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Negare la responsabilità del Giappone per la schiavitù sessuale durante la Seconda Guerra Mondiale ne peggiora solo l'immagine

Categorie: Asia orientale, Giappone, Citizen Media, Donne & Genere, Guerra & conflitti, Politica
The Allied Reoccupation of the Andaman Islands, 1945 [1]

Ragazze cinesi e malesi prese con la forza da Penang dai giapponesi per lavorare come ‘ianfu’ (schiave sessuali dell'esercito) per le truppe giapponesi. Dominio pubblico

Durante la Seconda Guerra Mondiale, donne da più di dieci paesi furono costrette alla schiavitù sessuale dall'Esercito imperiale giapponese. Queste donne erano chiamate in modo eufemistico ‘ianfu’ (comfort women, ossia donne di conforto) [2] [it] in giapponese, e sono state a lungo causa di controversie politiche.

In un tentativo di proteggere l'autostima del Giappone, i revisionisti della storia giapponese si rifiutano di ammettere i crimini dell'Esercito imperiale giapponese nonostante ci sia una montagna di prove che suggeriscono come durante la Seconda Guerra Mondiale la schiavitù sessuale fosse organizzata e sistematica.

Un redente dibattito tra utenti di Twitter offre uno scorcio dei ragionamenti usati per difendere la pratica bellica.

L'utente @dragoner_jp [3] espone un errore comune commesso nel dibattito sulla schiavitù sessuale della seconda guerra mondiale [ja, come i link seguenti, salvo diversa indicazione]:

Riguardo la questione delle donne di conforto, i conservatori giapponesi insistono sul fatto che “non ci fu coercizione”. Tuttavia in Corea non si discute quasi per nulla della coercizione, e per quanto il Giappone affermi che non ci fu, non c'entra niente! In questo momento la “confutazione” non ha senso.

Il trattamento delle donne di conforto ha da tempo logorato il rapporto tra Corea e Giappone. Il Giappone ha colonizzato la Corea tra il 1905 e il 1945 [5] [it], e l'occupazione giapponese del Paese potrebbe essere stata piuttosto violenta.

Durante la Seconda Guerra Mondiale le autorità coloniali del Giappone hanno coscritto decine di migliaia di donne [6] [en] provenienti dalla penisola coreana e da altre regioni dell'Asia per prestare servizio come comfort women.

La percezione che il governo giapponese rifiuti di riconoscere il problema e neghi perfino l'esistenza delle donne di conforto  [7]continua a provocare proteste [8]in Corea del Sud:

Per farla breve, quando a livello internazionale viene riproposta la logica secondo la quale “le donne di conforto sono esistite, ma c'era mutuo accordo e non coercizione, perciò il governo e l'esercito non sono responsabili in quanto non coinvolti”, invece di tirare un sospiro di sollievo ci si sente a disagio. Ogni volta che il Giappone fa queste affermazioni all'estero, le persone che ne sono disgustate aumentano…

@boreford [10] si mostra d'accordo e riassume il dibattito:

Più si afferma “non c'è alcun problema perché erano prostitute” e “non c'è alcun problema perché a portarle furono contraenti privati”, più l'immagine [del Giappone] peggiora.

@raise9393  [12]non si trova d'accordo, e nel processo fornisce un perfetto esempio di convinzione ostinata nell'errore:

In altre parole, intendi dire che le comfort women furono sfruttate come nelle fabbriche che si approfittano dei neri e ridotte in “schiavitù sessuale”?  A quel tempo la prostituzione era legale, le donne di conforto guadagnavano molto e l'esercito prestava molta attenzione alle loro condizioni di lavoro, come all'igiene. Le condizioni di lavoro nelle fabbriche sfruttatrici erano di gran lunga peggiori.

@dragoner_jp [3] ha ribattuto:

Questi ragionamenti sono proprio quelli a cui facevo riferimento, e sono proprio i tipi di ragionamento che fanno provare disgusto alle persone provenienti da altri paesi:

RT@raise9393 @dragoner_JP @tsuyup A quel tempo la prostituzione era legale, le donne di conforto guadagnavano molto e l'esercito prestava molta attenzione alle loro condizioni di lavoro, come all'igiene. Le condizioni di lavoro nelle fabbriche sfruttatrici erano di gran lunga peggiori.