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Comunità quilombo contro l'impatto ambientale delle industrie a Porto de Aratu, Bahia

Categorie: America Latina, Brasile, Ambiente, Citizen Media, Etnia

Eliete Paraguassu nel porto di Pecém, nel distretto di Ilha de Maré | Foto: Eduardo Machado/Agência Mural

Questo articolo è stato scritto da Eduardo Machado ed è stato originariamente pubblicato a febbraio 2021 da Agência Mural [1] [pt, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione]. Viene pubblicato qui in seguito a un accordo per la condivisione dei contenuti tra Global Voices e Agência Mural.

Il Porto de Aratu, uno dei maggiori porti industriali di Bahia, regione nordorientale del Brasile, e situato nella capitale Salvador, ha avuto un impatto sulla vita della comunità che vive nei dintorni. 

I pescatori di pesce e crostacei e i quilombo di Ilha da Maré sono preoccupati dei danni ambientali e socioeconomici nella regione. Si lamentano che l'inquinamento del mare, dei fiumi e delle mangrovie ha impedito alle loro famiglie di produrre alimenti per sé e per la vendita. 

Lì vivono comunità quilombo, gruppi formati da discendenti degli schiavi che scapparono e crearono spazi di resistenza. Queste comunità hanno mantenuto un forte legame con la loro storia e il loro percorso, conservando costumi e culture trasmessi dagli antenati [2]. Soltanto a Bahia ci sono più di 500 comunità. 

Consigliera quilombo della regione, la pescatrice di crostacei Eliete Paraguassu, 41 anni, che abita a Porto dos Cavalos, dice che le popolazioni native hanno sofferto per decenni a causa della contaminazione chimica prodotta dalle imprese locali di Porto de Aratu. [3]

Eliete racconta che diverse denunce contro l'inquinamento nell'area sono state scritte e mandate a organismi come l'ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), Anistia Internacional [4] e la Commissione dei Diritti Umani in Brasile.

“Questo inquinamento è un mostro invisibile. Abbiamo vari documenti, un dossier e diversi partner che ci aiutano, ma la pandemia ha portato a una non-risposta al problema,” afferma Eliete.

Tra i danni elencati nel dossier ci sono la scomparsa di piante medicinali come l'aloe vera e l’aroeira; la contaminazione ambientale, soprattutto idrica; la scomparsa di pesci, come il pesce Maria Preta, e di frutti di mare come il chumbinho

Gli abitanti parlano anche di camion che riversano i rifiuti per strada e tra le mangrovie, uccidendo gli animali.

Secondo la Cetrel (Centro di Trattamento degli Effluenti Liquidi), impresa privata responsabile della gestione delle aree contaminate in grandi complessi industriali, sono stati rilevati diversi prodotti chimici classificati dal Conama (Consiglio Nazionale dell'Ambiente) come pericolosi o molto pericolosi.

Inaugurato nel 1975, il Porto de Aratu è un'estensione del CIA (Centro Industriale di Aratu) e del Polo Industriale di Camaçari. È uno dei porti commerciali collegati alla produzione chimica e petrolchimica più importanti di tutto il paese in quanto è responsabile del 60% del guadagno nella regione e nel movimento di carichi della Codeba [3] (Compagnia portuale dello Stato di Bahia). 

Secondo la compagnia, il porto lavora con grandi varietà di mercanzie, maneggiando allo stesso tempo prodotti come minerali di ferro, manganese e rame, urea, fertilizzanti, nafta, propene e concentrato di rame.

Piattaforme di petrolio nel porto di Pecém, Ilha de Maré | Foto: Eduardo Machado/Agência Mural

Stando agli abitanti del luogo, lo scarico di residui chimici delle industrie locali avviene tramite tubi installati nelle acque della baia di Aratu.  

Per Maria de Fátima Lima Pereira, 63, pescatrice e direttrice del ristorante collettivo Tempero do Quilombo , che funziona come una specie di cooperativa, ad Alto do Tororó, lo sviluppo industriale nel territorio ha peggiorato la qualità di vita e ha trasformato la configurazione dello spazio, prima rurale, in una comunità urbana. 

Maria è cresciuta a Maré e ricorda che questo processo è cominciato quando lei aveva dieci anni. Le mangrovie sono state danneggiate; il terreno è diventato sabbioso. Il fango che era puro, medicinale, è diventato marcio,” dice.

Maria incolpa le imprese per la distruzione del Matuím, una corona di mangrovie, una specie di rifugio per diversi animali (come gamberi, pesci, crostacei e molluschi) che è stata circondata.

“Hanno scelto questo luogo per scaricare la disgrazia, perché quello che loro chiamano evoluzione io lo chiamo distruzione. Nessuno si sta preoccupando delle comunità. Quelli guadagnano denaro e noi soffriamo, marciamo e moriamo,” dice Maria.

Abitante di Ilha de Maré ed educatrice popolare, la biologa Marcella Gomes evidenzia le possibili conseguenze e i rischi per le comunità quilombo e i pescatori della regione. “Gran parte di questi inquinanti sono cancerogeni,” osserva.

Alex Santos mentre pesca crostacei nel porto di Pecém, distretto di Praia Grande | Foto: Eduardo Machado/Agência Mural

Inoltre Marcella indica altri mutamenti ambientali. “Le sostanze inquinanti, soprattutto nel lungo periodo, causano danni all'ecosistema marino, con alterazione della qualità dell'acqua, e alla dinamica della catena alimentare [5] quando la morte di alcuni organismi sbilancia tutta la catena.” 

Per il pescatore di crostacei Alex Santos da Silva, 19, membro della comunità quilombo Bananeiras, e uno dei pochi uomini presenti nella pesca di crostacei nel porto di Pecém, distretto di Praia Grande, questi danni sono già stati osservati nella flora locale.

Le piantagioni di mangrovie, di alberi di limoni e di artocarpi stanno tutte morendo a causa dell'inquinamento, non so i prodotti, ma il porto di Aratu lo stanno devastando, dice.

Riconoscimento e silenziamento 

Le comunità quilombo di Ilha de Maré e di Alto do Tororó lottano per il riconoscimento della loro identità etnica e per la demarcazione dei territori tradizionali sin dall'inizio degli anni '90. 

Le circa 400 famiglie delle comunità tradizionali di Ilha de Maré – distribuite nei distretti di Bananeiras, Martelo, Ponta Grossa, Porto dos Cavalos e Praia Grande – sono state ufficialmente riconosciute tra dicembre del 2004 e settembre del 2005 dalla FCP, organo legato al Ministero della Cittadinanza [6], responsabile della emissione di certificati delle comunità quilombo nel paese e della loro registrazione.

Nel frattempo l'Incra (Istituto Nazionale di Colonizzazione e Riforma Agraria) non ha ancora demarcato e certificato il territorio quilombo già riconosciuto.


Il Territorio Quilombo Ilha de Maré, di 644,7 ettari, è localizzato nella regione metropolitana di  Salvador [7]
. La storia delle comunità si confonde con la storia stessa conosciuta e non conosciuta del Brasile, poiché si trova là dove iniziò la colonizzazione portoghese: un porto sicuro di terre fertili per la produzione in terra e acqua.

A causa dello sterminio di indigeni e del traffico di africani, gli schiavi neri che sono scappati dalle piantagioni di zucchero hanno fatto di questo luogo il proprio “posto nella Ilha”.  

Laureanda in storia e con un master in Studi Etnici al Centro di Studi Afro-Orientali (Ceao), Fernanda Bianca Gonçalves Galo discute della violazione del diritto dei quilombo alla consultazione preventiva, visto che nonostante la certificazione delle terre da parte della Fundação Palmares e benché il territorio sia una APA (Area di Protezione Ambientale), nella regione c'è quello che lei considera lo sviluppo dei poli industriali a discapito della “zona del sacrificio”. 

Fernanda afferma che a nessuno delle comunità quilombo o dei pescatori della regione è stato dato il diritto alla consultazione.
Uno dei fattori che contribuiscono a questa non titolazione o a questo silenziamento sono le grandi imprese che stanno qui attorno. C'è lo sviluppo, ma le comunità non vengono ascoltate, ovviamente, perché sono popolazioni di cui a nessuno importa, dice. 

In una nota, l'Inema (Istituto di Ambiente e Risorse Idriche) ha dichiarato di monitorare la qualità dell'acqua tramite le Amministrazioni Tecniche a Baía de Aratu, collaborando con diverse attività di monitoraggio ambientale delle imprese situate nella regione.

L'istituto dice anche che, al momento, si stanno svolgendo studi relativi alla regione, così come la verifica del rispetto delle Ordinanze emesse dall'ente.

Già la Codeba dice che non esistono “industrie petrochimiche” situate nel Porto Organizzato di Aratu-Candeias, cosicché non c'è “lavorazione” di prodotti chimici.

Consapevole che l'ambiente è un bene pubblico da garantire e proteggere, la società dichiara di svolgere sistematicamente azioni in linea con le buone pratiche ambientali intorno al Porto di Aratu, inclusa Ilha de Maré, in conformità con gli standard legali stabiliti per l'attività portuale.