La curva dei contagi si appiattisce? Il rischio di autoritarismo digitale aumenta con la COVID-19

Immagine di Etienne Girardet utilizzata sotto licenza Unsplash.

La pandemia da coronavirus ha incoraggiato i vari Stati ad utilizzare strumenti digitali per monitorare il diffondersi del virus e sorvegliare i dati sanitari pubblici. L’espansione statale nell’accesso e nel controllo delle piattaforme digitali è velocemente diventata la nuova normalità, che non ha incontrato particolari obiezioni a causa dell’ansia legata alla pandemia. Nonostante l’espansione fosse una strategia per “appiattire la curva”, questa sta portando con sé il rischio di autoritarismo digitale, dato che i governi insistono nel voler intensificare le proprie capacità di controllo digitale.

Uno dei rischi che ci troviamo a fronteggiare è quello di una sorveglianza tecnologica a guida statale. A prescindere dalla tipologia di regime, gli Stati hanno utilizzato svariati strumenti di sorveglianza durante la pandemia. Ad esempio, i dipartimenti di polizia di alcuni Stati, come California, Florida e New Jersey hanno utilizzato dei droni per osservare le persone e, quando necessario [en, come tutti i link successivi], intimare loro il rispetto delle regole sul distanziamento fisico. In maniera simile, il governo israeliano ha lanciato un’app per il tracciamento dei contatti chiamata HaMagen (Lo Scudo) per monitorare laddove gli utenti fossero venuti a contatto con persone risultate positive al COVID-19. Nonostante i cittadini siano diventati fruitori volontari di queste tecnologie per la propria salute, gli stessi hanno inconsapevolmente aperto la strada a violazioni dei diritti umani.

La motivazione principale all’aumento della sorveglianza statale era quella di contrastare efficacemente la pandemia e riuscire a salvare vite umane. Eppure, molti Stati non sembrano entusiasti all’idea di dover abbandonare tali strumenti digitali, anche ora che la pandemia è agli sgoccioli. Nonostante ciò, c’è la determinazione a mantenere alti livelli di sorveglianza col pretesto della sicurezza nazionale o in previsione di future pandemie. In ogni caso, a fronte dell’incremento di sorveglianza statale dovremmo discutere attentamente il rischio di autoritarismo digitale ed il possibile uso di tecnologie di sorveglianza per silenziare gli oppositori politici ed opprimere le minoranze, tramite violazioni della privacy. Ad esempio, le sofisticate tecnologie di tracciamento dei contatti utilizzate dalla Corea del Sud, che prevedono l’utilizzo di telecamere di sorveglianza, localizzazione dei telefoni cellulari ed acquisti effettuabili solo con carta di credito, hanno rivelato informazioni personali dei pazienti, ad esempio la loro nazionalità. Questo ha suscitato preoccupazioni, in particolare tra le minoranze etniche, sottolineando come il rischio di tracciamento etnico su base tecnologica potrebbe aumentare le discriminazioni.

Nel 2020, esperti delle Nazioni Unite hanno diffuso un comunicato circa l’impatto della pandemia sulla privacy, ammonendo che “una sorveglianza onnipervasiva non è panacea della COVID-19.” Secondo il comunicato, l’uso pervasivo di tecnologie per il tracciamento dei contatti durante la pandemia ha aperto la strada a metodi di sorveglianza incontrollati in molti Paesi. Tale tendenza viene definita preoccupante all’interno dello stesso documento. Il comunicato delle Nazioni Unite sottolinea inoltre il bisogno di una regolamentazione legale per far sì che l’impiego di tecnologie di sorveglianza dei singoli Stati sia proporzionale alla situazione pandemica: “Se uno Stato decide che è necessario l’utilizzo di metodi di sorveglianza tecnologica in risposta alla pandemia mondiale di COVID-19, lo stesso dovrà assicurarsi del fatto che, avendo provveduto in maniera proporzionale a tali specifiche misure, ci sia una legge che esplicitamente ne regoli l’applicazione. La legge dovrà contenere misure di tutela che, se giudicate insufficienti, non potranno considerarsi adeguate ai sensi del diritto internazionale.”

Restrizioni d’accesso e censura sono altri due aspetti aggravati dallo scoppio della pandemia. Molti governi hanno limitato o bloccato l’accesso ad alcuni giornali online indipendenti con il pretesto di prevenire la diffusione di notizie false sul coronavirus. In molti Paesi, mentre le testate filogovernative continuavano a diffondere notizie false sulla pandemia, i governi arrestavano delle persone sulla base di false accuse di disinformazione. Ad esempio, il Vietnam ha intentato 654 procedimenti legali e sanzionato 146 persone, mentre la Cambogia ha arrestato più di 30 attivisti per aver diffuso notizie false durante i primi mesi del 2020. Le ricerche condotte dal Citizen Lab sottolineano la cooperazione di alcuni Stati con società tecnologiche, a scopo autoritario. Le ricerche del suddetto laboratorio sulla gestione social delle informazioni relative alla pandemia da parte del governo cinese mostrano come l’app cinese WeChat abbia censurato dei contenuti, comprese alcune critiche sulle politiche pandemiche adottate dal governo.

Sulla scia di questi avvenimenti, possiamo affermare che la repressione digitale ha raggiunto l’apice sia nelle democrazie che nelle non-democrazie con scarso rispetto per i diritti umani. Per fronteggiare la sorveglianza statale, il controllo e la censura abbiamo bisogno di un solido piano che ci restituisca i nostri diritti digitali, tramite lo sviluppo di politiche adeguate e regolamentazioni legali che proteggano tali diritti in caso di future crisi ed emergenze. Una strategia chiave per raggiungere questo scopo potrebbe essere una maggiore trasparenza politica.

Apertura e trasparenza dovrebbero essere due pilastri fondamentali del processo decisionale politico, a garanzia di affidabilità e fiducia tra le autorità ed i cittadini. Se garantissimo trasparenza all’interno dei processi decisionali, potremmo prevenire violazioni future prima ancora che queste accadano. Un’altra strategia potrebbe essere quella di migliorare l’alfabetizzazione tecnologica per aiutare i cittadini ad informarsi sui propri diritti digitali. Nonostante la rapida adozione di questi strumenti tecnologici, infatti, la maggior parte delle persone non ha una chiara comprensione dei propri diritti digitali, dei modi per rivendicarli o del livello di accesso statale a tali dati. Tale mancanza di informazioni sottolinea il bisogno di alfabetizzazione tecnologica per le persone di qualsiasi età e condizione sociale. A questo scopo le scuole, i centri di ricerca, le associazioni della società civile e i gruppi di volontariato giocherebbero un ruolo cruciale nell’organizzazione di attività formative ed eventi pubblici, nonché nella produzione di materiale educativo. Un maggior livello di alfabetizzazione tecnologica potrebbe inoltre generare consapevolezza su come opporsi e mitigare l’autoritarismo digitale tramite azioni civiche.


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