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La Regina Elisabetta II e il capitalismo britannico: il ruolo di figure retoriche ed elementi di disturbo

Categorie: Regno Unito (GB), Citizen Media, Idee, Politica, Relazioni internazionali, The Bridge

Processione da Buckingham Palace alla camera ardente della Regina Elisabetta II alla Westminster Hall. Foto [1] di Katie Chan (CC BY-SA 4.0 [2]) 

Mentre tutti noi guardiamo alla morte di Elisabetta II, considerando e riflettendo sul suo regno così lungo e stabile, il capitalismo britannico crolla [3] [en, come tutti i link successivi] sotto la totale inadeguatezza [4] di Liz Truss [5] e la sua banda di mutaforma del gabinetto conservatore [6]. Gli elementi di disturbo sociale presenti a questo evento culturale e politico così emotivo, nonostante fosse prevedibile ai più, sono stati manna dal cielo per i pezzi grossi ed i beneficiari del capitalismo moderno, in Gran Bretagna come all’estero. 

Ciò potrebbe risultare pericoloso per il benessere sociale della Gran Bretagna per molti mesi a venire, proprio mentre il mondo si prepara alla ripresa dalla COVID-19 e, chissà, anche dalla crisi in Ucraina. Siamo quindi al punto di seppellire i nostri problemi reali con nozioni di famiglia, continuità, fede e delicatezza della gerarchia sovrana, regalando ai Conservatori [7] un aiuto disinteressato per le prossime elezioni. Così, Martin Kettle del centro sinistra scrive sul The Guardian del 9 settembre [8] “Con la morte della Regina Elisabetta II a Balmoral, una nazione preparata ma nonostante questo scioccata si ritrova in un momento simile ed è importante che i nostri politici preoccupati e la nostra società civile ferita lo fronteggino il più serenamente e razionalmente possibile, perché questo evento avrà risonanza politica e costituzionale per gli anni a venire.” 

Se vogliamo essere felici e soddisfatti, come nazione, se vogliamo che il Commonwealth diventi davvero un bene comune, che possa fornire un grado maggiore di sicurezza e comprensione del nostro mondo così complesso, dovremmo fare l’opposto che permettere ai nostri parlamentari di nascondersi dietro il trauma civile, la cui portata dipenderà dalle esagerazioni dei media britannici. 

Il bisogno di stimolare a dovere la produttività, in modo da creare una politica estera più indipendente ed illuminata [9], nascosto dietro l’eredità ben costruita della regina, porterà alla continuità di stasi in cui l’unica innovazione proviene dal carattere del linguaggio insulso delle battaglie di personalità e dal peggioramento delle invettive, date dal fatto che i due maggiori partiti incontrano una difficoltà crescente nel divergere in modo creativo sulle principali traiettorie politiche. 

Suggerisco che figure retoriche e previsioni sulla fine del regno di Elisabetta II debbano necessariamente essere falsificate come segue: 

La regina come simbolo ed incarnazione della parola “unito” nel nome Regno Unito. Raramente negli ultimi 70 anni c’è stato un discorso ufficiale del Palazzo in cui non sia stata sottolineata la centralità dell’unità delle “quattro-in-una” isole britanniche. Con buona pace dello stato “apolitico” della regina, questo ha significato più che altro una posizione obliqua, per lei, non un punto fermo. Forse altri converranno con me sul fatto che la Scozia è stata la nazione favorita sotto il regno di Elisabetta II, e ci sono state varie ragioni per questo, inoltre Balmoral fin dai tempi di Vittoria ha avuto spesso funzione di luogo di ritiro della sovrana e dei familiari più prossimi.  Comunque, la prima retorica riguarda l’unità delle isole e l’indiscussa pace con la Repubblica d’Irlanda, che ha cementificato l’idea della “famiglia” vista come reame.

La regina vista come lo spirito e la presenza a capo del Commonwealth britannico. Dai termini utilizzati dalla regina e da azioni ed atteggiamenti da lei a lungo ripetuti, il Commonwealth ha esteso la nozione di “famiglia” dal mantenimento dell’unità tra le quattro “nazioni” del Regno Unito, al sostentamento dell’armamentario dei 14 “reami” del Commonwealth. Secondo la regina, a capo delle nazioni del Commonwealth c’era bisogno “di un’unica mente”, un modo di dire che il ruolo richiedeva una grande fede, oltre al requisito che la storia fosse riscritta nel nome di armonia e stabilità. Altro requisito era che la nazione ignorasse in generale le tensioni insidiose presenti all’interno della stessa famiglia reale.

La regina come simbolo della fede. Certo, Elisabetta II era anche Capo della Chiesa d’Inghilterra, ed ha nutrito una sincera fede religiosa per tutta la sua vita. Mi riferisco qui alla forte e, al tempo stesso, tenera natura del potere sociale dato da fede e credenze in generale, distinto da un potere più forte: quello acquisito per via elettorale o tramite meriti militari. La regina ha rappresentato la veridicità data dalla fede; in questo modo, avrebbe reso il mondo un posto migliore. Sebbene un intelletto più razionale riesca ad opporre all’idea del “Commonwealth come famiglia” storie dettagliate di schiavitù e colonialismo, questa stessa idea è rimasta intatta come una delle maggiori metafore della vita sociale britannica, a riprova del fatto che elementi estremamente inconciliabili possono comunque essere accettati dalla mente di milioni di persone nel corso degli anni. Ciò che suscita un grande interesse è se il pinnacolo della sovranità reale possa o meno mantenere la stessa funzione anche nelle mani di Re Carlo III. A quanti test della personalità contro questa figura dovremo assistere? 

Queste macro figure retoriche del nostro tempo poggiano su una robusta base di nozioni locali, così come una buona macroeconomia dipende da micro ipotesi di comportamento in risposta a stimoli economici. Perciò: 

La filosofia del comportamento sociale positivo è stato un aspetto estremamente significativo per tutta la durata del regno della Regina Elisabetta. Nonostante sia stata sfidata sia da ricorrenti crisi comportamentali all’interno della sua famiglia, estremamente esposta a livello mediatico, che da significativi destabilizzanti sociali come ad esempio la COVID-19, Elisabetta II ha dimostrato a tutti ed ogni singolo membro dell’élite britannica una rassicurante stabilità di valori culturali per un periodo lungo 70 anni; un equilibrio che è rimasto apolitico, seppur profondamente compromesso nell’ammorbidire posizioni estremiste sia nella destra che nella sinistra della società britannica. Le immagini della regina e della sua famiglia, i numerosi beni reali a partire da Buckingham Palace fino a Balmoral [10], le azioni ed i presupposti chiari e semplici della famiglia reale hanno subito cambiamenti minimi nonostante questo “annus horribilis [11]“. La regina è riuscita a mantenere sotto controllo l’inebriante commercializzazione delle vite dei suoi familiari più prossimi, la lotta alla COVID-19 e tutto il resto. Il potere di Buckingham Palace visto come pittoresca figura retorica rimarrà intatto per molti anni a venire, assicurato dalla presenza dei mezzi di comunicazione elettronici, entrati a far parte della vita domestica britannica a partire dai primissimi anni del suo regno. Alle 15:00, il messaggio di Natale [12] potrebbe passare direttamente dalla farcitura del tacchino natalizio. 

Fin dall’inizio, ho suggerito che queste figure retoriche siano più che di semplice passaggio. In maniera tutt’altro che accidentale, gli eventi importanti vengono diffusi come figure retoriche: l’efficacia di questa scelta è tale che questo fenomeno rappresenta la caratteristica più singolare al mondo fin dagli inizi del XX secolo. Il carattere insidioso del capitalismo di distrazione ed il modo in cui questo si è radicato all’interno di ogni discorso sono quasi certamente il risultato di forze agenti sia sulla domanda che sull’offerta informativa. In cima a questa lista troviamo sicuramente la semplicità ed il caos dilaganti nei mezzi d’informazione, in cui praticamente ogni cosa può diventare virale, anche la caduta di un cagnolino in una piscina. All’interno di questo nonsense aumentano la frequenza ed il predominio delle distrazioni sociali, anziché la considerazione e l’analisi di eventi e processi politici, sociali ed economici. 

Ma è bene ricordare il lato della domanda informativa. Governi inefficienti, sia dal punto di vista della maggioranza che dell’opposizione, richiedono distrazioni sociali essenzialmente benigne, coinvolgenti, relativamente semplici ed immediate, sufficientemente forti ed attendibili, in modo da mascherare la realtà economica e sociale. In questo contesto, non dovremmo essere sorpresi dal fatto che molte figure retoriche associate al regno di Elisabetta II non saranno incoraggiate ed utilizzate come elementi di rimodulazione di conformità ed accettazione. 

Perciò, ci sarebbero cose serie da dire riguardo la Regina Elisabetta II e la sua morte, ma la maggior parte di queste non verranno dette o prontamente dibattute nella routine culturale della società civile. 

La mia tesi è che queste figure retoriche, formalmente benigne, vengano prontamente trasformate in distrazioni utili alla cultura del capitalismo democratico. Nel Regno Unito ci sono pochi dubbi circa il fatto che i prossimi mesi saranno un periodo estremamente difficile, che potenzialmente potrà portare ad un periodo conflittuale, da una parte, nonché ad una critica più ponderata alle inefficienze del governo britannico, dall’altra. Sedendo sugli allori dei primissimi anni del regno della Regina Elisabetta II, la nazione rimane ad un posto molto alto nella classifica delle economie mondiali e agli occhi degli investitori stranieri, probabilmente la seconda o terza potenza militare in stretta alleanza con gli Stati Uniti, di gran lunga il più potente di tutti i sistemi: centro fondamentale di diplomazia, correttezza finanziaria e produzione culturale. Primo compito dell’odierno stile di governo britannico è identificarsi, tramite attività a lungo termine, con il lungo regno della regina, per quanto questo possa essere considerato come uno spreco di energie, nonché ancorare al sentimento nazionale odierno le figure retoriche sopra menzionate, in modo da dare continuità all’incontrastata posizione dominante delle distrazioni sociali. Il rischio è un continuo fallimento della società civile, consistente nel non saper questionare il governo sulla sua incapacità nel mantenere (se non accrescere) i mezzi con cui la nazione potrebbe crescere dal punto di vista sociale ed economico, in un periodo in cui il carattere globale di ripresa è ancora tutto da svelare.