La COVID-19 ha colpito più di 55.000 indigeni in Brasile e ha causato la morte dell'ultimo guerriero juma

Il capo indigeno ricevette un “trattamento precoce”, con farmaci non raccomandati dalla OMS | Foto: Gabriel Uchida/Amazônia Real

Questo testo [pt, come tutti i link successivi salvo diversa indicazione] di Luciene Kaxinawá è stato pubblicato originariamente nel febbraio 2021 e viene riprodotto grazie a una collaborazione tra Global Voices e l’agenzia Amazônia Real.

“Nostro padre ha lottato a lungo, era un guerriero e noi continueremo la sua lotta”. Questo è stato il messaggio di Borehá, Maitá e Mandeí a suo padre, il capo indigeno Aruká Juma, morto di COVID-19 il 19 febbraio 2021.

La famiglia e gli amici del villaggio juma pensano che Aruká avesse tra gli 86 e i 90 anni; non si conosce esattamente la sua età perché non aveva un certificato di nascita. Il territorio del popolo juma si trova nella parte meridionale dello stato di Amazonas, in Brasile, una zona forestale fortemente minacciata dalla deforestazione.

“Il Coordinamento delle Organizzazioni Indigene dell'Amazzonia Brasiliana (Coiab) e l'Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile (Articulación de los Pueblos Indígenas de Brasil – APIB) hanno evidenziato che i popoli indigeni contattati recentemente correvano un rischio estremo. L'ultimo superstite del popolo juma è morto. E di nuovo, il governo brasiliano si è dimostrato negligente e incompetente in modo criminale. Il governo ha ucciso Aruká”, disse una nota firmata dalle organizzazioni indigene, quali il Coordinamento delle Organizzazioni Indigene dell'Amazzonia Brasiliana (Coiab), l'Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile (Articulación de los Pueblos Indígenas de Brasil – APIB) e l'Osservatorio dei Diritti Umani dei Popoli Indigeni Isolati e di Recente Contatto (Observatorio de Derechos Humanos de Pueblos Indígenas Aislados y de Reciente Contacto – OPI).

Secondo il bollettino della Coiab, fino alla fine di maggio 2021 la pandemia aveva colpito 152 popoli indigeni nell'Amazzonia brasiliana, con 38 848 casi confermati e 946 morti registrate. Solo nello stato di Amazonas ci sono stati 9 637 casi e 318 morti.

Apib ha documentato, fino al 24 giugno, più di 55000 casi confermati e 1124 indigeni morti in tutto il paese. In tale data, il pannello della SESAI (Secretaría Especial de Salud Indígena – Segreteria Speciale della Salute Indigena, ufficio legato al governo federale) registrò più di 50.000 casi e 728 morti.

Coiab supervisiona i casi dal 19 marzo 2020, quando fu registrata la morte di un’indigena borari, nello stato di Pará. Ma SESAI considera come prima morte di un indigeno in relazione alla COVID-19 in Brasile quella di ragazzo yanomami di 15 anni, avvenuta il 9 aprile 2020 a Roraima. In entrambi i casi gli stati si trovano nel nord del Brasile.

La morte di Aruká per insufficienza respiratoria acuta causata dal nuovo coronavirus è avvenuta in un ospedale da campo, a Porto Velho, capitale dello stato di Rondônia, che fiancheggia l'Amazzonia. Il trasferimento in un altro stato, e non a Manaus (capitale dello stato Amazonas), fu una conseguenza della distanza tra le due zone, tenendo conto delle caratteristiche geografiche della regione.

Prima di essere trasferito in un reparto di terapia intensiva, Aruká Juma ricevette in gennaio quello che in Brasile viene definito “trattamento precoce” contro la COVID-19, in un ospedale di Humaitá, nel sud dello stato di Amazonas.

I trattamenti incoraggiati dal governo del presidente Jair Bolsonaro, che comprendono l'uso di ivermectina e azitromicina, sono considerati inefficaci contro questa malattia dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La Casa per la Cura della Salute Indigena (Hogar de Atención a la Salud Indígena – Casai) di Humaitá (stato di Amazonas), organismo del ministero della Salute, rivelò all'agenzia Amazônia Real il trattamento prescritto a Aruká, che soffriva di ipertensione.

I componenti della famiglia di Aruká sono considerati gli ultimi rappresentanti del popolo juma, etnia del ceppo linguistico tupi kagwahiva, al quale appartengono anche altri popoli, come i uru-eu-wau-wau, con rappresentanti dei quali si sposarono le figlie di Aruká per evitare l'estinzione del loro popolo.

Da giovane, Aruká assistette a un grande massacro ai danni del suo popolo che lottava per difendere il territorio dall'invasione, negli anni '60 del secolo scorso, dei cercatori di gomma e dei commercianti di noci del Brasile. I primi resoconti sugli juma, risalenti al XVIII secolo, indicavano che il popolo era composto da circa 15.000 persone.

A seguito di successivi massacri, già negli anni '40 il loro numero si ridusse a 100. Infine, dagli anni '60, a causa di nuovi attacchi di invasori, si ridussero ulteriormente fino alla quasi completa estinzione.

Alla fine degli anni '90, il capo juma è riuscito a delimitare un territorio nel municipio di Canutama, nella parte meridionale dello stato di Amazonas.

Battaglia contro la COVID-19

Ad inizio gennaio, Aruká Juma presentò i sintomi della COVID-19 insieme ad altri 12 membri della famiglia che vivevano con lui nel territorio indigeno. Il 17 gennaio, fu ricoverato all'Ospedale Sentinela, nel municipio di Humaitá, presso Canutama; questo fu l'inizio di una serie di ricoveri e dimissioni dall'ospedale.

Il 2 febbraio, Aruká Juma peggiorò, venne intubato e fu necessario trasferirlo in un altro ospedale, dato che quello nel quale si trovava, il secondo in cui fu ricoverato, non aveva letti in terapia intensiva. Organismi pubblici e organizzazioni per la difesa dei popoli indigeni si mobilitarono per salvargli la vita. Nonostante il trasferimento all'ospedale da campo di Porto Velho, morì.

Per tutto il periodo nel quale fu ricoverato in gennaio e febbraio, l'agenzia Amazônia Real sollecitò bollettini medici sullo stato di salute di Aruká Juma e informazioni sui trattamenti da lui ricevuti.

Per WhatasApp, una professionista di Casai Humaitá, organo della Segreteria Speciale della Salute Indigena, dichiarò che, nell'Ospedale Sentinela di Humaitá, il capo indigeno ricevette medicinali come l'azitromicina, l'ivermectina e la clorochina.

Consultato per il reportage, Aurélio Tenharim, assessore del Consiglio Distrettuale Indigeno del Ministero della Salute, disse che, quando il capo si contagiò con il virus, ricevette anche il “trattamento precoce”, confermando la somministrazione di questi farmaci, incluso all'anziano juma. “Assunse lo stesso medicamento che presi io, lo prescrisse [il trattamento precoce] il medico”, affermò.

Le figlie di Aruká Juma, Borehá, Maitá e Mandeí, affermano che non furono informate del trattamento prescritto al padre, la cui efficacia non è stata scientificamente provata.

Crisi sanitaria

L'11 gennaio, l'allora ministro della Salute, il generale Eduardo Pazuello (in carica fino a marzo), andò a Manaos e, in occasione dell'avvio del Piano Strategico per la Lotta alla COVID-19 nello stato di Amazonas, raccomandò pubblicamente il “trattamento precoce”.

Amazonas stava affrontando il collasso del sistema sanitario con scarsità di letti in terapia intensiva e di ossigeno negli ospedali.

“Non stiamo discutendo se questo o quel professionista è d'accordo. Il comitati sanitari federali e regionali hanno già preso posizione e sono favorevoli al trattamento precoce e alla diagnosi clinica. Ho parlato personalmente, in videochiamata, con tutti”, disse in un'occasione.

“La diagnostica spetta al professionista medico. Il trattamento spetta al professionista medico. L'orientamento è prematuro. (…) Non ucciderà nessuno, ma salverà in caso di COVID”, aggiunse.

Pazuello è sotto inchiesta da parte del Tribunale Supremo Federale (Supremo Tribunal Federal – STF) per presunte omissioni nella crisi sanitaria dello stato di Amazonas e per aver raccomandato un trattamento senza prove della sua efficacia: è nell'agenda della Commissione Parlamentaria d'Inchiesta del Senato che analizza la gestione della pandemia in Brasile da parte del governo di Bolsonaro.

Per il reportage di Real Amazônia si è cercato di contattare la Segreteria Municipale della Salute di Humaitá, responsabile dell'Ospedale Centinela, e la Segreteria Speciale della Salute Indigena (SESAI) del ministero della Salute per ricevere commenti sul “trattamento precoce” prescritto a Aruká Juma, ma non si è ricevuta alcuna risposta.

SESAI ha divulgato una nota di condoglianze attraverso il Distretto Sanitario Speciale Indigeno (DSEI) di Porto Velho. “Il DSEI ha utilizzato tutti i mezzi possibili per prendersi cura del paziente e continua ad assistere la famiglia. (…) SESAI e il DSEI Porto Velho esprimono le proprie condoglianze per la morte di questo grande guerriero e capo”, recita il testo.

Lutto per amoim (nonno)

La storica Ivaneide Bandeira Cardozo, dell'organizzazione Kanindé, alleata dei popoli Uru-Eu-Wau-Wau e Juma, ha sottolineato che, per la salute indigena dei popoli dell'Amazzonia, il momento è critico.

È venuta a conoscenza della morte di Aruká Juma proprio mentre stava seguendo la vaccinazione contro la COVID-19 del popolo uru-eu-wau-wau, nello stato di Rondônia.

“Si deve capire che gli indigeni del Brasile e dell'Amazzonia vivono la situazione sanitaria con molta pressione, con un'intensa invasione delle loro terre e con la precarietà dell'assistenza sanitaria”, dice.

Il Ministero Pubblico Federale di Rondônia ha emesso un comunicato nel quale si lamenta la morte di Aruká Juma. Nel testo si legge: “A metà degli anni '60 il popolo juma fu sul punto di estinguersi a causa dei massacri che i suoi componenti subirono da parte di cercatori di gomma e di legname e di pescatori nel territorio lungo il rio Assuã, a Canutama, Amazonas. Aruká fu uno dei sopravvissuti della sua etnia”.

Funerale di un guerriero Juma

Il funerale di Aruká ha avuto luogo il 18 febbraio nel villaggio di Juma, nel municipio di Canutama, nella parte meridionale dello stato di Amazonas. Furono invitate su un ponte numerose personalità a rendere omaggio al capo, prima che il corteo funebre si dirigesse nel territorio indigeno Juma.

Mandeí Juma, una delle figlie del guerriero, disse al giornalista che tutte le decorazioni e gli ornamenti che appartenevano al guerriero sarebbero stati sepolti con lui.

La figlia maggiore del capo, Borehá Juma, affermò che, da quel momento in poi, intendeva seguire le orme del padre: “Voglio arrivare ad essere come mio padre e lottare come lui. Mio padre era un vero guerriero. È stato un capo, io sono stata un capo e ora la stirpe si è interrotta”, dice.

Oltre alla sue tre figlie, Aruká ha lasciato 14 nipoti, bisnipoti e una figlia da una relazione con una donna indigena uru-eu-wau-wau. I nipoti di Aruká sono figli degli indio uru-eu-wau-wau (il cui territorio si trova nello stato di Rondônia, che confina con quello dello stato di Amazonas), con cui si sposarono Borehá, Maitá e Mandeí. A causa del suo sistema patrilineare, i suoi nipoti e figli sono considerati ugualmente uru-eu. Aruká fu l'ultimo del suo popolo.

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