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Il greenwashing sistemico in Egitto sta sabotando la COP27

Categorie: Asia meridionale, Medio Oriente & Nord Africa, Egitto, India, Ambiente, Censorship, Citizen Media, Diritti umani, Governance, Libertà d'espressione, Protesta, Relazioni internazionali, Global greenwashing and COP27

Immagine concessa da Sydney Allen e Wikipedia. (CC0)

La più grande conferenza internazionale sui cambiamenti climatici, COP27 [1] [en, come tutti i link successivi, salvo diversa segnalazione], è iniziata a Sharm El Sheikh, in Egitto, il 6 novembre. Migliaia di ambientalisti, politici, scienziati e azionisti da tutto il mondo si riuniranno in Egitto per assistere al vertice, anche se, in particolare, solo pochi egiziani saranno presenti, poiché il governo impedisce la partecipazione ad attivisti ed impiegati della società civile locale.

Azza Soliman, direttrice del Centro per l’Assistenza Legale delle Donne Egiziane (CEWLA in inglese), è una delle attiviste escluse dall’evento dell’anno. Lei e la sua squadra avevano presentato gli effetti del cambiamento climatico sulle donne egiziane, durante la conferenza COP26 dello scorso anno a Glasgow, nel Regno Unito, ed erano pronte ad esporli durante l’imminente cerimonia. Come da lei dichiarato al notiziario Equal Times [2]:

“Hanno detto no, senza aggiungere altro. Non hanno fornito nessuna spiegazione sul loro rifiuto. Solo un semplice ‘no.’ Ecco come lo Stato ha trattato le ONG prima della COP27.”

Lei e la sua squadra sono tra le centinaia di egiziani impegnati nelle ONG come impiegati, attivisti ed ambientalisti che non sono stati ammessi ad assistere alla conferenza COP27. Eppure, anche per coloro che non sono stati esclusi direttamente, il governo sta creando degli ostacoli [3] come riportato da alcuni osservatori ambientali: requisiti per la partecipazione poco trasparenti e procedure di rilascio del visto poco chiare, che stanno facendo desistere attivisti locali ed internazionali dal partecipare.

Secondo l’organizzazione Human Rights Watch [4] (HRW), gli ufficiali egiziani hanno imposto “finanziamenti arbitrari, ostacoli alla ricerca e alla registrazione che hanno debilitato i gruppi ambientalisti locali, costringendo alcuni attivisti all’esilio.”

Alcuni attivisti [5]pensano che tali restrizioni facciano parte di una più vasta strategia di greenwashing [6] [it] messa in atto per migliorare la propria reputazione internazionale per quanto riguarda diritti umani e questioni ambientali, senza però compiere alcun passo concreto verso pratiche sociali ed ambientali più sostenibili. Ad esempio, nel video seguente, registrato solo pochi giorni prima dell’inizio della conferenza, un cittadino condivide le immagini di un famoso parco pubblico del Cairo che viene distrutto dai bulldozer a causa di un progetto di sviluppo.

Gli attivisti affermano [2] che il governo stia tentando di silenziare quanti volessero approfittare dell’evento per far luce sugli errori dell’Egitto stesso, incluso gli oltre 60000 [10] impiegati della società civile, prigionieri politici e giornalisti attualmente detenuti nelle prigioni egiziane.

​​“Le autorità egiziane stanno mandado un chiaro messaggio alle ONG egiziane: quel che accade in Egitto deve essere tenuto nascosto al resto del mondo. Le ONG del resto del mondo possono accedere all’evento, ma le ONG egiziane non sono le benvenute,” afferma Soliman.

Inoltre, il governo ha ridotto a zero la libertà di espressione in vista dell’evento. Nel 2021, l’Egitto ha lanciato la propria Strategia Nazionale per i Diritti Umani [11] (NHRS in inglese), un piano per migliorare la situazione dei diritti umani nel Paese. Purtroppo, però, secondo l’Istituto per lo Studio dei Diritti Umani de Il Cairo (CIHRS [12] in inglese) ed altri gruppi di vigilanza [13], il governo utilizza tale piano più che altro per sorvolare sui propri abusi ed ha attualmente ridotto a zero le libertà civili e di attivismo nell’ultimo anno, ricorrendo ad abusi, arresti, torture, sparizioni forzate ed assassinii di quanti critichino o sfidino il regime.

Gli attivisti ambientali non sono stati esclusi da queste repressioni. Lo scorso 1 novembre, gli ufficiali hanno detenuto [14] l’attivista indiano Ajit Rajagopal per aver marciato da Il Cairo a Sharm El Sheikh per denunciare gli effetti della crisi climatica. Secondo quanto riferito [14], Rajagopal è stato detenuto per oltre 24 ore, senza cibo né acqua per tutta la durata dell’arresto. Alcuni utenti social hanno notato come questo incidente sottolinei il declino delle libertà di espressione in Egitto durante gli ultimi anni.

Alcuni report parlano di Sharm El Sheikh come di una città altamente militarizzata in vista della cerimonia, presumibilmente nel tentativo di “mettere in sicurezza” la conferenza. Un residente ha affermato al The Middle East Eye [17] (MEE), “La quantità di poliziotti e militari in città in questi giorni dà l’impressione di essere in una zona di guerra.”

Secondo quanto riportato dal MEE, i negozianti sono stati avvisati di dover chiudere le loro attività fino alla fine della conferenza, i cittadini vengono allontanati con la forza da Sharm El Sheikh, i pedoni lamentano un numero sempre maggiore di controlli a campione, in cui poliziotti in borghese ricercano persone nelle strade introducendosi nei loro cellulari. Una residente, Aya, è stata fermata e aggredita dai poliziotti; dice a MEE:

Escaping trauma, I have left Cairo in order not to witness such scenes of arrests and illegal harassment by the police. But it seems South Sinai will be militarised till the conference ends. This conference is just a big show of what the authorities want the foreigners to see: Egyptians living happily. But the reality is different.

Fuggendo dal trauma, ho lasciato Il Cairo per non dover fare da testimone a tali scene di arresti e aggressioni illegali da parte della polizia. Ma sembra che il sud del Sinai sarà militarizzato fino alla fine della conferenza. Questa conferenza è solo una grande messinscena di quello che le autorità vogliono mostrare agli stranieri: gli egiziani che vivono felicemente. Ma la realtà è differente.

Gli attivisti online hanno convocato una protesta pubblica antigovernativa per l’11 di novembre, in concomitanza con la COP27. La polizia ha già arrestato almeno 70 individui [18] connessi con l’organizzazione.

La società civile fa passi indietro

La società civile egiziana non ha preso alla leggera interdizioni e repressioni. Trentasei ONG hanno pubblicato uno statuto congiunto per chiedere al governo di cessare le repressioni sulle organizzazioni della società civile e sulle proteste pacifiche [19] in vista della COP27. L’Associazione per la Libertà di Pensiero e di Espressione (AFTE in inglese) hanno inoltre diffuso una dichiarazione [20] per domandare una società civile libera e aperta e il rilascio dei prigionieri politici dalle carceri egiziane.

Gruppi internazionali si sono uniti alle pressioni sul governo, ad esempio un corpo di esperti delle Nazioni Unite ha diffuso una dichiarazione [21], il 7 ottobre, per chiedere alle autorità egiziane di allentare le restrizioni di partecipazione di attivisti ed impiegati delle ONG locali in vista del vertice. La dichiarazione evidenzia come le repressioni governative abbiano raffreddato gli sforzi della società civile e fatto desistere molti dall’impegnarsi nella COP27:

Arrests and detention, NGO asset freezes and dissolutions and travel restrictions against human rights defenders have created a climate of fear for Egyptian civil society organisations to engage visibly at the COP27.

Arresti e detenzioni, congelamenti e dissoluzioni dei beni delle ONG, restrizioni a viaggi e spostamenti per i difensori dei diritti umani, messi in atto dal governo al fine di risultare visibilmente impegnato nella COP27, hanno creato un clima di paura nelle organizzazioni della società civile egiziana.

Nella dichiarazione, hanno inoltre espresso preoccupazione sul fatto che il governo egiziano potrebbe sabotare gli impiegati delle ONG locali ed internazionali: non divulgando le informazioni sulla partecipazione e i criteri di accesso, alzando i prezzi degli hotel, ponendo restrizioni alle proteste ed assemblee al di fuori della sede COP27 oppure ritardando i permessi di soggiorno per gli attivisti in arrivo dall’estero.

Oltre una dozzina di premi Nobel internazionali si sono uniti all’appello diffondendo una dichiarazione pubblica propria [22].

Al momento, il governo egiziano non sembra muoversi minimamente per accogliere le richieste.

Brusio internazionale

Molti attivisti ambientali e politici internazionali sono in difficoltà nel soppesare gli abusi sui diritti umani portati avanti dall’Egitto, ritenendo più urgente il raggiungimento degli obiettivi climatici durante il vertice.

Durante un’intervista al The Guardian [23], Richard Pearshouse, direttore ambientale dello Human Rights Watch, ha messo in guardia dal sottovalutare gli abusi dell’Egitto sui diritti umani in favore delle azioni ambientali.

“Sarebbe un errore madornale se i diplomatici che partecipano alla COP27 pensassero di dover andare sul leggero per quanto riguarda i diritti umani, per progredire nel discorso sulle tematiche ambientali. Non potremo raggiungere le azioni climatiche necessarie senza le pressioni della società civile, questo ci mostra la situazione in Egitto.”

Numerosi gruppi ambientalisti sono stati oggetto di critica per la loro tacita posizione sugli abusi egiziani – in particolare Greenpeace International. Stando alla segnalazione da parte del Guardian [24], Greenpeace ed altre organizzazioni ambientali presenti alla COP27 si sono opposte alla proposta degli attivisti egiziani per i diritti umani che chiedeva il rilascio dei prigionieri politici.

D’altra parte, alcuni attivisti ambientali tra cui Greta Thumberg [25] hanno deciso di evitare la COP27, definendola come un modo che ha la gente di potere di “catturare l’attenzione, utilizzando varie forme di greenwashing.”

Osservatori ed utenti social non sono rimasti in silenzio sul tema, notando la presenza di alcune delle più autorevoli personalità politiche all’evento di quest’anno della COP27.

Con la COP27 pronta ad iniziare nel giro di pochi giorni, non è ancora chiaro il modo in cui politici, attivisti e partecipanti potranno districarsi nel complicato panorama politico creato dal Paese che li ospita.