Il 9 novembre 2020 cominciò la settimana più significativa degli ultimi 20 anni del nostro paese. Quel giorno il Congresso, dopo un breve dibattito e giustificando le sue azioni con la lotta contro la corruzione, decise di sollevare dall'incarico l'ex presidente della Repubblica, Martín Vizcarra. L'obiettivo di questa mossa, incitata da membri del Congresso con indagini penali a carico, era di controllare i principali poteri dello Stato: l'Esecutivo e il Legislativo, per avviare controriforme e misure che favoriscano i propri interessi.
La presidenza può rimanere vacante per incapacità morale, come da articolo 113 [es, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] della Costituzione peruviana, uno strumento di controllo conferito al Parlamento che è pensato per proteggere l'investitura presidenziale, garantendo l'idoneità “morale” di chi occupa l'incarico. Tuttavia, il suo contenuto è, specialmente adesso, oggetto di numerosi dibattiti, prima di tutto perché la sua rilevanza non è chiara, e, in secondo luogo, perché il suo uso indiscriminato e arbitrario può generare, secondo il costituzionalista César Landa, un colpo di Stato non manifesto.
Dunque, è importante segnalare che, nonostante l'“incapacità morale” sia un concetto indefinito, il suo utilizzo deve attenersi ai limiti che stabilisce la Costituzione. In questo modo, oltre ai requisiti formali stipulati nell'art. 89-A del regolamento del Congresso, si deve rispettare e garantire in ogni momento il diritto al dovuto processo e a una decisione razionale, proporzionale e sensata.
Quello che è avvenuto il 9 novembre non soddisfava queste esigenze. Da un lato, è vero che Vizcarra è sotto indagine per questioni di corruzione risalenti a quando era Governatore Regionale di Moquegua; dall'altro, è anche vero che si stanno ancora raccogliendo prove a riguardo per, in un secondo momento, presentare una pubblica accusa. Le inchieste giornalistiche che si trasmisero sul caso, senza verifica di dati né indagine da parte del parlamento, furono utilizzate per rimuovere il presidente tramite un processo veloce, in cui i voti erano già decisi prima di ascoltare la difesa.
Inoltre, il contesto sociale per promuoverlo era poco favorevole. Il Perù è uno dei paese che più è stato colpito dalla COVID-19, sia a livello sanitario che economico. Al collasso degli ospedali e all'impoverimento della popolazione si aggiunge una crisi politica, frutto dei costanti scontri tra Esecutivo e Legislativo, in questa occasione, alle porte di nuove elezioni presidenziali e parlamentari. Quindi, mancando così pochi mesi (8) perché nuovi rappresentanti assumano gli incarichi, parte della cittadinanza riteneva che sarebbe stato ideale se Vizcarra avesse completato il suo mandato mentre la pubblica accusa lo indagava. Infatti, in una inchiesta eseguita da IEP (2020), il 95% degli intervistati concordavano con quella posizione e solo il 4% si esprimeva a favore della presidenza vacante.
Stando così le cose, i legislatori agirono in questo modo per togliere di mezzo Vizcarra e, in questo modo, approvare misure che li favorissero. Il Governo costituiva un ostacolo per l'approvazione di norme controverse che, nella maggior parte dei casi, erano state osservate da organismi tecnici dell'Esecutivo. Ad esempio, il giorno dopo aver reso vacante la presidenza, si presentò un progetto di legge che minacciava l'Amazzonia promuovendo l'espansione dell’industria mineraria artigianale e un altro in cui si rendeva più flessibile l'ottenimento della certificazione ambientale. Inoltre, nei giorni successivi, si pianificò nella Commissione per l'Istruzione, l'esposizione di un progetto di legge che stabiliva di abrogare o modificare la riforma magistrale e universitaria. Questa iniziativa metteva a rischio tutti i procedimenti vigenti orientati a garantire la qualità sia per quanto riguarda la scuola dell'obbligo che superiore. Ciò rapresenterebbe maggiori rischi anche per la qualità del sistema scolastico del paese.
Tutti questi atti, cominciando dall'approvazione della presidenza vacante, generarono indignazione in migliaia di peruviani e peruviane, in maggioranza adolescenti e giovani che, dal 9 al 17 novembre, si organizzarono e autoconvocarono per compiere proteste di massa in difesa della democrazia e delle principali riforme statali (dell’ istruzione, politica e giuridica). Queste manifestazioni, anche se pacifiche, furono represse violentemente dalla Polizia Nazionale del Perù, fino al punto che nella marcia del 14 novembre, due giovani, Inti e Jack, furono assassinati, e altri rimasero gravemente feriti. Alle cattive decisioni del Congresso, si aggiunse un governo autoritario che, grazie alle mobilitazioni, durò soltanto 6 giorni, nonostante abbia lasciato grandi ferite.
Infine, l'accaduto scatenò un sentimento di saturazione di fronte alla classe politica in adolescenti e giovani. La “generazione del bicentenario”, termine coniato dalla sociologa peruviana Noelia Chávez, che uscì in strada a difendere la sua patria è stata testimone di continui episodi di corruzione. Ha visto come i politici si sono contesi il paese come se fosse un bottino. Si è resa conto, inoltre, che la disuguaglianza cresce e la giustizia è riluttante. Non sono indifferenti a ciò che avviene, vogliono un paese migliore e, a questo proposito, usano nuovi discorsi e nuovi spazi, come Instagram o Tik Tok, per condividere informazione, organizzarsi e esprimere il proprio malessere.
Non si spaventino se si parla di una nuova Costituzione, è un dibattito necessario, la struttura della società e il contesto sociale sono diversi da quelli del 1993. Potrebbero essere necessarie riforme, un nuovo patto sociale, ma prima dobbiamo ascoltarci e rispettarci, chiarire cosa ci guiderà in questa nuova tappa. Si compiranno i 200 anni dell'indipendenza e ancora non abbiamo chiaro chi siamo, forse è il momento di costruire un nuovo futuro che includa tutte e tutti.