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I negoziatori dei Caraibi dovrebbero cercare soluzioni e supporto alla COP26

Categorie: Caraibi, Dominica, Isole Vergini (USA), Portorico (USA), Trinidad & Tobago, Ambiente, Citizen Media, Giovani, Politica, Scienza

Insegna della conferenza COP26 avente luogo a Glasgow, Scozia, dal 31 Ottobre al 12 Nobembre. Foto per gentile concessione di Valery Fils-Aime, utilizzata col suo permesso.

I piccoli Stati insulari in via di sviluppo (SIDS) dei Caraibi si sono presentati alla Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite del 2021 (COP26) con un unico obiettivo — racimolare supporto per assicurarsi che l'incremento delle temperature medie mondiali si limiti a 1.5° Celsius rispetto ai livelli pre-indistruali, così come raccomandato dagli Accordi di Parigi.

“Fare meno di così vuol dire mettere a rischio la nostra generazione e quelle future,” ha affermato [1] [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] Keith Rowley, primo ministro di uno di questi Paesi, Trinidad e Tobago, nel marzo scorso. La sua affermazione sottolinea la gravità della crisi climatica per gli Stati insulari in via di sviluppo dei Caraibi. Le temperature oceaniche più alte e l'aumento del livello del mare stanno già contribuendo a creare stagioni degi uragani sempre più violente e distruttive [2] che affliggono la regione. La ricerca ha trovato una relazione diretta [3] tra l'uragano Maria — un colosso mortale di categoria 5 che ha devastato Dominica [4] [it], Saint Croix e Puerto Rico [5] nel 2018 — e il cambiamento climatico.

A Trinidad e Tobago, i Contributi destinati a livello nazionale [6] (INDCs) per combattere il cambiamento climatico sotto la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), riconoscono che la temperatura media annua del Paese è salita di un 1º C nell'arco dell'ultima metà di secolo e che, se non invertiamo la rotta adesso, il Paese sarà più vulnerabile a fronte di inondazioni sempre più frequenti. Quest'anno, Trinidad e Tobago ha visto una quantità di allagamenti senza precedenti che hanno portato alla distruzione di carreggiate e proprietà in comunità che vanno da St. Anns [7], nel nord, a Penal [8], verso sud.

Ad aggiungere urgenza alla crisi, l'ultimo resoconto di valutazione [9] del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico [10] (IPCC) indica la forte probabilità di ulteriori perdite e danni nell'immedaito futuro. I dati segnalano chiaramente come limitare il riscaldamento globale a 1.5° C sarebbe impossibile senza “immediate e rapide riduzioni di emissioni di gas serra su vasta scala”. Ma Colin Young, direttore esecutivo del Centro per il Cambiamento Climatico della Comunità Caraibica (CCCCC), che ha parlato con Global Voices tramite Zoom, dice che questo resoconto sarebbe il più grande vantaggio che la regione può trarre dal COP26: “Abbiamo fatto la nostra parte in termini di mitigazione, ma abbiamo bisogno che i grandi colossi delle emissioni facciano di più.”

Per fornire un po’ di contesto, i Caraibi sono responsabili di meno dell'un percento [10] delle emissioni globali di gas serra, mentre le nazioni del G20 sono responsabili all'incirca dell'80% [11]. Young sostiene che questa è la priorità massima della regione: “il risultato della COP deve essere l'ambizione condivisa a livello globale di mantenere l'obiettivo degli 1.5° C a portata di mano. Questo è il primo risultato a cui ambire adesso.”

Gli attivisti della regione si sono riuniti davanti a questo messaggio attraverso il sito web di una campagna chiamata “1.5 per sopravvivere [12]” — una volta entrati nel sito si viene accolti da vari ritratti di giovani ragazze dei Caraibi sommerse dal livello sempre crescente dei mari: le loro mani spuntano al di sopra dell'acqua in un gesto che indica i numeri uno e cinque. I creatori, Panos Caribbean [13], si riferiscono al cambiamento climatico come ad una “minaccia esistenziale” e, con la COP26 in corso, hanno utilizzato questa campagna per dimostrare ferventemente quanto questo sia vero. La verità è che i Caraibi hanno anche bisogno di preparasi ad affrontare inevitabili cambiamenti, ed è per questo che Young ha indicato che la seconda grande priorità della regione alla COP26 è di assicurarsi dei finanziamenti per il clima per permettere tali adattamenti.

Secondo la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, quando si parla di addamenti climatici ci si riferisce ad aggiustamenti ecologici, sociali o economici in risposta a degli effetti provocati dal cambiamento climatico. Nei Caraibi questo può assumere forme diverse a seconda delle specifiche necessità di ciascuna isola. Per esempio, un'isola come Dominica, che si trova in una zona fortemente colpita dagli uragani, avrà bisogno di fortificare le infrastruttire, mentre Trinidad e Tobago dovrà considerare come proteggere le terre bonificate dalle inondazioni e dall'erosione costiera [14].

Alla COP del 2009 di Copenhagen [15], le nazioni più ricche hanno promesso di destinare  100 miliardi di dollari all'anno in finanziamenti climatici. Secondo l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD), comunque, quella promessa non è stata rispettata. Le stime di settembre hanno mostrato che i finanziamenti per il clima nel 2019 hanno mancato [16] l'obiettivo di 20 miliardi di dollari.

Young dice che non c'è alcuna scusa perchè “anche prima della COVID, il ritmo a cui venivano consegnati i finanziamenti era subottimale.” Egli afferma anche che era ormai giunta l'ora che i paesi più sviluppati tenessero fede alle loro promesse e che la COP26 è l'occazione giusta per metterli davanti a tale evidenza. La terza area d'interesse che Young ha indicato per la regione riguarda la finalizzazione del regolamento di Parigi, che è necesaria per la totale implementazioen degli Accordi di Parigi [17]. Il capitolo ancora in sospeso del regolamento affronta questioni di trasparenza — come fanno i Paesi a fornire un resoconto dei propri progressi?

In un'intervista telefonica con Global Voices, il consulente ambientale con base a Trinidad e Tobago, Ryan Assiu, ha spiegato che, “Anche se i partiti si stanno impegnando a diventare a emissioni zero o dicono che implementeranno certe misure, senza un adeguato sistema per rendicontare con trasparenza tali progressi, è impossibile prevedere se raggiungeremo veramente l'obiettivo delle zero emissioni entro il 2050.”

Le negoziazioni della COP26 [18] [it] sono iniziate il 31 ottobre a Glasgow, Scozia, e continueranno fino al 12 Novembre.