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Giovani donne indigene dal Messico e dal Marocco si uniscono per la COP27

Categorie: America Latina, Medio Oriente & Nord Africa, Marocco, Messico, Ambiente, Citizen Media, Diritti umani, Donne & Genere, Etnia, Indigeni, Politica, Sviluppo, Global greenwashing and COP27

Luz Edith Morales Jimenez a sinistra, Fatima Zahrae Taribi a destra. Foto usate con permesso.

Quando Fatima Zahrae Taribi, ventenne marocchina paladina della giustizia climatica, ha incontrato Luz Edith Morales Jimenez, una giovane difenditrice del territorio proveniente da Michoacán, in Messico, si è chiesta come potessero comunicare. Zahrae parla francese, arabo e inglese, e Morales parla spagnolo e Purépecha [1] [it], una lingua indigena della sua regione. Tuttavia, quando si sono incontrate in un campeggio per il clima in Tunisia prima della COP27 [2] [en, come tutti i link successivi, salvo diverse indicazioni], la conferenza annuale mondiale delle Nazioni Unite su clima e ambiente, si sono capite senza aver bisogno di parole.

Su Instagram, Zahrae ha detto a Global Voices: “La cosa strana è che io non parlo spagnolo e loro non parlavano inglese, quindi abbiamo dovuto trovare un modo per comunicare. Come dice il proverbio, i fatti parlano più delle parole, e con essi la nostra unica opzione era fare qualcosa insieme e parlare attraverso i nostri occhi e le nostre emozioni. Non posso credere che abbiamo comunicato a un livello così profondo senza nessuna parola.”

Anche se l'Oceano Atlantico separa queste due giovani donne di origine indigena differente, hanno subito effetti analoghi per via del colonialismo, dell'esproprio delle terre e del cambiamento climatico.

Nel 2017, la polizia messicana sparò e uccise il padre di Morales, un indigeno Purépecha che cercava di proteggere i territori degli avi da progetti di sviluppo invasivo che avrebbero abbattuto antiche foreste per la monocoltura dell'avocado. Furono uccise altre tre persone e 10 furono torturate. Eppure, a distanza di cinque anni, le autorità non si sono occupate del caso. Da allora, sua figlia ha lottato [3] [es] per la giustizia.

Donne del Sud globale si sono incontrate al campeggio per la giustizia climatica in Tunisia a settembre 2022.

Zahrae, invece, proviene da una lunga discendenza di indigeni marocchini di etnia Amazigh [4], che parlano la propria lingua ma che hanno subito [5] politiche discriminatorie affinché aderissero al “panarabismo [6].”

Per gli indigeni Amazigh, rispondere alle difficoltà poste dal cambiamento climatico potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte [7] per intere comunità.

Il ricorso a metodi di agricoltura industriale con un uso intensivo di acqua [8] ha reso più evidenti le limitate risorse idriche della nazione. Mentre l'insicurezza alimentare e la carenza d'acqua diventano più frequenti [9], le autorità faticano a trovare soluzioni creative, il che è particolarmente complicato nelle regioni del Marocco dove le popolazioni indigene sono legate al territorio.

I popoli Amazigh devono far fronte a difficoltà come tassi di povertà superiori alla media [10] e pregiudizi, insieme a sfide ambientali più ovvie come la conservazione delle foreste, mentre si intensifica la siccità strutturale [11] in tutto il Maghreb, nel Sahel e oltre in seguito alla crisi climatica.

Il nonno di Zahrae è stato custode del territorio e ha dedicato la sua vita alla difesa del diritto del popolo ad avere la propria terra dai coloni francesi. Zahrae ne ha raccolto il testimone per continuare a difendere la terra dopo anni di peggioramento della siccità.

“Penso a me stessa come a una prosecuzione della sua anima, perché proteggo il territorio da un altro nemico: il cambiamento climatico”, ha detto Zahrae.

La COP27 a Sharm El Sheikh

Le due giovani donne si sono incontrate all'inizio di quest'anno al Climate Justice, il campeggio per la giustizia climatica [12] in Tunisia, e si sono ricongiunte alla COP27 che si tiene a Sharm-El-Sheik, in Egitto, dal 6 al 18 novembre.

La COP è la più grande conferenza globale sul clima delle Nazioni Unite, che riunisce capi di Stato, organizzazioni non-profit, leader d'impresa e attivisti per intraprendere azioni verso il raggiungimento degli obiettivi climatici collettivi come concordato nell'Accordo di Parigi del 2015 [13].

La conferenza di quest'anno, COP27, riunisce oltre 190 paesi sullo sfondo della crisi globale. [14] Il costo degli alimenti e dell'energia è ai massimi storici come conseguenza degli effetti del COVID-19 e dell’invasione dell'Ucraina da parte della Russia [15], e quasi ogni regione del pianeta sta subendo impressionanti catastrofi climatiche, incluse pioggia record, caldo, incendi e tempeste.

I principali obiettivi della COP27 includono [16] lo sviluppo di piani finanziari per affrontare il cambiamento climatico e abbassare la temperatura globale almeno di 1,5°C attraverso le riduzioni delle emissioni di gas serra.

Il ruolo delle popolazioni indigene e l'onere di mitigare il cambiamento climatico

Le popolazioni indigene spesso pagano a caro prezzo la loro incrollabile dedizione all'ambiente. Per Zahrae e Morales, il cambiamento climatico è il sintomo dei problemi strutturali in corso. Entrambe fanno fronte a “razzismo, violenza di genere, estrattivismo [17] e morte imposta”, dice Morales su WhatsApp.

“Le comunità indigene sono sempre le uniche a preservare la maggior parte della diversità esistente sul pianeta, senza aspettarsi niente in cambio. Siamo resistenze viventi sopravvissute a tutti i megaprogetti delle grandi città fin dai tempi antichi; siamo solo noi a dare la vita e a salvaguardare tutto ciò che resta della natura”, continua. Chiede che i leader mantengano le promesse nei confronti dei popoli indigeni.

Più dell'80% della biodiversità del mondo è protetta [18] dalle popolazioni indigene, nonostante la loro quota di popolazione stimata al 5%. La biodiversità gioca un ruolo cruciale nel mitigare [19] il cambiamento climatico e assicurare la sopravvivenza umana. Tuttavia, l'attuale impegno di queste popolazioni per il territorio e per l'ecosistema spesso comporta un prezzo elevato.

In America Latina, i difensori del territorio, spesso indigeni [20] [es], vengono uccisi di frequente. Secondo il report [21] più recente dell'organizzazione non-profit Global Witness, 54 difensori del territorio e dell'ambiente hanno perso la vita in Messico nel 2021. “Il Messico era il paese con il più alto numero registrato di uccisioni, con i difensori dell'ambiente uccisi ogni mese, per un totale di 54 morti nel 2021 rispetto ai 30 dell'anno precedente”.

Molti altri vengono perseguitati, criminalizzati e intimiditi dal governo, dalle imprese e da altre autorità. Sono a rischio [22] soprattutto quando si oppongono all'attività mineraria e ai megaprogetti di energia rinnovabile (come enormi parchi eolici o centrali idroelettriche), monocolture industriali e altri progetti pubblici o privati che minacciano le loro comunità, le foreste e le risorse idriche.

In Nordafrica e nel Medio Oriente, la sfida di far sentire la propria voce a favore dell'ambiente e del clima spesso è accompagnata dal rischio di essere imprigionati o fatti scomparire con la forza. Per esempio in Egitto, dove si svolge la conferenza, si stima che dietro le sbarre ci siano 60.000 prigionieri politici [23]. Il paese è stato accusato [24] di impedire alle associazioni ambientaliste [25] di condurre politiche indipendenti, attività di sensibilizzazione e inchieste sul campo necessarie per la salvaguardia dell'ambiente naturale della nazione. 

Nonostante abbiano contribuito in misura minore al riscaldamento globale e al degrado ambientale, gli indigeni e altre popolazioni storicamente colonizzate ed emarginate agiscono in prima linea per quanto riguarda gli effetti del cambiamento climatico. I difensori usano il termine “giustizia climatica [26]” cercando di rettificare questo squilibrio. Il livello degli oceani si sta innalzando. Inquinamento, ondate di calore estreme e siccità sono un rischio per la salute e per le coltivazioni.

Le popolazioni locali di entrambe le regioni sottolineano anche l’accaparramento delle risorse idriche [27] per scopi politici o commerciali, con conseguenti conflitti. Le donne [28] in particolare sono a rischio di vulnerabilità e violenza per colpa del cambiamento climatico. 

“Milpamérica resiste” può essere liberamente tradotto come “L'America del mais resiste”, in riferimento alle popolazioni indigene. Il banner si traduce come “La cura della terra, siamo l'acqua che spegne la febbre della Madre Terra.”

Questi sono alcuni fattori che spingono Zahrae a creare un ambiente più sicuro per la sensibilizzazione climatica. “Il mio primo passo era trovare dei modi per renderla accessibile, giusta e sicura per coloro che si battono per la causa in cui credono.” Zaharae ha fondato Moroccan Youth for Change [29], una comunità dove i giovani marocchini possono incontrarsi e parlare dei problemi che stanno affrontando, come il cambiamento climatico.

Morales, da parte sua, è attiva in Futuros Indígenas [30](Futuri Indigeni), una rete di attivisti indigeni e di giornalisti provenienti dal Messico e dall'America centrale che incoraggia le popolazioni indigene a condividere le proprie narrazioni sul cambiamento climatico.

Quando le viene chiesto in che modo le donne del Sud globale possano fare leva sulle loro esperienze simili, Morales afferma: “Ho sempre creduto che l'unità fa la forza. Possiamo trarre vantaggio dalle nostre crisi condivise per supportarci l'un l'altro.”

Per Zahrae, incontrare Morales e altri giovani attivisti climatici è stato fondamentale. “Grazie a queste persone, la mia speranza e la mia fiducia nell'umanità sono state ripristinate e adesso sono in grado di affrontare le sfide future con il sorriso sulla faccia e la serenità nel cuore.”