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Fiorente movimento femminista in Azerbaigian: sfide e prospettive

Categorie: Asia centrale & Caucaso, Azerbaigian, Citizen Media, Diritti umani, Donne & Genere, Good News, Protesta, Storia

Immagine concessa da Markus Winkler [1]. Uso libero con licenza Unsplash [2].

In Azerbaigian, le attiviste femministe affrontano le pressioni delle autorità, l’odio e le persecuzioni di estranei dopo aver alzato la voce in favore di migliaia di donne che, sparse per il Paese, protestano contro la violenza domestica e i femminicidi.

Gulnara Mehdiyeva, attivista femminista azera, dichiara che essere un attivista di qualunque tipo nel suo Paese equivale ad avere un bersaglio sulla schiena, poiché coloro che decidono di difendere ideali progressisti diventano oggetto di controllo e persecuzioni. Dal 2014, Mehdiyeva ha partecipato in numerosi progetti ed iniziative in difesa dei diritti delle donne in Azerbaigian. Nel 2019, dopo aver partecipato ad una marcia femminista insieme ad altre donne, diventò vittima di persecuzione. La sua presenza online venne compromessa [3] [en, come tutti i link successivi, salvo diversa segnalazione] quando si vide attaccare tutti i canali social, compresa la sua casella di posta elettronica. Mehdiyeva scoprì il danno solo un anno dopo che glielo avevano causato: l’hacker aveva scaricato le sue informazioni personali, comprese foto, video e messaggi audio privati, che in seguito furono diffuse al pubblico [4]. L’obiettivo era umiliarla, danneggiare la sua credibilità e farle lasciare il lavoro da attivista. Ma non ha funzionato.

Dopo tre anni e molta determinazione, Mehdiyeva continua la sua lotta e non è sola.

Chi sono le femministe azere?

Mehdiyeva fa parte di un grande collettivo femminista, i cui membri si definiscono attivisti femministi.

Parte del suo lavoro consiste nel diffondere le notizie relative a tassi di femminicidio elevati, violenze domestiche, sessismo ed omofobia in Azerbaigian. Per questo, i membri del collettivo seguono ed assistono casi giudiziari, mostrano appoggio e diffondono notizie relative a donne che hanno subito violenza, molto spesso da parte dei loro stessi familiari. Ciò aiuta nell’assicurare un processo giudiziario giusto, spiega Mehdiyeva in un’intervista rilasciata a Fatima Karimova, giornalista di Mikroskop Media. Il collettivo educa le donne a conoscere i propri diritti, le aiuta a cercare aiuto legale in caso di bisogno e segue i casi giudiziari finché non viene fatta giustizia.

Il gruppo esprime le sue richieste attraverso progetti come «Fem-utopia [5],» [az] campagne mediatiche ed interviste. C’è molta ignoranza, per questo è importante la creazione di una coscienza pubblica sulla situazione dei diritti delle donne e sull’uguaglianza in Azerbaigian. Attraverso tali interviste ed articoli, le attiviste femministe cercano di creare una coscienza pubblica sull’argomento.

Certamente, non è un lavoro semplice. L’Azerbaigian non è tra i Paesi firmatari della Convenzione di Istanbul [6]. Inoltre, la legislazione esistente non contiene sufficienti meccanismi di protezione per le vittime di abusi, persecuzioni e violenze.

Gli organismi incaricati di far rispettare la legge, che spesso sono i primi ad intervenire in caso di violenza o persecuzioni contro una donna, sono ignoranti al rispetto. Le sopravvissute agli abusi raccontano di casi in cui gli ufficiali hanno sottovalutato le loro denunce, arrivando a sostenere che i loro mariti hanno il diritto di picchiarle. Non esiste nemmeno un database che registri i casi di violenza e abuso. La maggior parte dei dati è stata raccolta da gruppi singoli e mezzi di comunicazione. Nel 2020, Mikroskop Media ha pubblicato [7] [az] delle informazioni ottenute dai notiziari relativi alla delinquenza pubblicati da altri mezzi di comunicazione. Secondo tali dati, 184 donne hanno subito violenza nel 2019. Di queste, 54 sono state assassinate dai propri familiari e 130 hanno riportato varie lesioni [8].

Nel 2022, altri dati [9] pubblicati da Mikroskop Media contenevano informazioni sul numero di donne assassinate, malmenate o che hanno commesso suicidio nel 2021.

Allo stesso modo che Mehdiyeva, anche Narmin Shahmarzade ha subito attacchi online. Sono state fatte trapelare le sue conversazioni personali e le foto, inoltre il suo account Facebook è stato messo sotto attacco. Le foto e gli screenshot delle sue conversazioni personali circolavano in vari gruppi Telegram.

I troll online, che periodicamente tormentano le femministe sulle piattaforme social, le accusano di essere agenti internazionali, principalmente a causa dei loro finanziamenti, la maggior parte dei quali provenienti da organizzazioni e fondazioni femministe dell’Unione Europea.

La legislazione azera non prevede mezzi punitivi contro l’abuso e le persecuzioni, fisiche oppure online, contro le donne.

La pressione sociale peggiora quello che già di per sé è un ambiente lavorativo complicato, spiega Mehdiyeva.

«A volte dimentico di essere perseguitata dal Governo e dalle persone a cui non piace ciò che faccio come attivista. Vorrei scrivere qualcosa che sia una via di mezzo tra il serio e lo scherzoso come farebbe qualsiasi altra persona, ma poi penso che la mia pubblicazione verrà diffusa, copiata e ripubblicata dappertutto. Se fossi una persona comune, le mie pubblicazioni non attirerebbero l’attenzione di nessuno, però il mio essere un’attivista crea ulteriore risalto».

Ci sono poi da aggiungere le diffamazioni da parte dei mezzi di comunicazione. Secondo quanto riportato da Mehdiyeva, le piattaforme appartenenti al governo o affiliate ad esso sono solite tormentare membri del collettivo per danneggiare e denigrare la loro reputazione. Il collettivo e i suoi rappresentanti vengono presentati come una minaccia per le tradizioni e i valori del Paese e questo suscita indignazione pubblica.

In passato, la Polizia ha concretizzato degli attacchi ai danni di attiviste femministe diffondendo i loro indirizzi personali.

Secondo l’investigatrice azera Nisa Hajiyeva, la mancanza di educazione aggrava il problema. La maggior parte delle risorse accademiche sul tema sono disponibili solo in inglese. Per questo, è importante che le persone abbiano accesso alle informazioni e ai discorsi accademici nella loro lingua madre. Una delle iniziative di Mehdiyeva consiste nella creazione di una biblioteca fisica che contenga materiale di lettura in azero, turco e russo.

Finora, i tentativi di silenziare il gruppo non hanno dato risultati. Dal 2019, quando organizzarono la prima Marcia per la Giornata Internazionale delle Donne, l’8 marzo [10], ci furono concentrazioni e proteste in cui si chiedeva responsabilizzazione, giustizia e maggiore protezione per le donne. Altre campagne organizzate dal collettivo femminista chiedevano investigazioni più esaustive sui crimini commessi contro le donne. Nel febbraio del 2021 [11][it], alcune attiviste femministe organizzarono una protesta con la premessa «Il femminicidio è politico». La protesta ebbe luogo all’esterno di un edificio governativo ed esigeva un’investigazione su casi di donne brutalmente uccise, criticando inoltre il Comitato statale per la famiglia, la donna e l’infanzia per la sua mancanza di azione al riguardo. In quell’occasione, la Polizia intervenne per evitare che le femministe si riunissero in quel luogo [12] [az].

 

Breve storia del movimento femminista in Azerbaigian

Nella sua analisi, l’accademica azera Nurlana Jalil accenna [13] al fatto che, nonostante alcune ricerche indichino che «il femminismo in Azerbaigian nacque e si politicizzò tra il 1990 e il 2010», questo non è del tutto corretto. Jalil fornisce diverse motivazioni, tra cui il fatto che l’Azerbaigian non ebbe un movimento femminista genuino fino al 2019. Tutto ciò che esisteva prima era fortemente legato alla visione «nazionalista» di «creare una donna moderna e obbediente» e le «visioni della borghesia nazionale e degli illuminati sulla modernizzazione della donna».

Il lavoro sulle situazioni relazionate con i diritti delle donne acquisì popolarità dopo l’indipendenza dell’Azerbaigian, quando nacquero decine di organizzazioni e associazioni che si impegnano per i diritti della donna e por l’uguaglianza fra i generi. Al giorno d’oggi, delle oltre [14] [az] 3000 organizzazioni non governative registrate in Azerbaigian, più di cento [15] [az] lavorano per i diritti delle donne.

Tuttavia, tali organizzazioni ed iniziative hanno rifiutato di affiliarsi all’ideologia femminista. La maggior parte del loro lavoro si limita a svolgere corsi di formazione, organizzare tavole rotonde, dare informazioni sull’aborto selettivo e promuovere l’accesso all’educazione. Secondo quanto dichiarato [16] dall’autore Vahid Aliyev nel suo editoriale, ciò è dovuto al fatto che le donne dietro a queste organizzazioni ed iniziative percepiscono il femminismo come qualcosa di «controverso» e «maligno» oppure al fatto che, secondo la narrativa dominante nei principali mezzi di comunicazione statali, «il femminismo non ha nulla a che vedere con i diritti delle donne, ma solo con ‘l’essere lesbica’, ‘l’essere svergognata’, ‘l’essere immorale’ oppure ‘l’odiare il genere maschile’».

A differenza delle generazioni precedenti, questa visione è cambiata con l’ultima generazione di attiviste che non hanno paura di appoggiare pubblicamente il movimento femminista, definendosi apertamente come tali.

Il futuro del movimento femminista in Azerbaigian è ancora incerto. Comunque, quello che il collettivo ha raggiunto è innegabile. Rispetto a femminicidi ed altre ingiustizie verso le donne, il silenzio proveniente dalla paura non esiste più; il collettivo ha raggiunto l’obiettivo di attirare l’attenzione su questi argomenti, chiedendo che la gente li noti e che lo Stato prenda i dovuti provvedimenti.  Nonostante la resistenza, da parte dello Stato e della società, una cosa è chiara: l’Azerbaigian possiede un movimento femminista proprio, che non ha intenzione di fermarsi finché tutte le sue richieste non vengano accolte.