Esperanto: può la lingua dell'idealismo fronteggiare la realtà?

Immagine della bandiera della lingua Esperanto. Fonte: Canva

Le lingue sono solitamente un mezzo per affermare l'identità ma ci pone anche davanti ad un dilemma irrisolto: un paradosso per il quale le lingue forniscono l'opportunità di comunicare ma funzionano solo all'interno di una dato luogo e gruppo di individui, ci distanzia così gli uni dagli altri.  

L’ esperanto, a sua volta, cerca di oltrepassare questo limite diventando una vera scappatoia che funzioni per tutte le aree geografiche e demografiche allo stesso modo. Nonostante però esperanto si serva dell'idealismo, c'è comunque un bisogno di istituire questa lingua all'interno di questioni pratiche. La sua pretesa di neutralità presenta i suoi limiti quando si ritrova faccia a faccia con le realtà sociali e politiche.

Eppure, cos'è l'esperanto? L'esperanto è una delle tante lingue artificiali inventata in numerose parti del mondo [es, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] che ha avuto un successo notevole. E’ stata creata nel 1887 da Ludwik Zamenhof, il polacco di origine ebraica 12 volte nominato al premio Nobel per la Pace. Circa due milioni di persone in tutto il mondo parlano questa lingua, in particolare nel Messico. Esperantisti famosi furono Charlie Chaplin, J.R.R. Tolkien e Leo Tolstoy.

Il primo Congresso Mondiale di Esperanto a Boulogne-sur-Mer, Francia, 1905. Fonte: foto di dominio pubblico. 

Sono in molti a considerare l’ esperanto una lingua idealistica, come già suggerito nel titolo di questa intervista [es] condotta dal giornale messicano Reforma, con  Carlos Velazquillo e Mallely Martínez, presidente dell’ Associazione Esperanto del Messico  [es]. Questo forse è dovuto al fatto che l’ esperanto non è solo una lingua ma bensì una cultura [it] con diversi principi morali. Per questo l'esperanto va al di là di molte altre lingue, in quanto non è solo un mezzo per parlare e scrivere. Si potrebbe quindi affermare che si viene a conoscenza dei valori umanitari e pacifisti dell’ esperanto nel momento in cui s'impara la lingua stessa.

Nonostante l’ Esperantujo [es] (un mondo immaginario dove gli individui sono immersi nella cultura esperantista) includa differenti persone e relazioni sociali, non si può negare che sia presente una costante neutrale tra gli ideali esperantisti che ha contribuito a mantenere la posizione “passiva” della lingua all'interno di diversi fenomeni sociali. Ad esempio, questa lingua si oppone ad una sua commercializzazione, e ciò ha evitato che un determinato gruppo di persone potesse usarla per scopi di lucro.

D'altro canto, la comunità esperantista non si è posta nemmeno il problema della struttura che contrasta l'emergere dei valori di pace della lingua in questione. Sembrerebbe che, giustificando la matrice neutrale che la tiene legata ad un piano ideologico, fallisca poi  nell'opporre qualsiasi status di iniquità presente nel mondo in cui viviamo. A tal proposito, parafrasiamo le parole di Frantz Fanon [it] tratte dal suo libro ” I miserabili della terra” (1961), nel quale tratta proprio del neutralismo che viene sostenuto dai sostenitori della violenza in tempi di instabilità e di guerra.

Un ottimo esempio di come funziona la neutralità dell'esperanto ci è dato dall'associazione esperantista UEA (Universal Esperanto Association), criticata per il suo atteggiamento nei confronti dell’invasione militare dell'Ucraina da parte della Russia [en], per la quale hanno dichiarato . ” Non prendiamo posizioni di natura politica.” Per questo viene da chiedersi dove siano finiti gli ideali creati all'esperanto?

Se ci basassimo su quanto appena detto, ci ritroviamo al punto di partenza. Ciò che appare è che le relazioni sociali all'interno della comunità esperantista si concentrino su un dibattito sull'idealismo e raramente tengono conto delle realtà sociali nella quali la lingua esperanto stessa si trova, la realtà sociale delle problematiche attuali che il mondo sta vivendo.

Tuttavia, non è stato sempre così. Decine di anni fa, la comunità esperantista avrebbe preso posizione. Come direbbe María Isabel Nájera Sepúlveda, autrice di “Esperanto and Human Communication” muovendosi sul piano globale, la cultura esperantista si è aperta a molteplici modi di pensare e di esprimersi.  Ad esempio, dall'introduzione di posizioni antifasciste in paesi come la Spagna decine di anni fa al costante contributo attraverso libri, traduzioni e progetti audiovisivi o musicali, curati ancora oggi. 

Nonostante Esperanto sia il cavallo di Troia dei pacaj batalantoj (“attivisti della pace”), dovrebbe prendere parte al dibattito sulle questioni reali. Malgrado la nostra lingua sia lontana dall'essere la seconda lingua del mondo intero, possiamo ancora offrirle il potenziale per diventare una lingua comunicativa di vasta portata e approcciare le questioni da una prospettiva più umanistica. Ciò comporta denunciare le disumanità presenti nel mondo reale.

Allora, come faremo per superare questo e donare all'Esperanto tale potenziale? La risposta la si può trovare in un esempio che l'antropologo Iván Deance fornì durante il Congresso Nazionale dell’ Esperanto avuto luogo a Puebla, in Messico, nel 2018. Deance parlò di come l’ esperanto avesse aiutato i suoi studenti a comunicare meglio con la comunità indigena Totonaca poiché le sue caratteristiche linguistiche hanno agevolato la comprensione della loro lingua nativa e per questo funge da lingua ponte. Questo esempio è indicativo del progresso fatto sul piano multiculturale così come nella ricerca di un obiettivo essenziale: il dialogo interculturale è una necessità assoluta se si vogliono trovare soluzioni alle condizioni di vita ineguali presenti nelle nostre società. 

Da quanto emerge dal paragrafo precedente, non possiamo essere tutti antropologi ma possiamo intraprendere dei progetti. Far riferimento a queste questioni significa comunque fare un passo in avanti e essere coinvolti nelle relazioni sociali che si possono stabilire attraverso l'esperanto.

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