La mia identità tossica: un anno dopo l'inizio dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia

Illustrazione di Global Voices con OpenAI

Sono state due settimane piuttosto nervose. Ma ciononostante nessuno credeva che ci sarebbe stata una guerra. Certamente non io. Ero persino riuscita a spiegare ai miei amici e colleghi stranieri (e nel febbraio 2022 ero appena stata assunta in un'università tedesca) che il solo pensiero che la Russia potesse mai attaccare l'Ucraina era ridicolo.

Poi, mi sono svegliata il 24 febbraio.

Sono passata attraverso tutti gli stadi del dolore: prima il rifiuto (non sta accadendo), poi la rabbia (per cortesia, qualcuno uccida quel tale al Cremlino). Sopra a tutto, sentire di essere inutile, e debole; l'enorme sensazione i colpa che ti butta giù ogni giorno di più.

Per settimane una canzone della seconda guerra mondiale mi è rimbombata nella testa. Iniziava con “Hanno bombardato Kiev, ci hanno detto che è iniziata la guerra”. Solo che, a quel tempo, chi bombardava Kiev era la Germania nazista. Incomprensibile,

Il 22 giugno [1941], esattamente alle 4 di mattina, Kiev è stata bombardata e ci hanno detto che la guerra era iniziata. La guerra era iniziata di mattina, in modo da uccidere più persone. I genitori dormivano, i bambini dormivano quando hanno bombardato Kiev.

Nei due mesi seguenti ero incline a scoppiare improvvisamente in lacrime isteriche – mentre guidavo, mentre leggevo, mentre facevo qualsiasi cosa  – diverse volte al giorno. Parlavo ai miei bambini, spiegando dall'inizio che cosa orribile stesse facendo il mio paese. Cercavo ancora un segno che tutto sarebbe finito presto, domani. Che il solo responsabile fosse Putin, che se ne sarebbe andato in qualche settimana, e la guerra sarebbe finita. Cercavo un segno che la “gente” del mio paese non sostenesse la guerra. Scorrevo freneticamente i social media: cosa sta accadendo? Parlavo agli amici, ai parenti; tutti erano scioccati quanto me.

Poi, c'è stata Bucha [en, come i link seguenti].

Dopo Bucha, ho smesso di cercare prove che fosse la guerra di Putin; sapevo che per noi, da quel momento, sarebbe stata la nostra guerra, la guerra di quelli con il passaporto russo, di quelli che avevano vissuto 30 anni sotto Putin e non lo avevano fermato, quelli che tolleravano la violenza nelle famiglie e nelle scuole. La violenza che ha portato a Bucha, Irpin, Izium. 

Ora vivo sentendo costantemente che la mia identità, la mia lingua, il mio paese sono tossici. Cambierà mai? Ho tentato di cambiare identità ma non posso. È impressa in me ed io me ne vergogno. A volte di più. A volte il dolore si placa un po’. In fondo, un anno è lungo.

La colpa collettiva

È in corso una discussione sulla colpa e la responsabilità collettive. Uno dei miei migliori amici, un ebreo, ad inizio della guerra mi ha detto che non c'è una colpa collettiva. E gli ho creduto. Sto facendo tutto quello che posso per non essere un'osservatrice passiva. Scrivo. Dono. Io (ed i miei parenti ed amici russi all'estero) abbiamo ospitato rifugiati ucraini per brevi e lunghi periodi. Ho comprato tre laptop per ragazzi ucraini che ne avevano bisogno per studiare online. Non parlo mai in russo con gli ucraini. Non esprimo la mia opinione quando partono prevenuti, perché comprendo come si sentono. Eppure, affronto molto odio da parte degli ucraini (comprensibile) e da persone di altri Paesi (meno comprensibile). Fino ad ora ho visto solo odio e disprezzo dagli ucraini online (e non discuto mai). Diventa più difficile quando interferisce, ad esempio col lavoro. Cosa devo fare?

Adesso il mio passaporto è una “bandiera rossa”. Già lo so, quando sono in fila alla frontiera europea. Di solito cerco di avvisare quelli dietro di me che mi ci vorrà un po’ per passare la frontiera. L'ultima volta l'agente a Vienna mi ha detto che il mio permesso di soggiorno tedesco era fasullo. “dove l'ha preso?” mi ha chiesto. Io ho sorriso.

Eppure, sono una privilegiata: sono bianca, quindi, tranne quando mostro il passaporto, è difficile capire che sono russa. Ora capisco molto meglio come si sentiva la gente quando è iniziata la cosiddetta “guerra del terrore”.

Quindi si, sono bianca ma non abbastanza bianca. Alcuni ucraini e stranieri dicono “i russi sono razzisti. Ma, d'altra parte, non sono europei, sono asiatici” (e, giuro, su Twitter a volte ci sono persino disegni con i teschi “non europei” dei russi). Voglio dire, è un problema sotto molti aspetti: in primo luogo, perché “asiatico” è peggio che “europeo”, e, poi, come siamo arrivati ad usare di nuovo l’eugenetica?

Non pensate che io stia chiedendo pietà o cercando di promuovere la narrativa russofoba tanto popolare nella propaganda russa. Assolutamente no.

Tanti, attorno a me, tra cui anche ucraini, i miei amici, e quelli che ho incontrato quest'anno, i miei colleghi dell'università di Brema, si tengono in contatto e si sostengono a vicenda. Gli sono intrinsecamente grata, e spero prosegua. Ci sono anche molte persone in Germania e Spagna (le mie due patrie ormai) che mi sostengono e sono premurose, capiscono che la guerra non è stata colpa nostra.

Di chi è la colpa se il regime è una dittatura personalistica? Chiediamo ai popoli dell'Iran, della Cina (dove il partito-stato, sembra, si sta trasformando in autoritarismo personalistico) o della Turchia. È colpa loro? Per me, la risposta è no. Ma possiamo parlarne.

Eppure, io sto ancora male quando mia mamma, una professoressa ultrasettantenne che ha sempre cercato di avvicinare l'università russa all'Occidente, dice: “È come se fossimo dei lebbrosi”. Questo, temo, non cambierà per decenni.

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