- Global Voices in Italiano - https://it.globalvoices.org -

Le donne trans nell'industria del sesso in Azerbaigian: è una scelta libera o solo l'illusione di una scelta?

Categorie: Asia centrale & Caucaso, Azerbaigian, Citizen Media, Diritti gay (LGBT), Diritti umani, Donne & Genere, Economia & Business, Governance, Istruzione, Lavoro, Politica, Salute, The Bridge, Pride 2022: Community resistance

Immagine via Arzu Geybullayeva

La vita delle donne trans in Azerbaigian è ardua e pericolosa. La loro piaga è quella di vivere costantemente con la paura delle loro famiglie, della società e dello stato. Sono private dei diritti fondamentali e non esistono praticamente meccanismi che offrano soluzioni legali, sociali o finanziarie.

Mi chiamo Vusala. Sono una donna trans azerbaigiana di 27 anni. A causa delle difficoltà finanziarie ho dovuto rimandare i miei studi alla fase della tesi finale.

È stata un'odissea angosciante sulla via per diventare me stessa. Attualmente è in corso la mia transizione di genere. Questo percorso è pieno di ostacoli, non solo per la persona che affronta la transizione ma anche per coloro che la circondano.  C'è l'impatto psicologico, e anche gli elevati costi finanziari. Per me, il percorso ha avuto inizio con la terapia ormonale, seguita da un intervento chirurgico di affermazione di genere e da importanti procedure estetiche.

I costi vanno da 100 manat azeri (58 dollari) e possono raggiungere 20.057 manat (11.764 dollari), ma spesso sono più elevati. Questo considerevole investimento richiede stabilità economica, ma in un paese dove le persone trans non hanno garanzie di impiego, i costi finanziari possono essere un intralcio per coloro che perseguono la riassegnazione chirurgica del genere. Ho pianificato l'inizio della mia terapia ormonale all'età di 16 anni, ma l'assenza di un impiego, la mancanza di medici che riconoscono il genere e i farmaci prescritti hanno causato un ritardo di nove anni.

Una volta che si intraprende il percorso di transizione di genere, ritardarlo è come assumere una piccola dose giornaliera di veleno. Questa condizione provoca disforia di genere [1] [en, come tutti i link successivi, salvo diverse indicazioni] nella persona. Nel mio caso, ho combattuto con la tendenza all'autodistruzione. La mia vita sociale ha cominciato ad andare in pezzi. Ho tenuto lontani i miei amici. Sapevo ciò che volevo, ma non avevo i soldi per farlo. Mi resi conto di quanto fosse grave l'impatto di tutto ciò su una persona. Decisi che, se avessi rinunciato a me stessa e avessi lavorato in un posto “normale” come volevano la società e la mia famiglia,  almeno avrei potuto risparmiare la somma iniziale necessaria per la prima fase della terapia.

Ma come trovare lavoro in un paese dove le donne trans hanno davvero poche alternative?

Spesso sono costrette al lavoro sessuale (sex work), a lavorare nei saloni di bellezza o a posticipare la transizione.

Dopo il diploma di scuola media, ho cominciato a fare musica. Scrivevo musica di genere alternativo e intrapresi il percorso di progettazione del suono. Dopo aver imparato alcuni dei programmi di base, cominciai a lavorare come sound designer freelance. Negli anni precedenti avevo lavorato negli studi di registrazione, ma questa volta avevo trovato un lavoro che mi avrebbe aiutato a risparmiare abbastanza per superare i sei mesi successivi.

Il lavoro era duro. Mi occupavo delle operazioni fiscali, del registratore di cassa, della pulizia e di molto altro. Il club si trovava in un quartiere la cui reputazione precedeva quella del locale stesso. I nostri clienti principali erano giovani che sprecavano la loro vita dedicandosi al crimine e uomini più anziani. Essere circondata dai loro stili di vita mi rendeva estremamente tesa.

Di notte avevo paura di tornare a casa. Spesso dovevo prendermi cura dei ragazzi svenuti per overdose nei bagni del club e affidarli ai parenti. Uno dei miei ultimi giorni di lavoro, scoppiò un incendio. Uno dei clienti abituali accoltellò un'altra persona, era minorenne e dovetti portarlo in ospedale. Mentre gridavo e lavavo via le tracce di sangue dalle mie mani, intravidi allo specchio l'immagine di me stessa piena d'odio. Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Com'è l'industria del sesso?

Ho scelto di non dedicarmi al lavoro sessuale perché ho sempre pensato che sia solo un altro modo di sfruttare le donne (volontario oppure obbligato). Il corpo è un tempio. Non è per tutti. Non può essere comprato o venduto per denaro. Per come la vedo io, il problema non è se il lavoro sessuale sia immorale, ma che le donne vengano sfruttate come conseguenza delle difficoltà finanziarie. Ma questi sono i miei principi, e non potevo semplicemente scendere a compromessi.

Alcuni non sono d'accordo, altri credono sia una scelta libera. In Azerbaigian, come ho detto prima, il lavoro sessuale è spesso l'unica alternativa per le donne trans che cercano un impiego. In quanto tale, è tutt'altro che una libera scelta.

Ciò che il femminismo neoliberale definisce “libera scelta” o “diritto di scelta” è solo una facciata per tenere la maggioranza sfruttata nell'ombra delle poche donne che scelgono volontariamente di lavorare nell'industria del sesso.

In paesi come l'Azerbaigian, dove le donne trans finiscono per fare le sex worker, la legalizzazione del lavoro sessuale è vista come la soluzione al problema. Infatti, può risolvere molti problemi, tra i quali l'arbitrarietà della polizia, gli arresti [2] illegali e le torture durante la detenzione [3]. Ma avere le leggi e applicarle sono due cose differenti, soprattutto nei paesi come il nostro, dove le leggi vengono applicate esclusivamente per iscritto.

Se la legalizzazione può risolvere i problemi delle sex worker cis (la donna cis è una donna che vive col sesso assegnatole alla nascita), per le donne trans non è abbastanza. Questo accade perché le donne cis possono trovare un altro lavoro al di là dell'industria del sesso, mentre le donne trans non hanno scelta.

La legalizzazione del lavoro sessuale priva le donne trans di un'occupazione alternativa. Se avessi potuto trovare un impiego in un qualsiasi altro settore quando ne avevo bisogno, non avrei subito così tanti traumi. Al contrario, avrei potuto essere più in salute, più felice e mentalmente stabile. Sfortunatamente, non sono né la prima né l'ultima donna trans a vivere tutto questo, perché i problemi di cui sto parlando non rientrano tra gli interessi dello stato e non sono rilevanti per la società civile. Oggi, praticamente nessuno afferma che le donne trans dovrebbero essere incluse nel mercato del lavoro.

La voce di coloro che dicono la propria suona come un sussurro, mentre la mobilitazione per la legalizzazione del lavoro sessuale diventa lo slogan dominante. Ci viene detto di aspettare gli esiti positivi della legalizzazione.

Ma non dovrebbe essere così.

Esistono modi per creare un mercato del lavoro inclusivo coinvolgendo le imprese private, i marchi internazionali in franchising, i media indipendenti e l'industria dell'intrattenimento. Organizzare corsi e partecipare alle gare d'appalto potrebbero aiutare il mercato del lavoro ad accogliere le donne trans. Le lezioni possono incentrarsi sulla creazione delle condizioni utili alle opportunità di lavoro da remoto come interior design, graphic design e altre. Se la priorità era risolvere i problemi occupazionali delle donne trans, queste idee avrebbero dovuto essere espresse a gran voce. Invece, il silenzio e l'inattività incombono mentre le sex worker trans passano le loro giornate a vivere nel pericolo, nella paura e nella sofferenza. Quando Nuray, donna trans, è stata uccisa [4] [it], ciò che preoccupava le sex worker trans come lei non era la legalizzazione del lavoro sessuale, bensì se sarebbero riuscite a vivere un altro giorno.

È contro questa cruda realtà che decine di donne trans abbandonano la propria identità perché non accettano di lavorare nell'industria del sesso e mettono fine alla loro vita o continuano a vivere nell'agonia e nella disperazione.

La vita che viviamo è un vuoto a due facce. Mai più, diciamo. Ora parliamo, alziamo la nostra voce. Qualcuno è pronto ad ascoltarci? Questo è il dilemma. Speriamo che ci ascoltiate.