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L'attivismo per i diritti LGBTQ+ potrà invertire le politiche regressive in Medio Oriente?

Categorie: Medio Oriente & Nord Africa, Afganistan, Egitto, Iran, Israele, Turchia, Citizen Media, Diritti gay (LGBT), Diritti umani, Politica, The Bridge
Fermoimmagine dal<a href="https://www.youtube.com/watch?v=Cqnn2ccFcBs"> video YouTube</a> Imprisoned in Egypt for Raising the Rainbow Flag, pubblicato da Human Rights Watch.

Fermoimmagine dal video YouTube [1] “Imprisoned in Egypt for Raising the Rainbow Flag”, pubblicato da Human Rights Watch.

Scritto da Camille Arquette

Sebbene i Paesi che adottano politiche e comportamenti LGBTQ-friendly siano sempre più numerosi, alcuni stati del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA) si stanno muovendo  [2][en, come i link seguenti] nella direzione opposta.

Dall'Egitto alla Turchia all'Iran, i governi dell'area MENA stanno opponendo resistenza all'inclusione della comunità LGBTQ+, facendo addirittura ricorso ai social media e ai telefoni cellulari per identificarne e prenderne di mira [3] i membri. Anche la stigmatizzazione sociale ha contribuito a ostacolare i progressi. In Medio Oriente la comunità LGBTQ+ si trova innegabilmente in serio pericolo e i sostenitori dei diritti umani internazionali devono fare pressione sui governi dei paesi dell'area MENA perché modifichino le loro politiche al fine di creare una società più inclusiva e libera da paura e oppressione.

Il contenuto delle leggi relative alla comunità LGBTQ nell'area MENA varia [4] da Paese a Paese, ma la maggior parte degli stati ha leggi severe contro l'omosessualità, molte delle quali ereditate [4] da potenze coloniali come la Francia e la Gran Bretagna. Inoltre alcuni Paesi hanno adottato leggi contro le relazioni omosessuali o l'espressione dell'identità transessuale basate su interpretazioni della sharì'a. Questo sistema giuridico e la stigmatizzazione sociale che colpisce le persone queer o transgender nell'area MENA ha reso sempre più difficile la creazione e il mantenimento di spazi sicuri e inclusivi per i membri della comunità LGBTQ+.

Un caso esemplare accaduto in Egitto è quello di Sarah Hegazy, un'attivista queer e femminista egiziana, che venne arrestata dopo aver sventolato la bandiera arcobaleno durante un concerto al Cairo nel 2017. La foto venne pubblicata su Facebook e ricevette un elevato numero di condivisioni, attirandosi l'attenzione sia di critici che di sostenitori della comunità LGBTQ+.  L'immagine divenne virale e qualche giorno dopo, il governo egiziano intervenne arrestando [5] Hegazy per “essersi unita a un gruppo proibito il cui fine era interferire con la costituzione”. Il governo prese inoltre visione dei filmati del concerto. Vennero arrestate numerosi [6] altri spettatori che avevano sollevato la bandiera dell'orgoglio LGBT, oltre che cittadini ritenuti essere gay o transgender [5] dallo stato. Hegazy venne tenuta in custodia cautelare per tre mesi, durante i quali le autorità egiziane la torturarono [7] con l'elettricità e con l'isolamento e le altre carcerate vennero incoraggiate ad aggredirla e ad abusare di lei. Dopo il rilascio, Hegazy si era trasferita a Toronto, dove ha vissuto in esilio fino al 2020, quando purtroppo si è tolta la vita.

Dopo il concerto, il governo egiziano ha inaugurato una massiccia campagna di arresti [8]:

Nell'ambito di questa campagna, le autorità egiziane hanno creato profili falsi [8] in app di incontri omosessuali usandoli per far cadere in trappola persone queer.

In Iran, Paese tristemente noto per le esecuzioni capitali [9] di membri della comunità LGBTQ+, sui social media la sorveglianza è onnipresente. La comunità LGBTQ+ si è spostata in numeri sempre maggiori su Twitter, Instagram e Telegram per esprimere il proprio malcontento verso il regime iraniano, ai cui occhi l'omosessualità è un peccato punibile con la morte [10]. Nel 2007 l'ex-presidente Mahmoud Ahmadinejad ha dichiarato: [11] “Da noi in Iran non ci sono omosessuali”, mentre Mehrdad Bazrpash, un membro del parlamento, ha dichiarato che “violare i diritti degli omosessuali è un grande onore per la Repubblica islamica”. La comunità LGBTQ+ iraniana è innegabilmente vittima di oppressione e di ostracismo da parte delle autorità.

Il giro di vite nei confronti delle persone LGBTQ+ in Iran si è dimostrato veemente e spesso brutale. Alle autorità iraniane è permesso di infiltrare app come Grindr e Hornet per ricattare e attirare persone queer nella loro pericolosa trappola galante. Le autorità possono penetrare facilmente [12] su applicazioni come Hotgram e Talaeii – una versione di Telegram il cui funzionamente è consentito in Iran (Telegram è stato vietato nel 2018) – grazie a una normativa sulla privacy debole e i fondatori potrebbero essere ingannati affinché comunichino con funzionari governativi. Queste restrizioni e l'invasione della privacy stanno costringendo molti membri della comunità LGBTQ+ a rifugiarsi [13] in stati più liberali.

L'omofobia è in aumento anche in Turchia. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si esprime abitualmente con termini ostili e degradanti sulla comunità LGBTQ+, contribuendo all’impennata di odio omofobo [14]. Per molti anni la Turchia è stata considerata uno stato tollerante, spiccando tra i Paesi socialmente conservativi dell'area MENA. Sebbene l'omosessualità sia ancora legale in Turchia, Erdogan ha investito risorse considerevoli [14] per prendere di mira la comunità, suscitando preoccupazione per un possibile nuovo aumento dei crimini d'odio nel Paese. Esito dell'accanimento nei confronti della comunità è la cancellazione [15] da parte di Netflix Turchia di una serie con un personaggio gay, perché il governo ha rifiutato il permesso di effettuare le riprese. Inoltre lo scorso giugno  i media turchi hanno guidato il boicottaggio [16] dell'azienda francese di articoli sportivi Decathlon dopo che quest'ultima aveva dichiarato di essere solidale con la comuntà LGBTQ+. Alcuni cittadini turchi [17] credono che queste azioni siano volte a distrarre l'opinione pubblica dalle politiche economiche e sociali inadeguate del Paese.

Seppur non considerato parte del Medio Oriente, vale la pena menzionare che attualmente in Afghanistan stato confinante con l'Iran – la comunità LGBTQ+ si trova nel pieno di un’emergenza [18]. Sebbene durante l'occupazione statunitense lo stato dei diritti della comunità non fosse ideale [19], con il nuovo governo talebano al potere il rischio di violenze e vessazioni è destinato ad aumentare drasticamente. Prima dell'occupazione americana dell'Afghanistan nel 2001 i talebani erano notori per le esecuzioni pubbliche di persone queer.

Ora che il gruppo ha preso controllo del Paese si prevedono esiti simili. Secondo un reportage del Los Angeles Times [20], nelle ultime settimane i talebani sono intervenuti duramente nei confronti di numerosi segmenti della popolazione, tra cui anche la comunità LGBTQ+. Un giudice talebano ha inoltre recentemente confermato [21] a un quotidiano tedesco che secondo la sharì'a l'omosessualità è illegale, e che il regime talebano punirà l'omosessualità con la lapidazione o con la morte per schiacciamento a seguito del crollo di un muro. Negli ultimi anni molti afgani LGBTQ+ hanno fatto coming-out con le loro famiglie e hanno iniziato ad utilizzare [22] i propri telefoni cellulari per comunicare e supportarsi vicendevolmente. Molti di loro ora temono che i talebani confischino i loro device per utilizzare le informazioni in essi contenute col fine di rintracciare altri afgani LGBTQ+.

La facciata di un palazzo illuminato con i colori dell'arcobleno durante la settimana del Pride a Tel Aviv, Israele, 2015 <a href="https://www.flickr.com/photos/ewolivera/26150354576/in/photolist-FQPpmm-bAeA8M-8suJwx-9yrkWb-zdQB1q-kAVdLJ-2mgC7AU-yXqfNb-2kikVJP-E9RkXe-DLAvpV-23rfC7K-2kLMdKN-eGi6Pe-2kLQEKL-CXrVoi-2kcTuFr-2kXYu7w-5at2oH-2kkKWQm-2fs9ZKT-LV4HM6-28SCRcB-DsJrBf-2kcbXsQ-2kLRpmU-Y6nwEG-2kLMdHD-2kLQXQx-DSw6df-2kLQXLE-2kLMdJk-dD1aGD-2kcTuFB-Zd9TjW-DLA7eX-2kc9LTc-dtwDQZ-YF1NBr-Jqjvww-2hiCA9i-2i8kJAP-2kYGtj6-2kcXFaJ-up7wWP-bDYhzH-Z3L4QS-vcHfxN-2mrQsfz-2mthGTu">Photo</a> by Edgardo W. Olivera (<a href="https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/">CC BY 2.0).</a>

La facciata di un palazzo illuminato con i colori dell'arcobleno durante la settimana del Pride a Tel Aviv, Israele, 2015 Foto [23] di Edgardo W. Olivera (CC BY 2.0). [24]

Nonostante i progressi sul tema dei diritti LGBTQ+ in alcune zone dell'area MENA, la comunità continua a soffrire. In Israele, stato il cui governo è fortemente influenzato dalle fazioni religiose, i legislatori hanno fatto passi da gigante per venire incontro [25] ai bisogni della comunità. Nell'area MENA, gli attivisti hanno lavorato strenuamente alla lotta per i diritti. La Tunisia è un fulgido esempio della forza della comunità LGBTQ+, che grazie alle pressioni esercitate sul governo è riuscita [26] ad ottenere che venisse messa fine alle esplorazioni rettali per perseguire il reato di omosessualità.

Questi sforzi rappresentano un passo avanti, tuttavia le leggi che criminalizzano le relazioni omosessuali continuano ad esistere. Le autorità governative fanno sempre più spesso affidamento sulla tecnologia per identificare e tenere sotto controllo i membri della comunità. Non dissimilmente da quanto è stato fatto in Turchia, i sostenitori internazionali dei diritti LGBTQ+ devono continuare a fare pressione sui governi dell'area MENA perché cambino linea politica. Proprio tali politiche potrebbero migliorare la condizione delle persone LGBTQ+, garantendo alla comunità la protezione e il rispetto delle libertà e fermando, allo stesso tempo, la tendenza regressiva che è attualmente osservabile nell'area MENA.

Camille Arquette è una consulente esperta di terrorismo internazionale, si interessa anche di diritti LGBTQ+.