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La mancanza di corrispondenti brasiliani in Cina condiziona la percezione dei due paesi

Categorie: Brasile, Cina, Citizen Media, Libertà d'espressione, Media & Giornalismi, Relazioni internazionali, Civic Media Observatory

Giornalisti mettono in guardia da una narrazione mediatica troppo “omogenea” ed “esotica” riguardo alla Cina. | Immagine: Giovana Fleck/Global Voices

“Non si può capire la Cina se non si vive in Cina”, sostiene il giornalista Marcelo Ninio, l'unico [1] [pt] corrispondente brasiliano accreditato sul territorio cinese. Per l'esattezza, l'unico sudamericano. “C'è anche un reporter cubano, ma siamo gli unici dall'America Latina”.

Ma come mai così pochi giornalisti? Se poi consideriamo che il Brasile è il più grande partner commerciale [2] [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] della Cina, così vasta e varia, pare ovvio che sia nell'interesse pubblico dei brasiliani saperne il più possibile. “Preferite la riposta lunga o quella corta?”, dice Ninio, al telefono con Global Voices.

La risposta breve è quella più prevedibile: i costi. Ninio fa notare che mantenere un reporter in un altro paese, talvolta con sale stampa pocco attrezzate, comporta che il primo settore a soffrirne in termini di tagli [3] [pt], sia proprio il giornalismo internazionale.

Ma è molto più complesso di ciò. Secondo Ninio, c'entra la difficoltà di essere un giornalista in Cina, un paese pieno di restrizioni. [4] “Serve un'informazione più accurata e una buona analisi di un paese come la Cina, altrimenti, in Brasile continueremo ad assistere a una crescente disinformazione [5] e sinofobia. [6] Questo limita le possibilità per i brasiliani di comprendere il mondo”.

Una cultura basata sugli stereotipi

“I brasiliani hanno una visione alquanto omogena di tutto quello che arriva dalla Cina. Cinesi, giapponesi e coreani sono considerati come la stessa cosa in Brasile”, dice la giornalista Talita Fernandes, al telefono con Global Voices. Dopo aver lavorato come reporter per più di tre anni per il giornale Folha de São Paulo, uno dei principali in Brasile, Fernandes ha deciso di trasferirsi a Pechino per dedicarsi allo studio del cinese. “La stampa ricorre a non pochi stereotipi quando parla della Cina; è frequente l'analogia del ‘dragone rabbioso’, per esempio”, ci dice.

Anche Tatiana Prazeres, editorialista del Folha e Senior Fellow della University of International Business and Economics di Pechino, ha analizzato [7] [pt] questi stereotipi. Prazeres ha pubblicato un articolo nel febbraio 2021 in cui sosteneva che in Brasile “sussistono opinioni accese, posizioni nette e visioni assolute riguardo alla Cina,” per non parlare della mancanza di analisi e informazioni.

Dopo l'articolo di Prazeres, Talita Fernandes ha pubblicato [8] [pt] su Twitter la sua opinione in merito a questa mancanza di conoscenza della Cina:

Da qui, adesso mi rendo conto quanto poco si sappia in Brasile della diversità cinese: culturale, sociale, economica. Consideriamo la Cina come un unico blocco che non corrisponde a quello che ho visto io, qua, fino ad ora.

Coerentemente con la pratica giornalistica, ha deciso di accettare l'editing della newsletter di Shūmiàn [9] [pt], una piattaforma coordinata da volontari che cercano di stabilire uno scambio culturale tra Cina a America Latina. Proprio il fatto che sia su base volontaria, rappresenta una sorta di misura protettiva. “Se venissi pagata per fare ciò, starei svolgendo un'attività illegale perché il giornalismo freelance è qualcosa che non esiste in Cina”, dice Fernandes.

Nel suo lavoro, Fernandes spiega il suo tentativo di superare quelle narrative che normalmente applicherebbe nella stampa brasiliana. “Gli organi di stampa dipendono tanto dalle agenzie giornalistiche o dalle redazioni globali, il chè significa che la copertura della notizia perde le diverse sfumature e qualche volta finisce per essere inghiottita o carente di connessione con i brasiliani. Oppure, quando il reporter vuole approfondire, finisce sempre per presentare la Cina in modo monotono: o troppo critico o troppo semplice.”

Marcelo Ninio sostiene che la comunità di reporter internazionali in Cina è compatta. “Attraversiamo tutti le stesse difficoltà, abbiamo creato una rete di supporto per sostenerci il più possibile”.

Per Ninio, la copertura mediatica dei suoi colleghi rappresenta quanto è comune alle democrazie occidentali ma non supporta quei concetti che sono fondamentali per i brasiliani. “La mia sfida è riuscire a superare la tensione tra Occidente e Cina. Ci sono questioni che non riguardano la strategia internazionale Cina-Brasile e viceversa.”

Secondo Ninio la cosa fondamentale è analizzare l'ambiente che lo circonda e capire le prospettive cinesi senza paternalismi.

Un esempio riguarda il modo in cui i cinesi considerano la questione dei diritti umani. Per i brasiliani, questi sono normalmente associati alla libertà di espressione, mentre invece, per i cinesi, la questione ha più a che fare con lo sviluppo. “Le due cose sono complementari, ma so benissimo di doverlo spiegare ai lettori brasiliani.”

Questo è il secondo giro per Ninio come corrispondente dalla Cina. Il primo è stato dal 2013 al 2015, sempre per il giornale Folha de São Paulo. Un giornalista internazionale con esperienza negli Stati Uniti, Europa e nella copertura dei conflitti, Ninio decise di presentare l'idea di una rubrica [10] [pt] dal punto di vista cinese, con una prospettiva brasiliana, al giornale O Globo.

“Sono arrivato in Cina nell'ottobre 2020. Nonostante la pandemia, mi fu subito chiara la grande difficoltà nell'accedere alle informazioni”, afferma Ninio.

Attribuisce ciò agli attriti [11] crescenti con l'amministrazione Trump dello scorso anno. Ninio spiega che avere accesso alle fonti ufficiali del governo è pressocché impossibile, infatti adesso i cittadini sono più reticenti nell'esprimere le proprie opinioni. Inoltre, la lingua è un ostacolo e bisogna di ricorrere all'aiuto di un interprete durante le interviste. “Ma tutte queste barriere ci costringono a creare delle strategie per la gestione del lavoro” dice.

Ninio ricorre a un misto di ricerca e inchiesta sul campo per raccontare la Cina, dato che l'accesso alle fonti e ai dati ufficiali sono così limitati. “Ancora oggi, sento dire ai brasiliani che la Cina sarebbe responsabile della pandemia, che la Cina vorrebbe controllare l'economia… il Brasile ha bisogno di reporter che raccontano la Cina cercando superare queste lacune informative”.

“Eroi invisibili”

Le difficoltà riscontrate nella copertura giornalistica della Cina, non riguardano solo i brasiliani. Talita Fernandes definisce “eroi invisibili” quei cittadini cinesi che lavorano come assistenti [12] nelle testate internazionali con sede in Cina. Si tratta di figure che conoscono bene la cultura locale e le fonti ma non possono essere assunti con il titolo di “reporter” e non possono firmare i loro stessi articoli. Questo accade perché i cittadini cinesi non possono lavorare come giornalisti per organi di stampa internazionali.

Questa disposizione non ha impedito nel 2020 l'arresto [13] di Haze Fan, assistente alle notizie per Bloomberg News. Le accuse che hanno portato al suo arresto non sono state chiarite [14] dal Beijing National Security Bureau. Si trova in carcere con l'accusa di minaccia alla sicurezza nazionale.

Nel marzo 2021, la BBC ha deciso di spostare [15] il suo corrispondente da Pechino a Taipei a causa delle minacce successive al servizio sul popolo uiguri [16]. L'associazione Foreign Correspondents riporta [17] che almeno venti reporter hanno dovuto lasciare il paese nel 2020.

Dichiarazione sulla fuga di gionalisti:

Il FCCC è preoccupato e addolorato nell'apprendere che John Sudworth, il pluripremiato corrispondente in Cina per la BBC negli ultimi nove anni, ha lasciato il paese improvvisamente il 23 marzo in seguito alle preoccupazioni per la sua sicurezza e quella della sua famiglia.

Tale ostilità è esattamente quello che secondo gli addetti ai lavori crea maggiore danno all'immagine della Cina a livello globale. Con l'intento di colmare questo divario, alcune iniziative nell'ambito del giornalismo indipendente come ChinaFile [19], Caixin Global [20], e Diálogo Chino [21] [pt] (China Dialogue [22] nella versione inglese) – in aggiunta alla stessa newsletter Shūmiàn [9] – cercano di instaurare un canale comunicativo tra Cina e Occidente. “Servono diversità e concorrenza per trasmettere informazioni sulla Cina allo scopo di evitare una narrativa sbagliata come quella del ‘virus cinese’ [23] divenuto così popolare in Brasile”, afferma Fernandes.


Questa articolo è parte di una inchiesta del Civic Media Observatory [24] riguardo alle narrative sulla Nuova via della Seta, ed esplora come società e comunità percepiscano in modo differente i benefici e i danni potenziali di uno sviluppo guidato dalla Cina. Per saperne di più sul progetto e i suoi mezzi, leggi qui. [25]