Tenere la pandemia sotto controllo: la risposta tecnologica dell'Australia alla COVID-19

Image [en] per cortesia di EngageMedia

Questo articolo [en, come i link seguenti] di Samantha Floreani fa parte di Pandemic of Control, una serie che mira a promuovere la discussione pubblica sul diffondersi dell'autoritarismo nell'Asia Pacifica durante la COVID-19. Pandemic of Control è un'iniziativa di EngageMedia, in collaborazione con CommonEdge. Questa versione modificata dell'articolo è pubblicata su Global Voices sulla base di un accordo di collaborazione sui contenuti.

Agli inizi del 2020 la  COVID-19 prese piede in Australia. La politica di governo evolse fino a diventare a “COVID zero”, applicata tramite l'uso delle mascherine, il distanziamento sociale e, spesso i lockdown. Di colpo, quasi ogni aspetto delle nostre vite si trasferì online.

In tempi di crisi i governi spesso si affrettano ad assumere poteri aggiuntivi, molti dei quali pongono un rischio per i diritti umani e vengono raramente revocati una volta tornati a una relativa calma. Le ubique tecnologie dell'era digitale, in combinazione con una pandemia che ha richiesto di isolarci gli uni dagli altri, ha preparato il terreno per un futuro in cui la sorveglianza e il controllo digitali potrebbero prosperare rigogliosi. In previsione di ciò, i difensori dei diritti umani sollecitarono i governi affinché preservassero i diritti umani nel contesto di qualunque risposta tecnologica alla COVID-19. Queste le parole dell'avvocatessa e attivista per i diritti digitali, Lizzie O'Shea:

What will get us through this virus is not coercion and fear, but advocating for and carrying out the politics of care and solidarity.

Ciò che ci permetterà di superare questo virus non è la coercizione o la paura, ma difendere e mettere in pratica politiche di assistenza e solidarietà.

Le tecnologie digitali possono ricoprire un ruolo importante nel supportare una forte risposta del sistema sanitario. La domanda non è se si debba utilizzare la tecnologia, ma come. Le scelte tecnologiche fatte dallo stato australiano e dai suoi governi federali dice molto delle loro priorità e ideologie. I due anni passati riflettono una tendenza: piuttosto che impiegare le tecnologie per migliorare l’assistenza e il supporto rivolti alla popolazione di cui erano responsabili, i governi in Australia hanno dato priorità a progetti con risonanza politica e basati su un'ideologia della sorveglianza e del controllo.

Questo pezzo esamina quattro risposte tecnologiche alla COVID-19. Queste, a pari passo con la mancata trasparenza e la riluttanza a coinvolgere esperti tecnici e la società civile, ha in definitiva portato a “soluzioni” tecnologiche che spaziavano dall'essere completamente inefficaci al volutamente punitive.

I droni della polizia e la sorveglianza mobile

Verso la fine del 2020 i media riportarono che la polizia di Victoria e quella di New South Wales stavano usando i droni per monitorare e far rispettare le norme anti COVID-19 nei luoghi pubblici. L’opinione pubblica espresse un serio disagio rispetto alla portata di questa sorveglianza. A quel punto la polizia di Victoria provò a rassicurare pubblicamente la popolazione. Oltre a ciò, vennero impiegati dei dispositivi mobili di videosorveglianza in parchi e altri luoghi pubblici, e le telecamere di sorveglianza furono utilizzate al fine di imporre le restrizioni anti COVID-19, per lo sgomento e la rabbia dell'opinione pubblica. Molti criticarono l'approccio aggressivo e punitivo intrapreso dal governo per monitorare e multare gli individui che infrangevano i lockdown, ed espressero il timore che i governi stessero superando i limiti della propria autorità senza adeguate garanzie, trasparenza o requisiti che li obbligassero ad assumersene la responsabilità.

Il tracciamento dei contatti e l'app COVIDSafe

Nell'aprile del 2020 il governo federale mise in circolazione l'app COVIDSafe per il tracciamento dei contatti. Per convincere la popolazione a scaricarla, l’uscita fu accompagnata da retorica politica a profusione. Abbiamo sentito metafore moraleggianti sui tempi di guerra, dichiarazioni secondo cui l'app avrebbe offerto protezione dall'infezione “come una crema solare” e patriottici inviti ad unirci al “Team Australia“. Al pubblico australiano fu detto che sarebbe stata necessaria un'adesione del 40%, un numero che, come rivelato in seguito, era basato sul nulla. Oltre 7 milioni di persone scaricarono l'app, ma la sfiducia nelle capacità tecniche del governo, preoccupazioni legate alla protezione della privacy e alla sicurezza, e difetti tecnici nella progettazione dell'app contribuirono al mancato raggiungimento dell'obiettivo inventato.

L'app era stata progettata per utilizzare il Bluetooth per rilevare e registrare gli identificativi dei cellulari circostanti, ammesso che anch'essi stessero utilizzando l'app. Se una persona risultava positiva alla COVID-19, la lista di tutti coloro con cui era venuta in contatto veniva inviata al governo, che quindi avvertiva coloro che potevano essere a rischio. Sì scoprì che l'app non funzionava a meno che non rimanesse aperta e questo fu cruciale. Era un difetto fondamentale, poiché era poco pratico tenerla aperta tutto il tempo.

Un’altra preoccupazione chiave riguardava il modello centralizzato dell'app, che richiedeva che il governo agisse da intermediario e gestisse tutte le informazioni personali raccolte. Riconoscendo il potenziale pericolo di una sorveglianza di massa e di altri usi impropri dei dati, i difensori della privacy e della sicurezza raccomandarono fortemente che il governo adottasse un approccio decentralizzato. Furono ignorati.

Nonostante ciò, i difensori dei diritti digitali riuscirono con successo a spingere il governo a includere alcune misure per la protezione della privacy nella legislazione che regolava l'app, incluse delle limitazioni che prevenivano l'uso dei dati per fini diversi da quello della salute pubblica.

Quasi due anni dopo il lancio, un rapporto che valutava l'efficacia dell'app mostrò come non avesse apportato molti vantaggi rispetto al più tipico sistema di tracciamento dei contatti, e come in alcuni casi avesse anzi aumentato il carico di lavoro dei tracciatori di contatti. L'app costò 7,7 milioni di dollari australiani (circa 5 milioni di euro) per lo sviluppo e dai 60.000 ai 75.000 dollari australiani (fra i 25.000 e i 32.000 euro) al mese per la manutenzione. Dal dicembre 2021 il governo australiano si rifiuta di rilasciare i dati sul numero di persone che ha continuato a utilizzare l'app.

Il sistema di registrazione tramite QR code

Nel novembre del 2020 nacque un nuovo procedimento per “registrarsi” all'ingresso di negozi e locali usando gli smartphone e i codici QR. Tuttavia il lancio del sistema fu caotico. Ogni stato stabilì i propri requisiti, i quali variavano drasticamente. In Victoria, per esempio, il governo rese inizialmente obbligatoria la raccolta delle informazioni personali dei propri clienti da parte delle attività stesse, ma questa decisione non fu affiancata da consigli o supporto su come farlo in sicurezza. Questo portò molte piccole attività con poca o nessuna esperienza tecnica nell'ambito della sicurezza ad appaltare i propri requisiti per la registrazione a piattaforme di terzi.  Le informazioni personali di milioni di Australiani corsero il rischio di essere raccolte, usate e vendute per fini completamente diversi dalla salute pubblica da una serie di piattaforme di terzi per la registrazione, molte delle quali sono di proprietà di compagnie la cui attività principale è la vendita di dati.

Infine i governi statali rilasciarono delle procedure proprie, secondo le quali le attività dovevano registrare un proprio codice QR ufficiale che funzionava con un'applicazione smartphone gestita dal governo. Mentre questo migliorò il problema iniziale, non apportò alcuna soluzione per l’innumerevole numero di persone le cui informazioni erano state diffuse nel frattempo e che ora ricevevano messaggi spam.

Non elimina neppure le preoccupazioni a proposito dell'acquisizione e utilizzo da parte degli organi di governo dei dati raccolti tramite il sistema di registrazione. Almeno in sei occasioni, la polizia ha usato i dati di registrazione per fini di ordine pubblico, una mossa condannata dal Commissariato Australiano per la Privacy.

Le app per la quarantena in casa

Nell'ottobre 2021 lo stato dell'Australia Meridionale annunciò la sperimentazione di un'app smartphone per la quarantena in casa. L'app fu progettata per imporre l'osservanza delle regole per la quarantena in casa tramite la geolocalizzazione e un software di riconoscimento facciale. In seguito alla sperimentazione, altri stati in Australia annunciarono che avrebbero testato l'app.

Esperti di tecnologia, avvocati per i diritti umani e la società civile  espressero preoccupazione sull'uso di tecnologie tanto invasive senza robuste garanzie a protezione della privacy. Digital Rights Watch e Human Rights Law Centre scrissero una lettera congiunta ai ministeri della salute australiani, sollecitandoli ad estendere gli stessi standard delle garanzie legislative che erano state messe in piedi per l’app COVIDSafe a qualunque risposta di tipo tecnologico contro la COVID-19.

Conclusioni

Nonostante le richieste di maggiore supporto da parte delle comunità colpite, i governi hanno dato priorità a risposte che enfatizzano un approccio punitivo e basato sulla sorveglianza. Così facendo, i governi australiani hanno sfruttato la licenza sociale, ovvero l'autorità informale concessa al governo dalla popolazione sulla base della fiducia e del consenso per superare una grave crisi sanitaria, per la propria agenda politica.

A distanza di due anni, non è chiaro se questi approcci o le concessioni fatte in materia di libertà civili ne siano valsi la pena e nemmeno se siano stati efficaci. Tuttavia, è chiaro che i governi australiani hanno affrontato l'uso delle tecnologie digitali ideologicamente, facendo affidamento al controllo e alla sorveglianza e trascurando una politica di assistenza e supporto.

È importante che impariamo da questa esperienza per poter usare la tecnologia digitale in modo da dare in futuro una risposta più efficace e rispettosa dei diritti. Proprio come hanno avvertito i difensori all'inizio del 2020, incorporare i diritti umani in qualsiasi risposta tecnologica a una crisi è essenziale non solo per il suo successo, ma anche per assicurarci una società di cui siamo felici di far parte una volta tornati a tempi di relativa calma. L'Australia farebbe bene a tenere in considerazione questa lezione.

*Samantha Floreani lavora all'intersezione tra diritti umani, tecnologia e femminismo. Attualmente è responsabile del programma Digital Rights Watch, dove si occupa della difesa dei diritti umani nell'era digitale. In precedenza è stata specialista di privacy e tecnologia presso Salinger Privacy, membro della commissione di Australian Privacy Foundation e direttore del programma Code Like a Girl.

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