La regina Elisabetta II attraverso il prisma arabo

La regina Elisabetta II con il re Faisal dell'Iraq durante una visita ufficiale nel 1956. Stazione di Londra-Victoria. Screenshot da un video di British Pathé.

Questo articolo è scritto dall'autore ospite Nasser Rabbat, direttore del programma Aga Khan per l'architettura islamica del Massachusetts Institute of Technology (MIT).

La morte della regina Elisabetta II [en], l'8 settembre 2022, è rappresentata nei media occidentali come la fine di un'era. L'accanimento di questo mantra nei media è un'esagerazione, a dir poco, a parte forse per i ferventi realisti del Regno Unito e degli anglofili, principalmente ricchi cittadini del Commonwealth. Per il resto di noi, il significato della sua morte va da una pomposa distrazione, volutamente scagliata su molti giorni, al ricordo delle differenze tra il mondo di oggi e quello della sua ascesa al trono nel 1952 [it, come i link seguenti, salvo diversa indicazione], sottolineando quanto l'apparato reale britannico sia inedito e totalmente fuori fase.

Il primo richiamo è particolarmente toccante per un osservatore di origine araba come me, che naviga con agio i modi di pensare occidentali, ma anche immerso nella critica del loro insensato disprezzo delle altre prospettive non occidentali.

Più tragicamente, il regno di Elisabetta II coincide con il continuo smantellamento di tutti gli aspetti promettenti della modernità nel mondo arabo – dall'indipendenza politica alla prosperità economica, all'emancipazione e alla stabilità sociale.

Ovviamente Elisabetta II non è personalmente responsabile di questi incidenti, che dovrebbero essere attribuiti equamente e onestamente ai regimi e ai popoli arabi e alla loro gestione squilibrata delle sfide che hanno dovuto affrontare negli ultimi 70 anni. Ma la sua persona ha simboleggiato l'ordine mondiale coloniale che, sebbene in declino al suo arrivo [en], aveva già intrappolato non solo le popolazioni arabe, ma l'insieme dei paesi in via di sviluppo dell'emisfero sud, nella sua distribuzione estremamente ingiusta del potere, del sapere e della ricchezza. Gli attori sono cambiati molte volte, ma il dominio devastante della disuguaglianza globale è continuato, quasi indenne.

Sulle tracce della colonizzazione britannica in Medio Oriente

Una mappa anacronistica dell'Impero Britannico. I colori della leggenda sono spiegati in base ai loro numeri associati come segue: 1. Rosa: colonie detenute nel 1945 2. Arancio: Stati indipendenti membri del Commonwealth 3. Rosa circondata da arancio: colonie degli stati indipendenti del Commonwealth 4. Rosso scuro: Zone perdute nel 1920 5. Rosa chiaro: zone occupate durante la seconda guerra mondiale *6. Viola: Stati principeschi (in India) e altri Protettorati 7. Lavanda: zone perdute nel 1705 (Inghilterra soltanto) 8. Tratteggio: sfera d'influenza (clicca sull'immagine per una migliore risoluzione) 9. Salmone: aree dell'asse sconfitto occupate 1943-1955*154, CC BY-SA 3.0

L'ingerenza della Gran Bretagna nel Mashrak arabo è antica (il Maghreb è stato decisamente ceduto ai francesi).  Nel 1190, un lontano predecessore di Elisabetta II, Riccardo I (Cuor di Leone, regnò dal 1189-99) condusse la terza crociata in Sicilia, a Cipro e sulla costa della Palestina con risultati contrastanti che gli hanno però assicurato una fama eterna.

La successiva incursione militare nelle terre arabe avvenne nel 1801 quando gli inglesi sbarcarono in Egitto per costringere il ritiro dei francesi e ripristinare il dominio ottomano. I britannici ottennero enormi benefici economici e geopolitici dalle loro manovre intorno all’Impero Ottomano in rovina [en],  conquistando territori periferici come Aden, che passò sotto il regime della Compagnia britannica delle Indie orientali nel 1839 [en].

Ma l'ascesa di una dinastia modernista locale egiziana richiese un intervento urgente nel 1882 per assicurarsi sia i vantaggi finanziari che quelli di navigazione offerti dall'apertura del canale di Suez. Gli inglesi occuparono l'Egitto fino al 1954.

Successivamente, il Sudan, fu conquistato da un esercito congiunto anglo-egiziano nel 1898 [en].

Nel frattempo, la Gran Bretagna estese la sua egemonia coloniale anche agli emirati del Golfo, dal Kuwait all'Oman, legandoli con trattati che cancellarono efficacemente la loro indipendenza.

Alla fine della prima guerra mondiale, l'Impero Ottomano crollò e le potenze coloniali europee si precipitarono ad inghiottire le sue province arabe [en]. La Gran Bretagna, tradendo i suoi alleati arabi a cui era stato promesso uno Stato arabo indipendente, conquistò la maggior parte dei territori del Mashrak, in particolare l'Iraq e la Trans-Giordania, dove istituì due dinastie hashemite tributarie, e la Palestina, destinata ad essere spogliata del suo nome, della sua identità e del suo popolo.

Questo piano imperiale britannico, illustrato dall'assurda Dichiarazione Balfour del 1917 che prometteva ciò che era ancora la Palestina ottomana al popolo ebraico, si rivelò disastroso non solo per i palestinesi, che persero il loro paese dopo la creazione di Israele nel 1948, ma per tutta la regione araba. Si ruppero le relazioni territoriali tra l'Egitto e il Mashrak, soffocando una vera liberazione e creando un ambiente ostile alla modernità e alla democrazia.

Il regno di Elisabetta II

La Regina Elisabetta II nel vagone con il re Hussein di Giordania durante un'accoglienza reale nel 1966. Londra. Screenshot da un video di British Pathé.

I difetti di questa politica imperiale iniziarono ad emergere poco dopo l'ascesa al trono di Elisabetta II, quando il movimento degli Ufficiali Liberi in Egitto organizzò un colpo di stato contro il loro re nel luglio 1952 [en] e stabilì quella che sostenevano essere una repubblica orientata al progresso e alla sovranità politica. Il fatto che alla fine abbiano fatto un passo falso a causa della loro inesperienza e avidità politica non sminuisce affatto il ruolo che il Regno Unito e l'Occidente, in generale, hanno svolto nel dare a questi leader incompetenti più corda per strangolare la loro nazione.

La nazionalizzazione precipitosa del canale di Suez [en] da parte di Abdel Nasser nel 1956 portò all’Aggressione tripartita [en] di Regno Unito, Francia e Israele, rivelando le debolezze militari e strategiche del regime egiziano nonostante la ritirata degli invasori. Successivamente, gli Stati Uniti impongono un nuovo ordine che porta il Regno Unito all'ultimo posto negli affari egiziani, ma non senza molteplici tentativi di riguadagnare una certa influenza.

Altra tappa della competizione tra il Regno Unito e gli Stati Uniti negli Stati arabi di recente indipendenza; la Siria, che subisce una serie di colpi di stato militari orchestrati dall'occidente tra il 1949 e l'ascesa di Hafez al-Assad nel 1970. Alcuni di questi colpi di stato sarebbero stati coordinati con i servizi segreti britannici [en], in particolare negli anni '50, quando un crescente panarabismo minacciava i regimi conservatori alleati nel Regno Unito in Giordania, Iraq e alcuni degli emirati del Golfo.

Presumibilmente mappato su un tovagliolo dall'indomabile Gertrude Bell, durante un cocktail nella villa di un alto commissario britannico nel 1918, l'Iraq ha anche sofferto di interferenze straniere nel corso della sua storia moderna. L'ultimo episodio, quando il paese è stato occupato da una coalizione guidata dagli Stati Uniti nel 2003, fu particolarmente devastante. Il Regno Unito, probabilmente nostalgico della sua epoca coloniale, rivendicò il governatorato meridionale di Bassora come suo feudo [en]. Altrove nel Golfo, imprese britanniche dominano numerosi settori economici nelle città-stato più ricche, dal Kuwait all'Oman. Lo Yemen un tempo «Felice» (l'Arabia Felix dei Romani), la cui metà meridionale fu per più di un secolo una colonia britannica, è oggi in preda a una guerra civile schizofrenica, alimentata dalla geopolitica e dai sogni di grandezza maldestri dei suoi invasori.

Allora, perché gli abitanti della regione dovrebbero ricordare la regina Elisabetta II se non come la figura di prua tesa e terribilmente conservatrice di un impero in declino che era realmente? In realtà, la sua morte potrebbe inaugurare non la fine nostalgica di un'epoca, ma l'inizio promettente di una nuova era per le relazioni della monarchia britannica con il mondo arabo. Suo figlio e successore, Carlo III, ha sempre mostrato un forte interesse e apprezzamento per l'Islam, il Sufismo, la cultura e l'architettura araba.

Queste affinità intellettuali, se correttamente riorientate, potrebbero tradursi in un vero avvicinamento al mondo arabo. Ma ciò dipenderà non solo dalla volontà del nuovo re, ma anche dalla sua capacità di navigare nelle restrizioni della sua monarchia costituzionale e di trascendere i pregiudizi persistenti dell'orientalismo, del colonialismo e della xenofobia.

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