‘Siamo abituati alla guerra': la vita di una famiglia ucraina di frontiera

Svitlana and Oleksiy Savkevych. Image courtesy of Democratic Governance East, USAID Ukraine, used with permission.

Svitlana e Oleksiy Savkevych. Foto per concessione di Democratic Governance East, USAID Ukraine.

Il seguente articolo [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] di Tetiana Bezruk è stato pubblicato su OpenDemocracy il 18 febbraio 2022. Viene qui ripubblicato come parte di un accordo di condivisione dei contenuti e modificato secondo lo stile di Global Voices. 

Il palazzo dove abito a Kiev è in periferia, vicino a una pineta. Non c'è la metro in questa zona. Ciò vuol dire che non c'è il “principale rifugio antiaereo”, come lo chiama il sindaco Vitaliy Klichko.

La nostra vita non è cambiata di molto nelle ultime due settimane, sia nel mio quartiere sia nel centro città, rispetto a novembre e dicembre scorsi.

L'unica cosa davvero diversa è che tutti i miei amici si chiedono se la Russia invaderà l'Ucraina. Per questo alcuni si sono iscritti a unità di difesa locale o a corsi di primo soccorso, mentre altri hanno portato i figli via dalla città.

“La Russia non ha bisogno di invadere Kiev per via diretta; può inventarsi qualche altra cosa”, ha suggerito uno dei miei colleghi.

A dirla tutta, io e il mio collega avevamo deciso che se le reti telefoniche e internet si fossero interrotti il 16 febbraio, il giorno in cui i media internazionali dicevano che l'invasione russa sarebbe cominciata, ci saremmo incontrati in uno dei cinema della città alle quattro. Alla fine non ci siamo dovuti incontrare.

Ma quando gli abitanti di Kiev hanno cominciato a preparare delle valigie di emergenza e i giornalisti stranieri sono tornati ancora una volta in Ucraina, mi sono ricordata di due conoscenti – Svitlana e Oleksiy Savkevych, una coppia che vive coi figli nella cittadina di Avdiivka nell'Ucraina dell'est, nella periferia della zona occupata di Donetsk.

Oleksiy è un traduttore freelance. È nato e cresciuto a Donetsk, dove si è laureato all'università. Ha conosciuto sua moglie Svitlana quand'era studente. Nel 2001, i due si sono sposati e si sono trasferiti in una villetta a Avdiivka. C'era un tram che percorreva i pochi chilometri dalla città a Donetsk. Fino al 2014, Oleksiy aveva creduto che la sua cittadina sarebbe alla fine diventata un distretto amministrativo di Donetsk. Avdiivka era già nota come un suo sobborgo e piaceva molto agli studenti e ai lavoratori.

Parlo con Oleksiy su Zoom. Lui è a Avdiivka, io a Kiev. Sullo schermo vedo che i festoni di capodanno sono ancora appesi nella casa dei Savkevych. Oleksiy sta seduto davanti a una finestra da cui, mi dice, vede un edificio a più piani – e dove nel 2014 i militanti pro-Russia avevano stabilito il primo posto di blocco della città.

Vivere in attesa del pericolo

“A dire la verità, non so che dire” mi dice Oleksiy. “Gli abitanti delle città di frontiera sono già abituati a questa situazione. Non è la prima volta che viviamo in attesa del pericolo.”

Per Oleksiy, la guerra è cominciata quando i militari russi, i cosiddetti “omini verdi”-  soldati mascherati in uniformi militari prive di identificazione – sono arrivati in Crimea e l'hanno occupata nel 2014. Allora aveva pensato che se l'annessione della Crimea era possibile, lo stesso sarebbe potuto succedere alle due regioni più a est dell'Ucraina: Donetsk e Lugansk nel Donbas [en, come i link seguenti]:

I’ve got used to the war, it’s even embarrassing for me to explain it to visitors to our city sometimes. We have a railway track nearby. Guests used to visit and ask: ‘How do you live here? You can hear the trains. How can you sleep with the noise?’ And now there are no trains, but there’s war. You get used to all the noises that become part of your life. People don’t understand this; it is difficult for them to understand how you can live with it.

Mi sono abituato alla guerra, a volte è quasi imbarazzante per me spiegarlo a chi visita la nostra città. Viviamo vicino ai binari del treno. Gli ospiti ci vengono a trovare e chiedono: ‘Come fate a vivere qui? Si sente il treno. Come riuscite a dormire con questo rumore?’ E ora che non ci sono più i treni, c'è la guerra. Ci si abitua a ogni tipo di rumore che diventa parte della propria vita. Le persone non capiscono; è difficile per loro comprendere come ci si può convivere.

Nella primavera del 2014 Oleksiy e la sua famiglia sono andati a trovare dei parenti a Ilovaisk, una città dall'altro lato di Donetsk, in cui ci sono stati poco dopo grandi conflitti – si ricorda di aver visto dei blocchi stradali anche allora. Poi ha visto dei militanti pro-Russia in un posto di blocco nella sua via a Avdiivka.

“Allora ho realizzato che il posto di blocco era pericoloso e ho mandato mia moglie e i miei figli al mare” ha detto. Questo era successo a giugno 2014.

“Sono rimasto in città e li ho chiamati ogni giorno. ‘Beh, come va?’ mi chiedeva mia moglie e io rispondevo ‘No, Sveta, non mi sembra una buona idea ritornare. È ancora pericoloso'”.

La famiglia Savkevуch ha lasciato Avdiivka nel difficile inverno del 2015, quando la città era stata pesantemente bombardata. Si sono trasferiti in una città a 25 chilometri di distanza e hanno affittato una casa lì per due mesi. Oleksiy ammette che è stata una decisione difficile, ma necessaria. Altrimenti, mi racconta, avrebbe messo in pericolo i suoi figli. Quell'anno avevano studiato a distanza e, se la loro scuola non fosse riaperta nel 2016, la famiglia si sarebbe dovuta spostare verso Kharkiv, nel nord-est dell'Ucraina. Ma, una volta tornati a Avdiivka, Svitlana si era messa a capo del comitato genitori della scuola, e, con l'avvicinarsi del nuovo anno scolastico, aveva affrontato i problemi organizzativi della scuola. A Oleksiy era stato chiesto di fare da volontario.

“Ho capito in quel momento che la nostra città non mi aveva abbandonato.”

Poi era arrivato l'inverno del 2017, quando c'erano stati degli aspri conflitti a Avdiivka. “Se nel 2015 c'era un grande caos e la città era paralizzata, con un mio amico aiutavamo le poche organizzazioni che stavano portando i disabili via dalla città, nel 2017 era tutto più organizzato” mi dice.

Avdiivka, 23 July 2017. Image by OSCE/Mariia Aleksevych, CC BY-NC-ND 2.0.

Avdiivka, 23 luglio 2017. Immagine di OSCE/Mariia Aleksevych su Flickr, CC BY-NC-ND 2.0.

“È stato un altro inverno ‘caldo’, ma forse solo per una settimana o due” si ricorda, aggiungendo che a quel tempo la sua famiglia non aveva pensato di andarsene per via dei conflitti.

Mentre parlo con Oleksiy, mi rendo conto che usa l'età dei figli per calcolare gli anni di guerra. “Era in quel periodo, sì, perché i bambini erano più piccoli” oppure “Beh, è più recente, perché i bambini erano più grandi.”

Oleksiy mi racconta che non ha mai avuto una conversazione coi suoi bambini su cosa sia la guerra.

I remember, at the end of May 2014, I could not get home [from Donetsk] by bus because the road to Avdiivka was blocked. And I went on foot. I remember walking along a new, deserted road that had been laid from Donetsk to [the nearby town of] Svyatohirsk. I don’t think it will ever be restored. And I looked along the road and saw a shot-up car. I come home to Avdiivka, and there’s a contrast right in front of me: my children, who were younger then, playing war.

Mi ricordo, alla fine di maggio 2014, non potevo tornare a casa [da Donetsk] col bus perché la strada per Avdiivka era bloccata. Allora sono tornato a piedi. Mi ricordo di aver camminato su una nuova strada deserta che era stata costruita da Donetsk fino alla città di Svyatohirsk. Non penso che sarà mai più risistemata. Mi ero guardato intorno e avevo visto una macchinata distrutta dai proiettili. Ero tornato a Avdiivka e davanti ai miei occhi c'era un contrasto: i miei bambini, ancora piccoli, che giocavano alla guerra.

Visto che i suoi bambini sono sempre stati con degli adulti, mi racconta Oleksiy, lui e sua moglie non hanno mai spiegato loro cosa fare durante un bombardamento.

“Quando c'era troppo rumore di mattina, decidevamo tutti insieme cosa fare. Un paio di volte, quando [i bombardamenti] erano durati a lungo, abbiamo dormito in cantina; era molto umido. E altri giorni, quando sentivamo che era pericoloso, sceglievamo la zona più sicura secondo noi, il corridoio, dove non ci sono finestre” mi spiega.

Oleksiy si ricorda i suoni che sentiva durante i bombardamenti. “Si sentiva un fischio forte, che mi ricordavo dal 2015… Questo significava che il bombardamento era vicino. Non era sempre possibile capire da dove venivano.”

La vita quotidiana continua

Stavolta Oleksiy ammette che la sua famiglia non ha preparato zaini di emergenza o cose del genere. Non è cambiato niente: i bambini vanno a scuola; Svitlana lavora in biblioteca; Oleksiy lavora come traduttore freelance. Mi racconta che la città sta organizzando un festival di arte quest'estate, Avdiivka FM, che si terrà per la quinta volta dal 2018.

It’s not like we get up every day and think [that the Russian army is going to capture Avdiivka]… Firstly, we don’t hear [firing]. But nothing has changed so far.

However, more journalists have begun to come to the city. And we get more questions like: what will you do if Avdiivka is suddenly captured? The answer: leave, of course.

Non è che ci svegliamo ogni giorno e pensiamo [che l'esercito russo invaderà Avdiivka]… Non sentiamo gli spari. Niente è cambiato finora.
Però più giornalisti sono cominciati a venire in città E ci fanno domande tipo: cosa farete se Avdiivka verrà invasa? La risposta è che ce ne andremo, ovviamente.

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