab definito come un campo per rifugiati “affollato in modo disastroso”. [22]

Alcuni blogger si domandano cosa si può fare per aiutare i lavoratori che lottano per avere acqua e cibo a sufficienza, Ann Freeman, elenca sul blog Upside My Head (fare attenzione), tre modi per aiutarli [23], parla anche della sensibilizzazione. A tal proposito il Programma Alimentare Mondiale ha creato un quiz [24]. Cynthia Bertelsen, sul blog Cetrioli e Pomodori, si domanda perché scrittori e blogger che parlano del genere alimentare non si focalizzano sulla carestia. [25]

La ricerca di possibili soluzioni

Anche se aiuti immediati e soluzioni a breve termine sono necessari, gli esperti di agricoltura internazionale, riunitisi la scorsa settimana in un incontro straordinario FAO, hanno sottolineato il bisogno di politiche e azioni a lungo termine per prevenire carestie future. Il ministero dell'agricoltura in Kenya, ad esempio [26], ha sottolineato la necessità di semi resistenti alla siccità, di progetti di piccole zone di irrigazione e di un'analisi riguardante il collegamento tra i problemi legati alla produzione di cibo e i cambiamenti climatici.

Hannah Ellison, che scrive per il blog Population Institute, ha parlato di altre riforme da attuare, ad esempio l'organizzazione famigliare [27]deve essere parte della strategia. Jeffrey Swindle, che scrive per il sito dell'USAID (Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale) Global Broadband and Innovations, ha parlato del ruolo fondamentale che potrebbero avere [28] [por] le informazioni e le tecnologie di comunicazione nell'organizzare interventi umanitari e nel prevenire le carestie. Marion Nestle, un professore americano, ha scritto sul blog Food Politics, che le politiche della Somalia [29] devono essere anche affrontate:

We keep making the same mistakes.

This is because it seems—and in the case of Somalia is—much easier to deal with the immediate demand for food aid than to address the underlying politics that caused the problem in the first place.

But if we don’t deal with the underlying politics, the same tragedies occur again and again.

Continuiamo a fare gli stessi errori.

Questo perché sembra — e nel caso della Somalia è — più semplice avere a che fare con la richiesta immediata di aiuto alimentare piuttosto che affrontare, prima di tutto, le politiche che stanno alla base del problema.

Se non si affrontano le politiche che stanno alla base del problema, le stesse tragedie continueranno a verificarsi nel tempo.

Nonostante la terribile situazione, alcuni blogger cercano di non perdere le speranze. Un esempio è Iman che, sul blog The Huffington Post, ha elencato 5 vie d'uscita per la Somalia [30], come la forza delle donne del paese. Ed Carr, sul blog Open The Echo Chamber, ha sottolineato che se l'uomo ha causato questo disastro, allora può anche prevenirlo [31]. Dave Algoso ha cercato di dare un pò di speranza [19] condividendo sul blog Find What Works 3 video incoraggianti. Ha affermato:

Images of starving famine victims often reinforce pessimistic stereotypes of hopeless Africans unable to do much for themselves. Against such images, we like to inject nuance and point to the complexity of the situation, in the hope of countering the stereotypes and provoking a better response from the consumers of Western media.

But another possible antidote is to simply combat simplistic hopelessness with simplistic hopefulness.

Le immagini delle vittime della carestia spesso avvalorano gli stereotipi negativi. Gli Africani non sono capaci di fare di più per loro stessi. Contro queste immagini, preferiamo concentrarci sulla complessità della situazione, con la speranza di combattere gli stereotipi ed avere un miglior riscontro dagli utenti dei media occidentali. Un altro possibile antidoto è quello di limitarci a combattere la semplice disperazione con semplice speranza.

Questo post fa parte del report Global Development 2011 [1].